Notiziario: Angelo d’Orsi: 1917. L’anno della Rivoluzione

Angelo d’Orsi: 1917. L’anno della Rivoluzione

Un anno cruciale il 1917. Un anno di avvenimenti seguiti mese per mese. Un anno che Anglo d’Orsi ha sezionato e esaminato a fondo. Anno cruciale, il 1917. Per la Russia, ovviamente, ma il titolo del libro è riduttivo. C’è molto di più, nel libro, della Rivoluzione russa.

“1917” poggia su due filoni principali. Il primo è la guerra: una guerra micidiale, devastante, che sembra destinata a non finire mai e che anzi, come Hobsbawm, l’A. vede come evento che dà inizio a una “Guerra dei Trent’anni”, finita soltanto con la sconfitta del fascismo e del nazismo.  Il secondo, ovviamente, la rivoluzione russa. Quest’ultima sarebbe una sorta di filone secondario dato che è una conseguenza della guerra. Ma per la sua portata e per le forze che sprigiona finisce per imporsi come evento centrale nella storia del Novecento.

La guerra mette a nudo elementi che caratterizzano sia la condizione degli stati del tempo, sia fenomeni che si manifesteranno in futuro. Dalla narrazione, ben documentata, emerge in tutta la sua nettezza la distanza tra classi dirigenti e classi popolari inquadrate negli eserciti. Nel 1917 la stanchezza per la la guerra era diffusa su tutti i fronti. Oltre che in Russia, ammutinamenti si verificano in Francia e fenomeni consistenti di stanchezza sono registrabili anche in Germania. Sotto la spinta di quanto accade in Russia, governi e vertici militari cercano di correre ai ripari introducendo misure che migliorano le condizioni di vita delle truppe. In Italia si verifica la devastante rotta di Caporetto.

Se la tenuta degli eserciti può costituire il termometro per misurare il grado di integrazione delle masse nei rispettivi Stati, allora a superare la prova si salvano Inghilterra, Germania e, in misura minore, Francia. L’idea che le classi dirigenti italiane hanno dei “poveri fanti” emerge in tutta la sua nettezza: l’attività incessante dei tribunali militari, l’assoluta insensibilità di Cadorna e dei vertici dell’esercito verso i soldati che considerano i soldati nè più, nè meno come carne da macello, condannata da una guerra condotta con metodi spietati e combattuta con strategie fallimentari, sono descritte in pagine molto belle e coinvolgenti.

Ad evidenziarsi, soprattutto, è la progressiva affermazione della forza dei militari sui governi: le “misure emergenziali” si moltiplicano, la libertà di stampa si restringe, diventa impossibile manifestare qualunque pensiero minimamente critico davanti a quella che il Papa, ad agosto, inutilmente chiamerà “inutile strage”. E’ curioso, e qui i brevi paralleli che l’Autore traccia col presente sono illuminanti, che la motivazione ufficiale di combattere la guerra per la difesa della “civiltà” si traduca di fatto in una costante restrizione della democrazia e dei diritti individuali. Ed è un fenomeno che la classe politica non solo subisce, ma fa proprio. Lo dimostra la rivolta di Torino in agosto: una rivolta provocata dalla fame, dalla mancanza di pane, che governo e classi dirigenti locali assolutamente non comprendono. Buon per loro che quella rivolta, che potrebbe facilmente dilagare, non assume connotazioni politiche perché manca all’interno del partito socialista, sulla difensiva per gli attacchi continui e furibondi degli interventisti e per di più, anche se ufficialmente unito, in realtà diviso al proprio interno, chi sia in grado di dare uno sbocco politico al malcontento.

Cosa che, invece, si verifica in Russia dopo il ritorno di Lenin – capace di trovare una strada per arrivare ad una rivoluzione sia grazie alle sua capacità, frutto di logica ferrea, di afferrare gli eventi e di assecondarli, anche a costo di stravolgimenti della teoria ufficiale. Di fatto – mi pare – lo snodo decisivo si ha quando Lenin si rende conto che i poteri del Governo provvisorio e quello del Soviet non possono coesistere e che uno dei due deve essere sacrificato. È lì, in quella consapevolezza, l’accelerazione degli eventi che porteranno i bolscevichi al successo.

Costrette a subire una guerra micidiale e incomprensibile al fronte, ad alimentarla con turni di lavoro massacranti e senza diritti nelle fabbriche, le masse rivolgono allora le loro ansie, paure e timori al sovrannaturale. Nel quinto capitolo d’Orsi fa una bella dimostrazione di questo fenomeno esaminando il culto mariano di Fatima, solo apparentemente slegato e lontanissimo dalla guerra in corso, come fenomeno di consolazione collettiva.

Fatima

Tanto più, e d’Orsi qui e là dissemina esempi significativi, che la guerra consente arricchimenti veloci e clamorosi di industriali e uomini d’affari: ingiustizie di un Paese che non riequilibra disparità e, anzi, arriva a premiare incompetenti e immeritevoli (come nel caso di Badoglio) e punisce, persino estraendo “a sorte” innocenti che poi fucila contro un muro come traditori.

Allora ci si pone interrogativi profondi. Se dopo Caporetto qualche provvedimento a favore dei soldati venne preso, altrettanto non si può dire del rapporto complessivo tra “paese legale” e “paese reale”. Si veda l’ipocrisia di D’Annunzio nel descrivere la fucilazione di soldati o quella di Mussolini che si erge a difensore dei combattenti e che, a guerra ancora in corso preconizza di fatto le prossime squadre fasciste. D’Orsi ha ragione quando scrive che “La genesi del movimento va, in certo senso, retrodatata al 1917, al dopo-Caporetto e al dopo-Rivoluzione bolscevica” (p. 231).

In fondo, la base su cui poggiano i due filoni del libro è la modernità che si affaccia nel nuovo secolo e che si annuncia in vario modo: con i progressi stupefacenti della tecnologia – che in guerra sono sinonimi di morte, di una morte meccanica, tecnologica e disumana, come quella che provocano sommergibili e aerei – si veda il bombordamento di Londra – e l’uso dei gas; con l’affinamento dell’intelligence – di cui fa le spese una donna spregiudicata e affascinante come Mata Hari; con la “ragion di stato” e le politiche che i paesi più forti impongono a quelli più deboli – come mostra l’Autore con gli esempi sul Medio Oriente (la cui destabilizzazione comincia allora ad opera degli inglesi), di Israele, o degli Stati Uniti, consapevoli degli spazi che la guerra sta aprendo a loro favore per esercitare un ruolo di primo piano nel futuro del secolo. O dei nemici della modernità, come dimostra l’accanimento della Chiesa cattolica contro la legislazione laica e progressista scaturita dalla rivoluzione messicana – accanimento vittorioso, anche se dopo decenni, ad Opera di Woytila e Ratzinger.

Non molto tempo fa ho recensito Guido Carpi: Russia 1917. Un anno rivoluzionario. Sono libri diversi, naturalmente, ma d’Orsi dedica un buon numero di pagine a Lenin e sul capo della Rivoluzione russa e sulla rivoluzione stessa qualche confronto può essere utile.

Con questo Anno rivoluzionario, d’Orsi ci ha regalato un gran bel libro, che si legge benissimo e avvince nonostante la densità e la quantità degli intrecci e delle considerazioni. 1917. L’anno della rivoluzione è un libro di qualità, che merita di essere letto.