Notiziario: TESTIMONIANZE: TORELLO LIPPINI

TESTIMONIANZE: TORELLO LIPPINI

Nato a Luciana, frazione di Vernio, nel 1921
Mio padre lavorava alla costruzione della Direttissima, la mamma era casalinga.
Sono partito a 20 anni per il servizio militare di Leva, era il 12 gennaio del 1941. Fui mandato a Treviso a fare il CAR. Dopo 40 giorni, fui trasferito a Santo Stefano di Cadore nella 2a Compagnia, Battaglione Cadore, Divisione Julia degli Alpini.
Il 24 luglio del 1942, a scaglioni partimmo per la Russia. Eravamo armati di mitragliatrici e mortai da 81 e il moschetto con i caricatori.
Eravamo vestiti con un cappotto foderato di pelliccia di agnello, ai piedi, zoccoli foderati di pelliccia, la pelliccia ci arrivava fino ai ginocchi, mentre i soldati tedeschi avevano gli stivali di cuoio. Si combatteva sul Don, per aiutare i tedeschi a ritirarsi. Noi soldati Italiani si faceva la resistenza. Era il 19 novembre del 1942, in quel combattimento io rimasi ferito. Eravamo tre caporali maggiori, due morirono. Uno si chiamava Bergani Aldo e l’altro Fontana Elio, erano tutti e due di Santo Stefano di Cadore. A Elio diedero un mese di licenza per andare a sposarsi, la moglie rimase incinta. Il figlio non ha conosciuto il babbo. La moglie Ada, finita la guerra, si recò in Russia, girò per tanti uffici alla ricerca di notizie ma non ricevette
nessuna risposta, solo che era stato dichiarato disperso.
Prima di Natale del 1942 tutto il battaglione fu sterminato, morirono tutti. Io mi salvai perché ero rimasto ferito, mi rimpatriarono all’Ospedale Militare di Vicenza. Quando fui guarito mi mandarono a fare servizio sedentario sulle tradotte militari da Mestre ad Atene in Grecia. Si riportava i militari ai loro reggimenti o reparti, al ritorno si riportava in Italia i soldati feriti, diretti ad Ospedali o per la convalescenza, alcuni che andavano a casa in licenza. Questo seguitò fino al 25 luglio del 1943, con la caduta del fascio. Quando l’8 settembre Badoglio annunciò l’armistizio io mi trovavo a Magliano Veneto. Un colonnello ci disse: - Ragazzi siete liberi! Non si sa più chi comanda, tornate a casa. -
Eravamo 800 soldati del battaglione di scorta treni e servizio di cucina, tutti allo sbando. La metà scapparono subito, gli altri il 12 settembre, fra i quali io con altri tre compagni toscani, uno era di Siena, uno di Borgo San Lorenzo e uno di Malmantile.
Partimmo a piedi e si attraversò il Po al Ponte delle barche, ci avevano avvertito che i tedeschi non c’erano in quel punto del fiume. Diverse famiglie caritatevoli ci aiutarono, dandoci degli abiti civili e qualcosa da mangiare, a volte nei campi si trovavano delle mele o uva, ma la fama era tanta. Si dormiva in terra, oppure in qualche fienile, i piedi ci sanguinavano, le scarpe le avevamo finite.
Arrivai a Luciana il 16 settembre del 1943, quando la mia mamma mi vide, non credeva ai suoi occhi, mi credevano morto, era tanto che non avevano mie notizie. Non volli più sapere di guerra, andai a lavorare alla macchia a far carbone al posto del mio babbo, ormai anziano, nei boschi della fattoria delle suore di San Cresci a Borgo San Lorenzo. Quando passavano i partigiani, eravamo diversi boscaioli, cercavamo di aiutarli come si poteva, salvammo anche un soldato inglese. Finita la guerra andai a lavorare in fabbrica a Prato dal Ricceri, in bicicletta, con il bello e il brutto tempo, da Luciana a Coiano dove si trovava la fabbrica.