Operazione “Valchiria” attentato alla Wolfsschanze
Operazione “Valchiria” attentato alla Wolfsschanze
“Chi agirà entrerà nella storia tedesca col marchio del traditore. Se invece rinuncerà ad agire, sarà un traditore davanti alla propria coscienza”.
Tenente Colonnello conte Claus von Stauffenberg
E’ una calda e serena giornata d’estate il 20 luglio del 1944 quando alle 12,42, la sala Riunioni della Wolfsschanze dove si sta svolgendo una conferenza fra Adolf Hitler e il suo Stato Maggiore, viene squassata da una spaventosa deflagrazione.
Cosa era la Wolfsschanze? Il termine in tedesco viene tradotto sia come Tana del Lupo sia come Trincea del Lupo, fu il Quartiere Generale scelto da Adolf Hitler per la conduzione della guerra sul fronte orientale.
Dal 24 giugno 1941 (due giorni dopo l’aggressione all’Unione Sovietica) fino al 20 novembre 1944 quando si dovette trasferire la sede per l’approssimarsi delle truppe dell’Armata Rossa, Hitler praticamente non si sposto quasi mai dal luogo e fece solo sporadici rientri a Berlino.
Essa si trovava vicino all’attuale cittadina di Kętrzyn, oggi in terriotorio polaccco ma all’epoca in Prussia orientale, noto anche come il Quartier generale di Rastenburg, dal nome in tedesco della cittadina di Kętrzyn. E’ proprio qui che si svolge l’attentato contro il Fuhrer portato avanti negli ambienti dell’esercito che volevano evitare la distruzione totale della Germania.
Siamo nel luglio 1944 i tempi della Blitzkrieg, la guerra lampo con le sue mirabilanti vittorie sul fronte occidentale, a nord e nei balcani sono ormai un lontano ricordo. A est l’Armata rossa avanza come un rullo compressore, disintegrando le difese tedesche e avvicinandosi ai confini del Reich. A ovest gli Alleati sono sbarcati in Normandia, e sul fronte italiano la Wehrmacht si prepara a combattere l’ultima battaglia nella zona degli Appennini.
La guerra è persa, è solo questione di tempo. Solo un uomo è ancora convinto della vittoria finale, Adolf Hitler, il “caporale boemo”, come lo chiamano gli ufficiali aristocratici che si stanno organizzando per eliminarlo.

L’uomo chiave della congiura è un colonnello di 37 anni, eroe di guerra, conte Claus von Stauffenberg, pluridecorato brillante ufficiale di Stato maggiore: uomo colto, raffinato, amante della poesia e della musica, fervente cattolico, idealista, poliglotta, ostile alla mentalità conservatrice degli alti gradi dell’esercito. Ha combattuto in Polonia, in Francia, sul fronte russo, e in Tunisia dove venne gravemente ferito, perdendo la mano destra, due dita della mano sinistra e l’occhio sinistro.
L’opposizione a Hitler in lui, era nata alla vista delle atrocità del nazismo. Il disgusto è diventato ribellione, e la ribellione cospirazione. La coscienza prese il sopravvento sull’obbedienza militare. Nel settembre del ’43 il giovane colonnelloentra nel complotto che altri ufficiali stanno portando avanti da tempo, per una “questione di onore”.
L’idea di un attentato ai danni del Führer nacque durante un incontro avvenuto nel settembre del 1943 tra il feldmaresciallo Günther von Kluge, il generale a riposo Ludwig Beck, il dottor Carl Friedrich Goerdeler ed il generale Olbricht, riunitisi presso l’appartamento di quest’ultimo.
Questi 4 personaggi erano fra i maggiori oppositori a Hitler e tutti volenti o nolenti erano stati allontanati, o si erano fatti da parte per evitare conseguenze peggiori. Goerdeler fu sindaco di Lipsia e per un breve periodo commissario del Reich per il controllo dei prezzi e sarebbe stato nominato, nel caso l’attentato fosse andavo a buon fine Cancelliere. Il generale Beck, ex capo di stato maggiore dell’esercito, aveva rassegnato le dimissioni dopo l’annessione dell’Austria perché non condivideva la politica aggressiva di Hitler, sarebbe dovuto divenire il nuovo Capo di Stato.
Le condizioni per la realizzazione di un attentato erano molto difficili. Hitler sospettava sempre di più di un complotto ordito da parte degli ufficiali dello Stato maggiore e aveva allertato la Gestapo, inoltre il Fuhrer non appariva quasi più in pubblico e raramente si recava a Berlino, era ormai in pianta stabile a Rastenburg.
Il piano studiato nei minimi particolari fallisce per una serie di fatalità. La riunione in programma per le 13,00 venne anticipata alle 12,30 a causa dell’arrivo di Benito Mussolini che sarebbe giunto in visita nel pomeriggio. Il cambio di programma impedirà infatti al colonnello di innescare anche la seconda carica.

Altra fatalità fu che la cartella di documenti contenete l’esposivo verrà spostata in maniera del tutto fortuita, infatti quando entrò nella stanza, il colonnello chiese all’attendente di Keitel di essere posizionato vicino al Führer a causa dei suoi problemi di udito; l’ufficiale diede il suo assenso e appoggiò la cartella di von Stauffenberg dietro al tenente generale Adolf Heusinger.
Non si sa come andarono le cose ma si presume che il colonnello Heinz Brandt, che era in piedi accanto a Hitler, spinse con il piede la cartella dietro la gamba del tavolo, evitando così l’uccisione di Hitler, ma causando la propria morte.
Adolf Hitler, sopravvisse quasi incolume all’attentato; riportò solo alcune bruciature alla gambe e la perforazione del timpano destro. Lo scoppio della bomba aveva invece ucciso tre ufficiali, tra cui il colonnello Brandt, e lo stenografo.
La vendetta di Hitler è feroce, la Gestapo venne scatenata per tutto il territorio del Reich alla ricerca dei cospiratori e dei loro fiancheggiatori e nelle settimane successive catturò quasi tutti coloro che avevano la più remota connessione con l’attentato.
Stauffenberg e alcuni congiurati furono fucilati la sera del 21. Ora, la strada dove quella sera Stauffenberg gridò “Viva la Sacra Germania” mentre il plotone d’esecuzione faceva fuoco, si chiama Stauffenbergstrasse. Un monumento ricorda un uomo coraggioso che morì per una Germania diversa.
Hitler stesso volle che i colpevoli venissero “impiccati e appesi come bestiame al macello”. Altri congiurati, tra cui l’ammiraglio Wilhelm Canaris, ex capo dell’Abwehr e il generale Hans Oster furono arrestati e giustiziati il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg.
Alla fine furono circa 5.000 le persone arrestate dalla Gestapo e circa 200 i giustiziati; non erano tutti collegati con la congiura, l’attentato fu anche l’occasione per regolare i conti con molte altre persone sospettate di avere simpatie con l’opposizione nazista.
I partecipanti al complotto vennero processati dal Volksgerichtshof (“Tribunale del Popolo”), presieduto dal giudice Roland Freisler, il quale condannò a morte tutti gli imputati a seguito di processi brevissimi svolti tra il 7 e l’8 agosto. Pochissimi tra i congiurati cercarono di fuggire o di negare le loro colpe.
Fra i pochissimi che riuscirono a sfuggire al Tribunale del Popolo, il feldmaresciallo von Kluge ed i generali Wagner e von Tresckow che si suicidarono; quest’ultimo prima della sua morte disse a Fabian von Schlabrendorff:
«Il mondo intero ora ci diffamerà, ma io sono ancora del tutto convinto che abbiamo fatto la cosa giusta. Hitler è l’acerrimo nemico non solo della Germania, ma del mondo intero».
A pagare per l’attentato a Hitler fu anche il feldmaresciallo Rommel, che pur non essendo coinvolto direttamente, né nei piani né nell’esecuzione degli stessi, per il solo fatto di essere a conoscenza dell’operazione Valchiria venne costretto a togliersi la vita.
In effetti pur criticando aspramente le decisioni strategiche di Hitler e pur considerando il permanere in carica di Hitler il maggior impedimento alla pace, e che lo stesso avrebbe portato la Germania alla rovina si espresse sempre energicamente contro l’attentato a Hitler.
Era sua opinione che, se Hitler aveva agito in modo criminale, bisognava deporlo e procedere contro di lui per vie legali, mentre il suo assassinio avrebbe trasformato Hitler in un martire agli occhi del popolo tedesco.
Rommel era uno degli uomini di fiducia di Hitler, ammirato dall’esercito tedesco ma anche dai suoi nemici, il feldmaresciallo non era un elemento da poter dichiarare come nemico del regime nazista e condannarlo a morte sarebbe stato un suicidio per l’immagine del Führer.
Si decise dunque di metterlo di fronte a una scelta forzata: o un processo di fronte ad tribunale popolare, al termine del quale sarebbe comunque stato condannato a morte con il conseguente arresto di tutta la sua famiglia, o avvelenarsi e salvaguardare l’incolumità della propria famiglia e del proprio onore.
Il 14 ottobre 1944 Rommel scelse la seconda opzione e ingoiò una fiala di cianuro. A quel punto Hitler ordinò ai suoi di non far capire a nessuno cosa si nascondeva dietro a quel suicidio. Rommel ormai morto, fu portato in ospedale dove vi furono dei finti tentativi di rianimazione. Fu ripulito dal vomito che si era formato attorno alla sua bocca a causa degli effetti del veleno, la causa della morte doveva sembrare quella dell’infarto.
Quattro giorni dopo la sua morte Rommel ebbe persino i funerali di Stato, come un eroe nazionale, proprio per nascondere ancora di più l’evidenza. La moglie e il figlio, Manfred Rommel, sapevano la verità sul suicidio forzato e quest’ultimo, militare dell’aviazione tedesca, disertò dopo la morte del padre, arrendendosi ai francesi. Nel dopoguerra divenne un politico e per diversi anni fu anche sindaco di Stoccarda.