Notiziario: TESTIMONIANZE: SIRO VIGNOLINI

TESTIMONIANZE: SIRO VIGNOLINI

Nato a Barberino del Mugello (Firenze), il 27 gennaio del 1917.
Fino al momento della leva ero lavoratore mezzadro agricolo.
Il 5 marzo del 1938 fui chiamato dal distretto militare di Firenze ed inviato al 2° Contraerei di Napoli.
Dopo due mesi di addestramento fui trasferito al 21° Reggimento di Corpo D’Armata di Bengasi, Libia.
Qui fui ammesso alla scuola radio telegrafisti. Nel mese di novembre, con altri tre compagni fui inviato al 7° Genio di Firenze per un corso di radio montatore. Nella primavera del 1939 avvenne la prima grande manovra in Tripolitania, attraversammo il Deserto Sirtico fino alla Tunisia. Nell’autunno del 1939, invece di essere congedati, fummo trattenuti. Nella primavera del 1940 ci fu la seconda grande manovra in Cirenaica, ai confini con l’Egitto.
Nell’autunno 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia con la Germania, fummo inviati sul fronte egiziano contro gli inglesi. Qui avvenne la prima avanzata (fino a Marsa Matruk).
In seguito per ragioni logistiche, dopo aver fatto partire tutti gli automezzi vuoti, per non farli catturare dal nemico, ci fecero distruggere (con un piccone) tutte le stazioni radio, e, dopo essersi liberati di ogni cosa superflua, quei chilometri di avanzata li dovemmo rifare a piedi fino alla Ridotta Capuzzo, nostro confine libico. Qui avvenne il mio Calvario: essendomi liberato delle scarpe vecchie, quelle nuove mi facevano male ai piedi, così dovetti rifare tutto il cammino a piedi nudi, per tre giorni e tre notti. Gli inglesi non si erano accorti subito della nostra partenza, per il primo giorno tutto andò bene, ma il secondo e il terzo cominciarono a bombardare la nostra colonna: per grazia divina ci venne in aiuto il ghibli, il vento del deserto che oscura di sabbia tutto il cielo, come una fitta nebbia da noi. Gli inglesi non vedevano più la nostra colonna e non vedevano neppure dove cascavano le loro bombe.
Grazie al ghibli giungemmo indenni a Sollum, posto di confine libico mentre le pulci e i pidocchi che avevamo addosso, furono distrutti successivamente in prigionia. Il 3 gennaio 1941 quasi tutto il nostro Corpo d’Armata infatti fu fatto prigioniero.
Il 6 gennaio avemmo il primo pasto, una scatoletta di tonno e una gallettina ogni quattro soldati: il giorno dopo, un gavettino di acqua. Rimanemmo per tre mesi in un campo di prigionieri ad Ismailia: per pasto tre cucchiai da cucina di riso stracotto al giorno. In seguito partimmo per il Sudafrica. Sbarcammo a Durban e fummo trasferiti a Zonderwater, nel Transvaal, al blocco numero 2 di Zonderwater. Ogni blocco era composto di quattro campi, noi ne avevamo occupato soltanto uno, gli altri erano liberi; ogni campo era composto di altrettante cucine già pronte all’uso dove noi andavamo a far bollire i nostri panni nei grandi pentoloni per togliere pulci e pidocchi. Malgrado la porzione del cibo, che dicevano di essere uguale a quella dei loro soldati, per noi prigionieri era molto scarsa, data la fame arretrata e patita nell’accerchiamento e in quei tre mesi passati in Egitto.
La mia fortuna fu di saper scrivere bene in stampatello. Ero lo scrivano di tutti i prigionieri del blocco n° 2. Per aver ideato un sistema per tagliare le fette di pane tutte uguali, feci parte dello staff della cucina.
Dopo otto anni che ero partito militare arrivò la fine della prigionia. Tante sarebbero le peripezie e i patimenti da raccontare: le pulci, i pidocchi, al confine con l’Egitto fui anche ferito al braccio destro: essendo in posizione avanzata, dovetti trasmettere con la mano sinistra tutti i dati che mi venivano recapitati per il Quartier Generale. Per tale motivo mi fu conferita la Croce di Guerra al valor militare e la promozione da caporal maggiore a sergente.
Dopo otto anni dalla partenza, meno una settimana, il 26 febbraio 1946, mi ricongiunsi con la mia famiglia a Barberino di Mugello. Mi presentai alle elezioni amministrative e fui eletto Assessore alla Pubblica Istruzione (allora si chiamava così), ma per motivi di lavoro ed esigenza di una mia sistemazione, emigrai a Prato, dove tuttora risiedo. Ho lavorato nella filatura Galli & Capponcelli fino all’età della pensione, nel 1977. Ho ripreso anche a scrivere sonetti (la mia grande passione), quando ero prigioniero ne avevo scritti un centinaio. Mi piange il cuore nel vederli chiusi in un cassetto, come carta straccia finiranno in una discarica, fanno parte della mia vita e raccontano la mia odissea, comune ai tanti soldati che furono protagonisti nell’ultima guerra, molti dei quali non fecero ritorno alle loro famiglie.