Quaranta tonnellate di peso, sviluppate in sette metri di lunghezza e quattro di altezza: il carro armato più pesante della Grande Guerra era italiano e fu costruito esattamente cento anni fa, nel 1917. Si chiamava Fiat 2000 e, per l’epoca, era considerato avanzato, potendo vantare alcune innovazioni tecnologiche non trascurabili. La sorte degli unici due esemplari costruiti è misteriosa, coperta dalle sabbie del deserto di Libia, o dispersa nella confusione successiva all’8 settembre 1943. Chissà.
Tra le tante novità tecnologiche prodotte dal Primo conflitto mondiale, un posto di rilievo assoluto spetta ai primi carri armati, studiati per sbloccare il disperante stallo della guerra di trincea. La nuova “fortezza semovente” doveva poter superare ogni sbarramento, falciare i reticolati e portare la potenza di fuoco di cannoni e mitragliatrici direttamente nel campo avversario rimanendo, per quanto possibile, invulnerabile alle artiglierie nemiche.
“Tank” – “cisterna”, con questo nome volutamente poco appariscente gli inglesi chiamarono i primi prototipi, dal “Little Willie”, realizzato nel 1915 al Mark V. Costruirono circa 1400 di questi mezzi, ma furono superati dai francesi che ne produssero, durante la guerra, ben 4000, in massima parte del famoso modello FT 17, un carro leggero di grande successo.

I tedeschi svilupparono tardivamente un carro pesante, l’A7V, ma, curiosamente, nonostante la loro tradizionale attenzione alle novità tecnologiche, ne produssero appena venti esemplari. L’Impero Austroungarico non fu in grado, per motivi economici e tecnici, di produrre un proprio carro armato, mentre l’Italia ne costruì sei: due Fiat 2000, e, successivamente, quattro Fiat 3000 (un’eccellente rivisitazione del carro francese FT 17) ben più adatto agli accidentati terreni alpini.
La fabbrica torinese aveva iniziato a progettare un carro pesante italiano fin dal 1916, prendendo spunto da alcuni articoli e fotografie che riguardavano il prototipo inglese “Little Willie”.
In appena un anno, gli ingegneri Carlo Cavalli e Giulio Cesare Cappa (poi fondatore della casa automobilistica Aquila italiana) progettarono il mezzo, dotandolo di alcune importanti innovazioni. Secondo i dati forniti dall’Ufficio storico dell’Esercito, il Fiat 2000 fu il primo carro pesante ad avere l’armamento principale – un cannone da 65 mm - posto in torretta. Dato l’ampio settore di tiro in elevazione, poteva sparare anche a tiro curvo, come un obice. Era dotato di ben sette mitragliatrici Fiat mod. 1914 in cal. 65, mm. Fu anche il primo carro armato a separare il vano motore da quello dell’equipaggio, composto da dieci uomini comandati da un ufficiale - capocarro.
Una novità non da poco, questa, dato che, tra i più drammatici inconvenienti dei primi carri inglesi, vi era il soffocamento cui era sottoposto il personale, a causa del surriscaldamento del motore e dei suoi fumi che non venivano espulsi tramite tubi di scappamento. Altri pregi del Fiat 2000 riguardavano la forma dei cingoli, che lo rendevano adatto a superare dislivelli impensabili per l’epoca. Durante una dimostrazione del 2 aprile 1919, il carro fu capace di scalare un muro con terrapieno alto 1, 10 m, poi sgretolò un muro di mattoni di 3,50 m, spesso 60 cm, fu in grado di abbattere alberi di diverse dimensioni e, infine, di travolgere vari ordini di reticolato.
Se tali manifestazioni di potenza meccanica riscuotevano grande ammirazione tra il pubblico, lo Stato Maggiore non si dimostrò altrettanto interessato ad implementarne la produzione. Il colosso d’acciaio era eccessivamente visibile, lento, e fra l’altro, la sistemazione delle mitragliatrici - troppo in alto sulle corazzature inclinate - non consentiva di effettuare il tiro in depressione al di sotto di qualche grado cosa che lasciava scoperta una zona piuttosto ampia immediatamente intorno al carro.

Un altro problema era costituito dai cingoli troppo stretti, appena 45 cm per un gigante di quel peso che lo portavano ad affondare in terreni cedevoli. Lo stesso Generale Armando Diaz non voleva saperne di carri pesanti e la fine della guerra fece scemare del tutto l’attenzione sui mezzi corazzati, almeno per qualche anno.
I due esemplari di Fiat 2000 furono destinati, nel 1918, alla 1a Batteria Autonoma Carri d’Assalto del Regio esercito; uno fu spedito in Libia, dove, nel 1919, ebbe il suo battesimo del fuoco durante uno scontro con arabi ribelli nella zona intorno a Misurata. Fu in quella occasione che il carro, con i suoi 7,5 km/h di velocità massima, pure superiore ai carri pesanti inglesi, dimostrò di essere troppo lento per quell’impiego. I suoi 75 km di autonomia con un consumo di circa otto litri di benzina per kilometro risultavano anche poco pratici per le grandi distanze della Tripolitania. Che questo esemplare sia rimasto abbandonato nel deserto libico, o che sia stato smantellato non è dato sapere.
Il secondo carro, rimasto in Patria, fu custodito per anni presso il Forte di Pietralata, a Roma. Nel 1934, ricomparve all’ingresso del Campo Dux nel quartiere dei Parioli, dotato di una nuova livrea grigioverde e di due cannoni anteriori da 37/40 che presero il posto delle mitragliatrici. Nel 1936 troneggiava come monumento al centro della caserma Corrado Mazzoni, del 3° Rgt fanteria carrista, e alcuni testimoni lo videro nel 1939, in una rimessa della Caserma Bava di Vercelli. Da lì in poi non se ne seppe più nulla. Forse questo gioiello della tecnica della Grande Guerra e dell’industria italiana è stato inviato in fonderia. Di certo non potrà presenziare al suo centesimo compleanno.