I rapporti fra Regno d’Italia e Grecia che portarono all’invasione del paese ellenico

Alle 6 del 28 ottobre 1940, le 5,30 secondo alcune fonti greche, diciottesimo anniversario della marcia su Roma, le truppe italiane in ottemperanza all’ultimatum presentato poche ore prima, entravano in territorio greco puntando sulla Macedonia e sull’Epiro ,dando inizio al piano che avrebbe dovuto portare alla rapida dissoluzione delle forze armate greche e all’occupazione della Grecia.

Purtroppo i fatti andarono ben diversamente e benché vittoriosa nel finale, la campagna di Grecia si tradusse in un grave insuccesso politico per l’Italia, costretta ad abbandonare ogni pretesa di condotta autonoma e distinta dai tedeschi delle operazioni belliche. Proprio con l’invasione tedesca della Grecia che porrà fine alle operazioni nell’aprile del 1941, unita ai rovesci delle truppe italiane in Africa settentrionale e orientale, finirà per l’Italia quella che gli storici definiscono la “guerra parallela”, portata avanti in autonomia rispetto alla Germania nazista e comincerà la cosiddetta “guerra subalterna”.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire come maturò il piano di invasione della Grecia. I contrasti tra Regno d’Italia e Regno di Grecia erano di vecchia data. L’influenza egemonica esercitata dall’Italia sull’Albania, nazione indipendente dal 1912, fu una delle principali cause di attrito tra Roma e Atene, in particolare per quanto riguardava la definizione del confine meridionale del nuovo Stato, in una regione (l’Epiro settentrionale) dove le popolazioni di origine greca e albanese risultavano mischiate tra di loro.

Già all’inizio della prima guerra mondiale l’esercito ellenico occupò le regioni meridionali dell’Albania, in appoggio alle popolazioni greche locali che avevano proclamato l’indipendenza della zona come Repubblica Autonoma dell’Epiro del Nord; tuttavia nel 1916, nell’ambito dei più vasti eventi della campagna di Albania, le forze italiane occuparono incontrastate la regione dell’Epiro del nord e allontanarono senza colpo ferire i presidi greci nell’area.

L’arrivo al governo di Benito Mussolini segnò un ulteriore peggioramento dei rapporti italo-greci. Nell’aprile del 1939, in risposta all’occupazione tedesca della Cecoslovacchia, Mussolini ordinò l’invasione e l’occupazione dell’Albania: al termine di un’operazione quasi incruenta, il re Zog I di Albania abbandonò il paese prendendo la strada dell’esilio. La corona del Regno albanese passò a Vittorio Emanuele III di Savoia e le forze armate albanesi vennero integrate nella struttura militare italiana.

La mossa impensierì Metaxas, il generale che aveva instaurato una dittatura di stampo fascista in Grecia, che temendo un’invasione da parte dell’Italia cercò e trovò l’appoggio degli anglo-francesi: il 13 aprile 1939 il primo ministro britannico Neville Chamberlain, annunciò che se la Grecia fosse stata invasa il Regno Unito sarebbe intervenuto al suo fianco, e una dichiarazione analoga fu poi resa dal governo di Parigi.

La tensione tra Grecia e Italia aumentò ulteriormente a metà agosto 1939: quattro divisioni italiane dislocate in Albania furono spostate molto vicino al confine con la Grecia, e aerei italiani impegnati in voli di ricognizione sconfinarono spesso nello spazio aereo greco. Lo stato di tensione spinse il governo greco a ordinare una parziale mobilitazione delle sue forze armate e a rafforzare le sue difese al confine albanese. Il 16 agosto Mussolini ordinò allo stato maggiore del Regio Esercito di approntare un piano di invasione della Grecia.

Rielaborando alcuni studi precedenti, il comandante delle truppe in Albania generale Alfredo Guzzoni ipotizzò un piano per un’azione su vasta scala, comprendente un contingente di 18 divisioni raggruppate in sei comandi di corpo d’armata. Nello specifico quattro corpi con dodici divisioni avrebbero dovuto muovere dalla zona di Coriza in direzione est alla volta di Salonicco, con un attacco d’appoggio verso sud in direzione di Giannina ad opera di un corpo d’armata con tre divisioni e altre tre divisioni dislocate invece a protezione della frontiera tra Albania e Jugoslavia.

Guzzoni chiedeva inoltre almeno un anno di tempo per i preparativi, in particolare per potenziare la rete stradale verso la Grecia e la capacità dei porti albanesi, mentre il capo di stato maggiore dell’esercito generale Alberto Pariani chiedeva prudentemente che le divisioni coinvolte fossero portate a 20. Ad ogni modo, il piano si risolse in nulla: dopo l’invasione tedesca della Polonia e l’inizio della seconda guerra mondiale il 1º settembre 1939, Mussolini ordinò di cancellare ogni progetto verso la Grecia e di concentrarsi invece nei preparativi per l’invasione della Jugoslavia.

Contemporaneamente Metaxas, a cui interessava il rispetto dello status quo greco da parte di tutti i principali belligeranti, proclamò la sua più stretta neutralità e intrattenne contatti con la Germania perché facesse da moderatrice delle mire italiane sul paese. Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, Mussolini rilasciò vaghe dichiarazioni circa il rispetto della neutralità ellenica, ma i vertici italiani continuarono in linea di massima a mantenere un atteggiamento ostile alla Grecia e le autorità italiane denunciarono ripetutamente veri o presunti atteggiamenti di connivenza dei greci nei confronti dei britannici.

Il governatore italiano del Dodecaneso, il quadrunviro Cesare Maria De Vecchi, fu tra i più accesi sostenitori di questa linea aggressiva, lanciando ripetute accuse circa l’appoggio che le navi britanniche in navigazione nel mar Egeo ricevevano dai greci: furono segnalati vari attacchi a sommergibili italiani da parte di navi o aerei britannici provenienti dalla terraferma greca, eventi mai del tutto verificati, e in varie occasioni aerei italiani attaccarono navi greche in navigazione nell’Egeo.

Acceso sostenitore della guerra alla Grecia era anche Galeazzo Ciano, ministro degli esteri e genero di Benito Mussolini. Egli considerava l’occupazione dell’Albania un successo personale e l’invasione della Grecia come un prolungamento naturale di questa impresa. L’11 agosto 1940, con il pieno sostegno del luogotenente generale Jacomoni, Ciano diede il via a una massiccia campagna propagandistica anti-greca: furono dedicati articoli alla situazione della Ciamuria, regione dell’Epiro abitata da una minoranza di albanesi che si sosteneva fosse vittima di soprusi, massacri e deportazioni da parte delle autorità greche occupanti, e fu esaltata la figura di Daut Hoggia, un albanese ricercato dalle autorità greche per brigantaggio e omicidio, assassinato recentemente da due suoi connazionali, dipinto invece dalla stampa italiana come un patriota del popolo ciamuriota ucciso su mandato del governo di Atene.

Le azioni provocatorie raggiunsero l’apice il 15 agosto 1940 quando su disposizioni del Duce, il governatore del Dodecaneso De Vecchi ordinò al tenente di vascello Giuseppe Aicardi, comandante del sommergibile Delfino, di attaccare tutto il traffico navale, senza riguardo alle sue attività a favore dei britannici, che avesse incrociato al largo delle isole greche di Tino e Siro.

Il 15 agosto quindi il Delfino si presentò al largo di Tino: l’isola, sede di un santuario sacro alla Chiesa ortodossa, era impegnata nei festeggiamenti per la celebrazione dell’Assunzione di Maria. Penetrato nel porto, il sommergibile italiano silurò e affondò un vecchio incrociatore greco ancorato in rada, lo Elli, che partecipava in rappresentanza del governo alla festività: si contarono un morto e 29 feriti tra l’equipaggio, nonché scene di panico tra la folla che visse l’azione come un sacrilegio.

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L’incrociatore greco Elli

Le autorità italiane tennero segreto il loro coinvolgimento nell’episodio e accusarono dell’attacco il Regno Unito. L’azione provocò proteste da parte delle autorità di Atene e forte indignazione nella popolazione locale, aumentando di converso i sentimenti filo-britannici nel paese; l’atteggiamento aggressivo dell’Italia convinse i vertici militari greci a incrementare ulteriormente lo stato di prontezza delle forze armate e i piani di difesa per fronteggiare un’invasione dell’Epiro: fu perfezionato il sistema di mobilitazione dei riservisti e progressivamente irrobustito il numero di truppe schierate al confine con l’Albania.

La stessa cosa avveniva in campo italiano; in luglio fu commissionato al generale Carlo Geloso, appena richiamato dal comando delle truppe in Albania, uno studio per un’offensiva contro la Grecia poi elaborato dallo stato maggiore nel cosiddetto piano “Emergenza G” o “Esigenza G”: l’operazione prevedeva l’occupazione di Epiro, Acarnania fino alla baia di Arta e isole Ionie con un complesso di forze ammontante a otto divisioni e alcuni reparti autonomi, ma con il presupposto fondamentale di un concomitante attacco della Bulgaria alla Grecia che impegnasse il grosso delle forze greche lontano dalle zone interessate, oppure di una accettazione pressoché pacifica dell’occupazione da parte delle autorità di Atene.

La convinzione che i greci non si sarebbero opposti fu una dei motivi principali dell’insuccesso dell’operazione, in quanto i greci invece resistettero e anzi a meno di un mese dall’inizio dell’invasione avevano arrestato l’avanzata italiana e iniziato il contrattaccato che li porterà poi ad occupare una consistente parte dell’Albania.

Il 12 agosto il nuovo comandante delle forze in Albania, generale Sebastiano Visconti Prasca, fu convocato a Roma insieme a Jacomoni e ricevuto a Palazzo Venezia, dove Mussolini alla presenza anche di Ciano, chiese a Visconti Prasca se le forze a sua disposizione fossero sufficienti per un’improvvisa occupazione dell’Epiro; la risposta di Visconti Prasca fu articolata, e contraddittoria: l’azione presentava possibilità di riuscita se attuata immediatamente (Visconti Prasca la definì «un colpo di mano in grande»), contro forze greche ancora deboli e sul piede di pace, ma le unità disponibili (cinque divisioni e alcuni reparti autonomi) erano ora orientate in massima parte verso la Jugoslavia e dovevano essere rischierate, oltre che rinforzate da altri reparti.

Vedremo poi come nell’ imminenza dell’inizio delle operazioni Visconti Prasca rifiuto’ l’invio si ulteriori truppe perché essendo lui un generale di corpo d’armata, se il numero delle truppe fosse aumentato, ciò avrebbe automaticamente portato alla sua sostituzione con un ufficiale più alto in grado. Visconti Prasca sapeve di avere necessità di rinforzi, ma li voleva ricevere solo dopo la conquista dell’Epiro, azione che gli avrebbe garantito una promozione per meriti sul campo.

Poco dopo lo stesso provvedeva a mettere al corrente, i vertici del Regio Esercito circa l’imminente azione contro la Grecia, fatto che irritò non poco gli interessati. Il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, capo di stato maggiore generale, si disse fermamente contrario all’impresa, in quanto questo avrebbe acceso i Balcani mentre il sottocapo di stato maggiore dell’esercito generale Mario Roatta (sostituto di fatto del titolare dell’incarico, il maresciallo Rodolfo Graziani, in quel momento al comando delle truppe in Libia) promise l’invio di rinforzi, altre tre divisioni e vari reparti autonomi, in attuazione delle direttive del piano “Emergenza G”.

Le unità in Albania iniziarono a ridispiegarsi verso la frontiera greca, con la data per il completamento dello schieramento fissata al 1º settembre. L’atteggiamento aggressivo dell’Italia attirò l’attenzione della Germania, che pur riconoscendo la Grecia come parte della sfera di influenza italiana voleva rimandare ogni azione contro il paese a dopo la sconfitta del Regno Unito e mantenere tranquilla il più a lungo possibile la situazione nei Balcani, onde non dare pretesti all’Unione Sovietica per intervenire nella regione.

Dopo pressioni da parte del ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, e con la sua attenzione richiamata ora dai preparativi per un’offensiva italiana nel teatro libico diretta alla conquista dell’Egitto, il 22 agosto Mussolini ordinò di abbandonare ogni proposito di attacco alla Grecia e in una lettera a Hitler del 24 agosto dichiarò che le misure prese in Albania avevano unicamente valore difensivo. La campagna propagandistica cessò e il completamento dello schieramento dei reparti interessati dall’ “Emergenza G” fu posticipato prima al 1º ottobre e poi al 20 ottobre.

Riposti i piani per l’invasione della Grecia, in settembre l’esercito italiano iniziò ampi preparativi per un attacco alla Jugoslavia (“Emergenza E”) bloccati poi per intervento tedesco, visto che il governo di Belgrado stava dimostrando simpatie verso il campo dell’Asse; infine, il 2 ottobre Mussolini concordò con il sottosegretario alla guerra generale Ubaldo Soddu un ampio piano di smobilitazione dell’esercito, in vista dell’imminente stagione invernale: fu previsto il congedo di circa 600.000 uomini dei reparti schierati in Italia, lasciando solo 20 divisioni con gli organici completi o quasi.

Le forze in Albania ricevettero ordine di ripiegare dalle posizioni avanzate lungo la frontiera alla volta degli accampamenti invernali; ancora l’11 ottobre, durante una riunione dei capi di stato maggiore delle forze armate, Badoglio comunicò che la campagna di Grecia era definitivamente accantonata.