Notiziario: FEDERAZIONE VERONA: SEZIONE RONCOLEVA’ - TREVENZUOLO – FAGNANO AUGURI PRESIDENTI PER I 100 ANNI – MEMORIE DI PRIMO CONTRI

FEDERAZIONE VERONA: SEZIONE RONCOLEVA’ - TREVENZUOLO – FAGNANO AUGURI PRESIDENTI PER I 100 ANNI – MEMORIE DI PRIMO CONTRI

 

Conoscere e parlare con Primo è una delle cose più belle che ho avuto modo di provare in quasi 20 anni che presto servizio come Presidente delegato per la Sezione Combattenti e Reduci del nostro Comune.

Una persona che con la sua docilità da quasi centenario, ti mette subito a tuo agio, ti sembra di diventare il piccolo nipote a cui il nonno racconta le sue avventure e la tragedia della guerra. Due frasi in particolare mi sono rimaste impresse dal racconto di Primo riguardo la sua Campagna d’Africa che si svolse dal 1940 al ’42, poi per ferite riportate in combattimento ritornò in Italia: “Robe da pazzi…, Coparse par niente”. Con l’ultima avrei voluto dare il titolo al libro, poi mi è sembrata troppo forte! Restano comunque per me le due frasi più significative del suo racconto.

Un racconto uscito dalla viva voce di Primo e che ho voluto trascrivere tale quale, nei tempi e nei verbi, tutto originale, come da lui vissuto e raccontato con emozione.

Questa piccola pubblicazione, semplice nel suo genere è un omaggio che la Sezione dei Combattenti e Reduci di Roncolevà, Trevenzuolo, Fagnano vuole fare in occasione dei quasi 100 anni di Primo. Li festeggeremo nella prossima primavera (21 Aprile) dove in occasione dell’importante traguardo di Primo e ci sarà anche il 75° anniversario della Liberazione edella fine del secondo conflitto mondiale.

Desidero rivolgere un grazie all’Amministrazione Comunale ed in particolare al nostro Sindaco dott. Gazzani Roberto, sempre sensibile e presente a questo genere di partecipazioni. Un grazie sentito anche a Viviana, figlia di Primo, e alla nipote Lorella per il materiale fornitomi per la ricerca. Il più grande grazie poi a Primo! I latini dicevano “nomen omen”, nel nome il destino. Tu per primo ci ricordi che la pace è il valore più grande per il quale vale la pena spendere la vita.

Stefano Benedetti

Mi chiamo Primo Bepi Contri e a 20 anni sono andato militare. Sono partito il 4 febbraio 1940 e il 21 aprile ho compiuto 20 anni. Il 9 giugno sono a Vobarno di Brescia dove la mia divisione Ariete ha la base. Il 10 giugno Mussolini proclama l’entrata dell’Italia in guerra. Con il treno ci hanno portato a Cuneo, in quanto in un primo momento dovevamo andare in Francia, ma i tedeschi occupandola nel giro di pochi giorni, ci hanno costretto a fermarci e siamo rientrati a Riva di Trento, alloggiati nelle scuole e rimasti li in attesa di partire per l’Africa. In Africa perché eravamo alleati con i tedeschi e avevamo dichiarato guerra agli inglesi che erano in Africa per i pozzi di petrolio.

Siamo partiti in 4 navi della divisione Ariete e in Libia troviamo la XII divisione tedesca comandata dal Generale Rommel. Nel giro di pochi giorni abbiamo messo assieme le nostre armi e cannoni. Ho capito subito che la guerra è una cosa di spie e basta…roba da pazzi.  Alla sera di Pasqua eravamo in 242 del mio plotone, dopo otto mesi a Tobruk siamo rimasti in 117, non tutti morti, alcuni prigionieri, altri feriti. Allora hanno richiamato ancora dei soldati dall’Italia e siamo ritornati in 240 persone. Sono stato in Africa 2 anni, sono stato ferito l’11 giugno del 1942 a mezzogiorno, per l’esplosione di una mina. Eravamo in pieno deserto, mi hanno medicato in modo fortunoso e verso sera al fine delle ostilità sono salito su un’ambulanza. Dopo una certa ora quando si è fatto buio e le ostilità si sono fermate, ci hanno tirato giù, dato qualcosa da bere, io riuscivo tramite una cannuccia. Il giorno 12 all’alba ci hanno caricato e siamo andati a Hummenzen per andare ancora al fronte e sono stato aggregato al 7° bersaglieri, ma sempre con il mio battaglione Ariete. L’ordine era che bisognava andare ad Al Alamein. Siamo pronti per partire ma prima siamo andati in aiuto alla divisione Trieste, siamo andati in 350 della Ariete. Ci avevano chiesto rinforzi. Io avevo in carico 18 soldati che tenevano le barelle, eravamo infermieri internazionali, non si faceva differenza se tedesco o italiano, era ferito e basta! Per quelli della Trieste è come fosse arrivato il Padre Eterno, ci siamo aggiunti con 25 carri armati e 8 cannoni.

Insieme con me c’era uno di Bagnolo Mella in provincia di Brescia, come fossimo stati due fratelli. Essendo raggruppati alla Trieste per lui c’è l’occasione di rivedere suo fratello che da un’anno era in Africa. Arrivati lo cerca, chiediamo al caporale: c’è qui un certo Bellini?. Era qui fino a qualche ora fa, ora è in linea. Poco dopo arriva il capitano della Trieste e ci abbraccia, un capitano della Trieste lo conoscevamo. Chiediamo c’è qui un certo Bellini? Si venga qui le devo parlare. Prende il mio amico gli mette un braccio al collo e gli dice: lei è il fratello? Si, Vuole che le dica la verità? E’ da mezz’ora che l’hanno ucciso. Lo vuole vedere è ancora caldo. No, no per carità. Siamo ritornati al nostro posto in attesa che arrivi l’ordine per andare ad El Alamein. Il mio capitano si chiamava Davide Walnner, figlio di un austroungarico della 1a guerra mondiale che si era fermato in Italia. Una mia pronipote di Viadana ha dato a su figlio questo nome in ricordo del mio capitano. Di solito quando gli americani bombardavano, ma con loro c’erano di tutte le razze del mondo, in particolare gli australiani, noi eravamo solo italiani e tedeschi. Tutti pronti per partire per El Alamain, quando gli alleati che di solito ci attaccavano frontalmente ci sorprendono prendendo il giro da dietro attraverso il mare. Ci bombardano, una battaglia…cruenta, cattiva, violenta. Tanti soldati rimangono uccisi. Arriva l’ordine di andare via, di salire in fretta sui camion. Io mi siedo dietro, vedo dal telo aperto tanti morti e feriti. Per passare sulla strada in direzione Al Alamain bisogna spostare i corpi…Quello che mi ha fatto più impressione è stato un soldato con il cappello da bersagliere con le piume, con la testa staccata dal corpo…roba da non credere. Mamma cara non si riesce a raccontarlo, chi comandava non doveva permettere di fare quelle cose li, “Coparse par niente”.

Il giorno 10 giugno del 1942 è stato ferito il cappellano del mio battaglione. Io e un certo Rancati ci siamo accovacciati e salvati.. Hai paura che ci uccidano, mi dice il mio amico, il cappellano l’anno portato via con la barella. Stiamo parlando quando mi sono ferito anch’io. Buttiamoci a terra, a lui hanno portato via il sedere, sembrava che fosse passata una sega. Era di Roncoferraro di Mantova, adesso poveretto è morto. Io rimando ferito alla mandibola e sotto l’orecchio, il dottore che era poco lontano si piega su di me e mi medica alla bene meglio. Non erano capaci di fermarmi il sangue, una vena si era rotta e io ero su una barella in mezzo al sangue. Le barelle non devono filtrare sotto in quanto quando i feriti sono uno sopra l’altro, esse non devono gocciolare…, sono stati li immobile per delle ore. Adesso ad Al Alamain hanno fatto un cimitero per ricordare tutti i caduti, io non sono andato, avrei voluto ma avendo il pacemaker non posso volare. Ho visto comunque le foto, dovreste vedere che meraviglia hanno fatto. Dopo che sono stato ferito hanno portato via anche me, il medico da campo, che è un soldato con uno zaino pieno di garze mi dice: ascolta Contri, tu vai in Italia. Non mi sembrava vero, invece mi mettono su un’autoambulanza e mi portano a Gelavia. Alla prima medicazione un ferito assieme a me, un certo Foroni Enzo sta per partire per l’ospedale militare di Bengasi e mi chiede: Contri ti hanno chiamato? Ma io non potevo parlare viste le condizioni della mia bocca. Il mio amico dice ai due della sanità: io non parto se non caricate anche il mio amico Contri. Intanto viene fuori un tenente medico, mi guarda la bocca e mi dice: cosa c’è, cosa c’è?. C’è un ferito che deve andare a Bengasi all’ospedale militare ma non vuole che lo portiamo via in quanto vuole che parta anche il suo amico. E chi sarebbe il suo amico prosegue il Tenente? Rientra nella tenda e quando esce dice: Contri Primo, non c’è niente da fare, lei parte per il 320 a terra per l’Italia. Robe da pazzi…si avvera un sogno!

Sono andato a Ganna, dove dopo 2/3 giorni è arrivata la nave ospedaliera. Non avevo mai visto una meraviglia simile. Tutte le lampadine bianche attaccate alla nave e in mezzo una fila di rosse che formavano una croce

rossa. La nave ospedaliera non può andare al porto, deve restare fuori al largo di qualche chilometro. Mai vista una roba compagna, abbiamo atteso 2/3 giorni e dopo una breve navigazione siamo arrivati a Torre del Greco (Napoli).

Per me è stato un paradiso, neanche un militare, tutte crocerossine, che se dipendesse da me gli darei la medaglia solo a loro. Che brave donne. Quella che mi ha seguito aveva 27 anni, era sposata con un capitano, aveva 2 bambini ed è partita volontaria. Sono stato li due mesi e dopo con un certo Marana di Bionde di Salizzole, visto che io non riuscivo a parlare chiede ai responsabili se ci possono mandare a casa a Verona, per lasciare il posto ad altri feriti che dovevano arrivare. Marana chiede che ci facciano arrivare all’ospedale militare degli Scalzi in via Valverde per proseguire le nostre cure vicino a casa. La nostra richiesta viene accetta, ci hanno tenuto ancora a Napoli 10 giorni poi ci hanno portato in Valverde dove li c’è stato il gran finale. Una volta tornato a casa ho fatto 3 mesi di convalescenza, e dopo una visita a Verona altri 3. Superando i 6 mesi di convalescenza si doveva fare una visita collegiale a Padova, per una pensione in base al grado di invalidità (da 1 a 8). Di ritorno da Padova alla sera sono andato a San Zeno in caserma e rivedo il comandante. Allora Contri sono al corrente di tutto, lei è stato in Africa 3 anni: 1940, ’41,’42 senza licenza, allora ha diritto a 1 mese, per anno. Intanto faccia un mese poi prima della fine ritorni qui. Ritorno come accordi, altro mese e poi un’altro ancora. Intanto era arrivato l’8 settembre e a sera con un esercito allo sbando, vengo a casa anch’io. Non sono più partito, poi mi sono sposato. Sul foglio matricolare c’è scritto che sono andato in Grecia, con il 1°Genio ma non è vero.Di pensione non ho visto niente, ho fatto ricorso a Roma, ma è andata così, pace amen, ho portato a casa la pelle...