Chiamato alle armi in Artiglieria (cannoni 149 prolungati) nel 1939, stetti per circa 1 anno a Capri in Batteria Costiera.
Da Capri partii per la Russia (con i Tedeschi nostri alleati).
In Russia eravamo impreparati e male equipaggiati a quel clima.
Mi ricordo che sulle nostre ciglia si formavano i cristallini. Camminavamo in un metro di neve e se non tiravi subito fuori le gambe dalla neve rimanevi congelato; eravamo tutti affamati e stanchi e, solo quando moriva qualche cavallo, mangiavamo la carne cruda.
Mi ricordo ancora che il nostro battaglione, in un incrocio, fu diviso in tre file: una fila andò a destra, una a sinistra e noi al centro; quelli che andarono a destra e sinistra non ebbero mai ritorno.
Rimasi per circa un anno in Russia, dove subii il congelamento delle mani.
Successivamente, ritirati per l’avanzata dei Russi, fui portato all’ospedale di Como per essere curato per il congelamento di secondo grado alle mani. Fui poi trasferito ad Alessandria (Torino) nella Caserma allora chiamata Veneria Reale.
Dopo l’armistizio di Badoglio, i Tedeschi mi catturarono e mi portarono in Germania, facendomi lavorare prima in uno zuccherificio a Rehburg e successivamente, per circa 2 anni, presso uno stabilimento di Aerei (Messerschmitt).
Durante tale periodo per sfamarmi mangiavo patate crude, quando le trovavo.
Mentre lavoravo in questo stabilimento di aerei, cadde una bomba proprio all’interno dello stesso senza esplodere. Io riflettendo mi dicevo: se non sono morto adesso non morirò più.
Finita la guerra, fui rimandato in Italia nel 1945.
Nel suddetto periodo, prigioniero in Germania (circa 2 anni), i miei genitori non ebbero mai notizie, poiché non mi era consentito di comunicare, quindi mi considerarono disperso.