Notiziario: Una mostra voluta dall’Esercito: 89 opere degli artisti italiani in armi

Una mostra voluta dall’Esercito: 89 opere degli artisti italiani in armi

Esposizione presso lo stadio di Domiziano a Roma da oggi fino al 4 giugno. I lavori sono datati dal 1942 e comprendono acquerelli, chine, xilografie, tempere e dipinti ad olio
Per la prima volta, dopo 75 anni, rivedono la luce: sono le 89 opere realizzate dagli artisti italiani che combatterono, durante la Seconda guerra mondiale, sui fronti del Nord Africa, dei Balcani, della Grecia e della Russia. Dimenticate per decenni negli strabocchevoli depositi del Museo del Genio militare, sono stateriscoperte un anno fa e, da oggi fino al 4 giugno, saranno esposte al pubblico nella mostra «Artisti italiani in armi» voluta dall’Esercito e allestita presso lo stadio di Domiziano, a Roma. Una mostra coraggiosa che ripropone, per la prima volta dal 1942, alcuni dei 797 acquerelli, chine, xilografie, tempere e dipinti ad olio che furono esposti durante la «Prima mostra degli artisti italiani in armi» voluta dal Regime e inaugurata, nella Capitale, presso il Palazzo delle Esposizioni.  

«E’ un evento che consente di evidenziare – spiega il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Gen. Danilo Errico – il perfetto connubio tra lo spirito di sacrificio e la creatività connaturata nel Popolo Italiano che si riflettono su tutto il materiale, tecnico e scientifico, custodito presso l’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio. Questo splendido vernissage potrà essere la base per ulteriori iniziative che consentiranno all’Ente di riaprire finalmente al pubblico dopo essere stato chiuso per un trentennio».  L’allestimento di Alberico Barbiano di Belgiojoso, pone al centro dell’attenzione l’arte di pittori del calibro di Ezio Castellucci, Cesare Andreoni, Guido Colucci e tanti altri. Come spiega il Capo del V Reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito, Gen. Giuseppenicola Tota: «Attraverso questa mostra, il visitatore potrà riscoprire l’importanza della memoria militare nell’opera di pittori che ritrassero non solo battaglie e momenti della dura esistenza al fronte, ma anche squarci di vita quotidiana, momenti di svago, sentimenti ed emozioni dei nostri soldati». (Non manca nemmeno qualche sguardo compassionevole verso profughi civili e nemici catturati).  Dopotutto, dal Risorgimento fino alla prima metà del ‘900, la guerra ha affascinato costantemente gli artisti italiani, molti dei quali si arruolarono e partirono volontari per vivere - talvolta con afflato estetizzante - un’esperienza che li portasse a indagare i lati più remoti, luminosi e oscuri dell’animo umano.  

Tuttavia, se molto è già stato scritto sull’opera dei pittori italiani nella Prima Guerra mondiale, finora, pressoché nessuna attenzione era stata dedicata a quelli che parteciparono alla Seconda. Le opere sono quasi «diari di guerra dipinti», avulsi tanto da illusori trionfalismi, quanto da serpeggianti suggestioni antimilitariste. Esprimono, piuttosto, con disarmante sincerità, una «guerra senza odio», una serena volontà di resistere con abnegazione e senso del dovere alle sorti - divenute ormai sfavorevoli - di un conflitto in cui, per citare il celebre cippo di El Alamein, spesso «mancò la fortuna, non il valore». E’ un atteggiamento, questo, che traspare nei massicci, rocciosi artiglieri contraerei di Albino Tovagliari, còlti nell’imperturbabile attesa dei bombardieri nemici, le cui divise si stagliano sul cielo minaccioso, anch’esso grigioverde; oppure negli atletici Alpini sciatori di Ugo Sambruni, ritratti sul monte albanese Guri i Topit, avvolti in un mimetismo bianco che li confonde col paesaggio innevato circostante.  

Uomini immersi nel gelo (in questo caso della steppa russa) figurano anche nei lavori di Cesare Andreoni dove, tormentate dal vento siberiano, sventolano le piume degli elmetti da bersagliere. 

Emoziona anche la fila seria e disciplinata di paracadutisti negli acquerelli di Angelo Pinciroli, così come l’abbandono totale, quasi mistico, del suo parà, immortalato nel momento supremo del lancio.  

Nelle incisioni a puntasecca di Edoardo Migliorini, sfilano fanti geometrici, intabarrati nei lunghi pastrani, curvi, in marcia, sotto il peso degli zaini, oppure fermi e diritti, vigilanti su torme di prigionieri. Su questi ultimi si indirizza lo sguardo curioso di Ezio Castellucci che, nel suo carboncino acquerellato «Il prigioniero russo», descrive con vicinanza umana - e tratti quasi espressionisti - la fisionomia contadinesca e tipicamente slava di un povero diavolo dell’Armata rossa. 

Le opere raccontano anche di mezzi e attrezzature, come negli evanescenti disegni a matita di Ghigo Tommasi, dove ci viene restituito, in un’atmosfera irreale, uno degli strumenti più strani e affascinanti usati in guerra: l’aerofono - elementare antenato del radar - con le sue trombe tentacolari protese a catturare, per l’orecchio di un soldato cieco, il lontano ronzìo degli aerei nemici. 

Carta velina, cartone, matita, carboncino, tempera, acquerello: i supporti e le tecniche pittoriche utilizzati sono, nella maggior parte dei casi, frugali e veloci, a testimonianza del fatto che gli artisti erano, prima di tutto, soldati al fronte senza troppe possibilità di dedicarsi a laboriose e magniloquenti pitture ad olio. Eppure, l’eccellente tecnica disegnativa, esercitata a lungo presso la severa «accademia» dell’epoca, consentiva loro di realizzare, anche sul campo, piccoli capolavori come «I segnalatori» di Michele Agnoletto il quale, con una semplice matita su cartone, scolpì, in un raffinato gioco di luci artificiali, due militari intenti a usare, di notte, un’apparecchiatura ottica da 45 mm. 

Il contatto diretto dell’artista-soldato con la dura realtà della guerra rende immuni queste opere da forzature propagandistiche. Nell’ordinare la mostra del 1942, nemmeno lo Stato Maggiore del Regio Esercito volle, dopotutto, imporre una tendenza: «Abbiamo lasciato – si scriveva - che l’ispirazione di ogni artista si manifestasse libera alla ricerca del soggetto, servendosi della tecnica preferita o meglio sentita dal singolo artista. Noi italiani sappiamo che lo spirito non si comprime imponendo in arte un sistema». 

Andrea Cionci