Kaiserjäger e Alpini hanno combattuto durante la prima guerra mondiale sulle Alpi, non solo uno contro l’altro, ma anche contro gli elementi.
Dopo nove giorni di nevicate ininterrotte, la temperatura si alzò improvvisamente, causando una lunga serie di slavine. Alcune furono intenzionalmente staccate dal nemico a colpi di mortaio.
Quel giorno, entrato nella storia come “venerdì bianco” (che in realtà era un mercoledì), su tutto l’arco alpino, ma soprattutto sul fronte dolomitico, morirono migliaia e migliaia di soldati, ma anche civili.
Le condizioni in montagna erano spesso peggio del combattimento vero e proprio.
Un ufficiale austriaco, disse: “La montagna in inverno è più pericolosa degli Italiani.” Solo sulla Marmolada, sui pendii del Gran Poz, morirono circa 300 soldati austro-ungarici.
Erano centinaia le truppe austriache di stanza nella casermetta nei pressi della vetta del Gran Poz. Anche se il campo era ben posizionato per proteggerlo dagli attacchi italiani, era però situato direttamente sotto una montagna di neve instabile.
Il 13 dicembre, circa 200.000 tonnellate di neve, roccia e ghiaccio piombarono giù dalla montagna, direttamente sulle caserme. Circa 200 soldati furono tratti in salvo, ma altri 300 perirono. Solo alcuni dei corpi furono recuperati. Con la neve pesante e i forti venti le slavine continuarono a scendere nel corso delle settimane seguenti e incidenti come quello sulla Marmolada si susseguirono con frequenza inquietante. Interi reggimenti furono sepolti in un istante.
I corpi di alcune vittime non furono ritrovati che in primavera. La migliore stima è che nelle ultime settimane di quel lontano dicembre 1916, a causa delle valanghe, da entrambe le parti morirono tra 9.000 e 10.000 soldati. Nella confusione bellica il numero esatto non è mai stato accertato.