Aveva 94 anni, era sfuggito al rastrellamento del ghetto di Roma ma poi era stato catturato a Genova e deportato. La prigionia, la "marcia della morte", la fuga. La Comunità ebraica: "Un dolore enorme, una figura fondamentale nel raccontare la tragedia della Shoah"
È morto a Roma, a 94 anni, Giuseppe Di Porto, detto Peppe, uno degli ultimi sopravvissuti romani ai campi di stermino nazisti. Lo comunicano in una nota il Rabbino capo Riccardo Di Segni e la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello. La sua testimonianza era stata raccolta anche dalla Fondazione Spielberg (Survivors of the Shoah - Visual History Foundation).
Nato a Roma nel 1923, Di Porto aveva iniziato giovanissimo a lavorare con i genitori, venditori ambulanti. La sua famiglia - in tutto erano otto figli - era riuscita a salvarsi dal rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre del 1943, fuggendo da un cortile interno della loro abitazione. Solo il padre venne catturato e deportato. Giuseppe si era allontanato prima del 16 ottobre e aveva proseguito con l'attività di ambulante a Genova, ospite di una famiglia di amici. Ma il 3 novembre non riuscì a sfuggire al rastrellamento del tempio della città ligure, venne arrestato dai tedeschi e portato al carcere di Marassi dove rimase circa un mese. Da lì, venne trasferito a Milano, a San Vittore, da dove fu destinato al campo di Monowitz, in Polonia, non lontano da Auschwitz.
Lì, insieme al cugino Amedeo, visse la tragedia della deportazione. Nel gennaio del 1945, durante l'avanzata delle truppe russe, i tedeschi comunicarono che si sarebbero dovuti trasferire tutti, a piedi, verso la Germania. Di Porto camminò per circa tre giorni nella neve, a tappe, sempre sotto la sorveglianza dei tedeschi, un cammino conosciuto come la "marcia della morte". La fuga durante una notte, il rifugio tra i boschi, la cattura da parte di un gruppo di soldati dell'Armata Rossa, il lavoro coatto per i militari russi per circa otto mesi. E il ritorno in Italia, all'inizio di ottobre del 1945. Nel 1949 le nozze con Marisa Di POrto, anch'essa sopravvissuta ai cambi di sterminio.
"Un dolore enorme per la nostra comunità, Giuseppe è stato una figura fondamentale nel raccontare la tragedia della Shoah. Insieme a Marisa, anche lei sopravvissuta, ha costruito una famiglia ebraica numerosa che è stata la risposta più bella e significativa nei confronti di chi voleva distruggere il popolo ebraico. Alla famiglia la nostra più sentita vicinanza", si legge nella nota. Il corteo funebre passerà domani alle 10.15 di fronte alla Sinagoga di Roma.
Nato a Roma nel 1923, Di Porto aveva iniziato giovanissimo a lavorare con i genitori, venditori ambulanti. La sua famiglia - in tutto erano otto figli - era riuscita a salvarsi dal rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre del 1943, fuggendo da un cortile interno della loro abitazione. Solo il padre venne catturato e deportato. Giuseppe si era allontanato prima del 16 ottobre e aveva proseguito con l'attività di ambulante a Genova, ospite di una famiglia di amici. Ma il 3 novembre non riuscì a sfuggire al rastrellamento del tempio della città ligure, venne arrestato dai tedeschi e portato al carcere di Marassi dove rimase circa un mese. Da lì, venne trasferito a Milano, a San Vittore, da dove fu destinato al campo di Monowitz, in Polonia, non lontano da Auschwitz.
Lì, insieme al cugino Amedeo, visse la tragedia della deportazione. Nel gennaio del 1945, durante l'avanzata delle truppe russe, i tedeschi comunicarono che si sarebbero dovuti trasferire tutti, a piedi, verso la Germania. Di Porto camminò per circa tre giorni nella neve, a tappe, sempre sotto la sorveglianza dei tedeschi, un cammino conosciuto come la "marcia della morte". La fuga durante una notte, il rifugio tra i boschi, la cattura da parte di un gruppo di soldati dell'Armata Rossa, il lavoro coatto per i militari russi per circa otto mesi. E il ritorno in Italia, all'inizio di ottobre del 1945. Nel 1949 le nozze con Marisa Di POrto, anch'essa sopravvissuta ai cambi di sterminio.
"Un dolore enorme per la nostra comunità, Giuseppe è stato una figura fondamentale nel raccontare la tragedia della Shoah. Insieme a Marisa, anche lei sopravvissuta, ha costruito una famiglia ebraica numerosa che è stata la risposta più bella e significativa nei confronti di chi voleva distruggere il popolo ebraico. Alla famiglia la nostra più sentita vicinanza", si legge nella nota. Il corteo funebre passerà domani alle 10.15 di fronte alla Sinagoga di Roma.