VITA DI GUERRA di ETTORE VIOLA

DANESI EDITORE - 24 MAGGIO 1952A
Il libro "Vita di Guerra",  è scritto da Ettore Viola, Eroe della Grande Guerra e Presidente Nazionale dell'A.N.C.R. sino al 1958. Scritto intorno al 1932, è stampato in Roma il 24 maggio 1952 dall'Editore Danesi a seguito dell'interessamento dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci. Riportiamo di seguito  sia  la presentazione dell'allora Giunta Esecutiva Nazionale in carica sia la Prefazione dell'autore con dedica alla madre.
PRESENTAZIONE.
Nel tormento della vita odierna, nella quale pare si voglia spegnere ogni ideale per fermarsi a tutto quello che è materialità demolitrice dello spirito, coloro che alla guerra dettero  il loro entusiasmo e la loro fede per la Patria da difendere, macerando  il corpo nella trincea o lanciandosi disperatamente all'attacco  fremono  sempre al ricordo dei fatti eroici nati dalla  passione  che eleva gli uomini fino alle soglie del divino.
 Quando per le vie d'Italia, dietro le vecchie e gloriosa bandiere, ritmando il passo sulle nostalgiche note delle fanfare,  gli ex combattenti marciano per compiere un rito o per celebrare una data, il popolo è lungo le vie fermo e commosso e  il cuore è sospeso nel pensiero rivolto ai fratelli che sacrificarono la vita per salvare una fede o per redimere una terra  italiana. 
E' ancora possibile, dunque, ricordare i nostri fanti gloriosi, che bagnarono del loro generoso sangue le sabbie dell`Africa, che, spezzando i reticolati con i denti e opponendo i  loro petti gagliardi all'infuriare della battaglia, restituirono  Trieste all'Italia o comunque combatterono valorosamente sapendo di servire la Patria. 
Poiché ciò è possibile e serve come esempio luminoso alle  giovani generazioni. non bisognava lasciare inedite le pagine  che Ettore Viola aveva scritto da tempo e nelle quali è il ricordo di episodi che fanno lungamente pensare e concludere  che gli italiani hanno riempito la storia  di eroismi e di gloria. 
Ettore Viola, l'Ardito dall'animo fasciato di fede, sprezzante  della morte, pronto a tutti gli ardimenti  nella passione cocente  per la Patria immortale, seppe tutto il travaglio della guerra  e sulle carni porta le rosse cicatrici delle sue ferite e sul petto  ha i segni del suo eroismo:la medaglia d'ro, due medaglie di  argento, l'Ordine Militare di Savoia e una promozione per  merito di guerra.
 I fatti d'arme ricordati in queste pagine sono  di una grandezza da leggenda,sono degni di Roma.
Le leggano i giovani di oggi, e  scorrerà un fremito nelle loro vene.  e sentiranno l'orgoglio di essere italiani. Le leggano i combattenti  della prima guerra, e rivivranno la gioia   di aver dato il loro braccio e la loro fede in quelle giornate di passione e di gloria. Le  leggano i combattenti ed i reduci di questa ultima  guerra, e penseranno che è grande cosa offrire la propria giovinezza alla Patria.
 Ecco perché abbiamo voluto pubblicare  queste pagine che   ricordano l'Eroismo  dei Presidente dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e di tanti combattenti d'Italia.
 LA GIUNTA ESECUTIVA DELL'A.N.C.R.
DEDICA
Prima dei fatti politici del 1924 - ero anche allora presidente dell'Associazione Nazionale Combattenti e deputato al parlamento - un testo scolastico del Provveditorato agli studi per la Toscana riportava la seguente frase pronunciata da mia madre nel momento in cui stavo per raggiungere le trincee:" Piuttosto che disonorarti non tornare".
Io non ho deluso mia madre ed essa ora non è più.
Dedico a Lei queste pagine che narrano episodi vissuti, per volontà di Dio, sotto la sua protezione.
PREFAZIONE dell'Autore
Chi si accinge a narrare la storia anche frammentaria della propria vita si sente generalmente tenuto a  confessare le ragioni che lo hanno spinto a farlo e, nel  timore di essere giudicato male, o altera la verità o  dice addirittura  il contrario di ciò  che pensa. lo non  mi pronuncio in proposito, perché lo considero  inutile,  ma non per questo rinuncerò ad essere capito dagli  uomini di buona volontà della mia generazione e da  quei giovani che, sull'esempio dei loro padri o dei loro  fratelli maggiori, aspirano a rivedere la Patria come  qualche cosa che somigli al suo antico romanticismo.
 Dirò solo che, sulla base di appunti presi durante  la guerra, ho scritto queste pagine verso il 1932, dandole in visione alla Casa editrice Mondadori nel maggio 1935. Mario Pelosìni, che era in quel tempo direttore della Casa stessa,nello scrivermi, il 29 maggio  della stesso anno, che « le mie memorie di guerra gli  erano tanto piaciute per la loro nuda schiettezza" mi  pregava di volergliele lasciare per qualche tempo allo scopo di  poterne decidere la pubblicazione; ma io  non potei farlo perché avevo già deciso di  partire per  il Cile, dove rimasi poi fino al 1944.  Seguendo il  filo della mia narrazione il lettore  non tarderà a rendersi muto che non ho sempre fatto,  durante Ia guerra, cose di cui  mi possa oggi vantarmi e   che se ho talora dato l' impressione di essere stato un solitario, la ragione di ciò va ricercata nel fatto che noi ufficiali inferiori di fanteria, destinati ad agire in un limitatissimo settore, eravamo un po' come dei cavalli da tiro provvisti di paraocchi. In  tali condizioni, non potendo vedere nulla più di quanto ci capitava sotto il naso o attorno, a poca distanza, ci differenziavamo nettamente sia dagli ufficiali di più alto grado, sia dai colleghi di artiglieria, del genio e dagli addetti ai vari comandi od osservatori, ciascuno dei quali potrebbe  per tanto, scrivere un libro assai più interessante  e comunque meno personale di quello che per forza di cose ho scritto io.
La mia narrazione, scrupolosamente sincera e obiettiva, non potrà perciò neppure prescindere dalle peculiari condizioni in cui venivano a trovarsi quegli ufficiali inferiori abituati a trascinare all' assalto il proprio  reparto senza poter neppure voltare il capo indietro se non per assicurarsi che nelle file non c'erano state né debolezze né defezioni.
Le mie memorie sono quelle che sono; ed io mi riterrò pago della modesta fatica compiuta, solo se i miei compagni d'arme - in aggiunta alle non poche prove di affetto e di considerazione fatemi pervenire negli ultimi trentaquattro anni- vorranno darmi atto, come spero, che narrando gli episodi di guerra ai quali ho partecipato, mi sono attenuto alla verità fino allo scrupolo.
A questo punto non potrei dimenticare, tra coloro che hanno continuato a tenermi nella mente e nel cuore. il valoroso ardito Ambrogio Mauri il quale, per mezzo di un deputato del luogo, l'Onorevole Clerici, ha voluto inviarmi, dopo tanti anni, commosse parole di saluto servendosi di una cartolina che riproduce la mia figura in divisa di capitano degli arditi. Di una fotografia,  comparsa in qualche rivista nel lontano 1919, il bravo ragazzo, d'accordo con altri due  miei arditi, aveva fatto fare varie riproduzioni, tipo cartolina illustrata,  da spedire ad amici e conoscenti, per sua  soddisfazione personale.
Il ƒatto, in apparenza modesto, ha invece un profondo significato morale e io lo ricordo perché anche esso serve a dimostrare in quale concetto erano tenuti gli ufficiali che in guerra avevano dato prova di grande senso di responsabilità e coraggio.
Roma,24 maggio 1952