Umberto Novaro, l’eroe di Capo Spada

Ufficiale della Regia Marina, il Capitano di Vascello Umberto Novaro il 19 luglio 1940 divenne il protagonista, suo malgrado, della battaglia navale di Capo Spada, al largo dell’Isola di Creta, quando al comando dell’Incrociatore Leggero Bartolomeo Colleoni affrontò una formazione della Royal Navy britannica, composta da un incrociatore e ben cinque cacciatoediniere. A seguito dello scontro di Punta Stilo, Supermarina decise di contrastare il traffico navale inglese inviando la Seconda Divisione Incrociatori, al comando del Contrammiraglio Ferdinando Casardi, composta dal Giovanni dalle Bande Nere e dal già citato Bartolomeo Colleoni. Le navi italiane salparono da Tripoli la sera del 17 luglio 1940, seguite la mattina successiva da una task force britannica, incaricata di pattugliare il Mar Egeo nel Canale di Caso, a est di Creta, con compiti antisommergibile e contrasto ai convogli italo-tedeschi. Frattanto, avuto notizia da parte dei servizi di intelligence italiani della presenza in area operativa del gruppo navale della Royal Navy, il comando della Regia Aeronautica di Rodi era messo in stato di allarme, ricevendo l’ordine di effettuare ricognizioni aeree e garantire la necessaria copertura alla squadra del Contrammiraglio Casardi.

Colleoni sotto il fuocoFu all’alba del 19 luglio, alle 06.17 del mattino, che le vedette del Bande Nere scorsero all’orizzonte i profili e il fumo dei cacciatorpediniere inglesi: dieci minuti più tardi, da una distanza di 17.500 metri, le navi italiane aprivano il fuoco, navigando alla velocità sostenuta di ben 30 nodi. Le navi britanniche ruppero il contatto, ricongiungendosi al resto della formazione navale, costituita dall’Incrociatore Sidney e dal Cacciatorpediniere Havock. A questo punto, due siluri furono lanciati contro il Bande Nere e il Colleoni, costringendo i due incrociatori a compiere delle manovre evasive, aumentando al contempo la distanza tra le due formazioni. Casardi, intenzionato a non lasciarsi sfuggire la preda, diede ordine di aumentare la velocità a 32 nodi e a riprendere l’inseguimento: dopo un altro scontro a fuoco, alle 07.05 le artiglierie di bordo tacquero, senza che le navi inglesi avessero subito danni. Alle 07.30, peró, il Sidney, di cui Casardi ignorava la presenza, inquadrò i due incrociatori italiani: una potente salva colpì il Bande Nere, esplodendo nell’aviorimessa e uccidendo quattro marinai. Solo un colpo italiano raggiunse il Sidney, colpendolo al fumaiolo e senza provocare altri danni. Allontanandosi progressivamente per il mare agitato e le cortine fumogene, alle 08.10 le navi italiane raggiunsero Capo Spada, dove dalla nebbia uscì a tutta forza l’incrociatore avversario. Il Colleoni venne colpito al timone, immobilizzandolo, mentre una seconda salva centrò la sala motori: nonostante fosse privo dell’elettricità, l’equipaggio continuò a fare fuoco, utilizzando il puntamento manuale.

Bartolomeo Colleoni squarciatoIl destino dell’incrociatore era però segnato: alle 08.29 i Cacciatorpediniere Ilex e Hyperion lanciarono due siluri, uno dei quali tranciò di netto la prua del Colleoni, mentre altri due esplosero contro la fiancata destra e la nave cominciò a piegarsi e capovolgersi. Alle 08.40 il mare si richiuse su oltre 120 uomini dell’equipaggio, mentre altri 555 vennero recuperati e fatti prigionieri dagli Inglesi. Tra di essi anche il Capitano di Vascello Novaro, gravemente ferito, che mai volle abbandonare la plancia di comando, neanche quando la sorte della sua nave era ormai decisa. Venne decorato postumo di Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Comandante di incrociatore leggero, dedicava tutte le sue energie spirituali e materiali alla preparazione della nave per il supremo cimento, guidandone ogni attività verso un sacro ideale di dovere e di sacrificio. Impegnato in lungo e strenuo combattimento contro forze superiori, portava animosamente al fuoco la sua unità, infondendo nei dipendenti, con la parola e con l’esempio le sue alte doti di coraggio e di sprezzo del pericolo e continuava con implacabile volontà l’impari lotta anche quando la sua nave, immobilizzata dalle avarie e colpita a morte, era circondata dagli avversari che concentravano su di essa l’offesa con ogni arma, a distanza ravvicinata. Ferito gravemente durante l’azione, incurante di sé, dava disposizioni per il salvataggio della gente, mentre l’unità affondava a bandiera spiegata. Minorato dalle ferite riportate, deciso ad inabissarsi con la nave, veniva dai suoi ufficiali munito a viva forza di un salvagente e sospinto in mare. Raccolto da unità nemica, soccombeva alle ferite dopo due giorni di sofferenze sopportate stoicamente, chiudendo in terra straniera la sua nobile esistenza tutta dedicata alla Patria. Acque di Candia, 19 luglio 1940”. Lo scontro ebbe termine solo nel tardo pomeriggio, con due successive ondate di aerei della Regia Aeronautica, che attaccarono il convoglio inglese senza procurare alcun danno: ancora una volta, la mancanza di coordinazione tra marina e aviazione (unita alla scarsa protezione degli incrociatori leggeri) fu la principale causa della sconfitta italiana a Capo Spada.