TESTIMONIANZE: SEVERINO MORGANTI

Nato a Castiglione de’Pepoli (Bologna), il 9 agosto 1921
Sono partito per il militare a diciannove anni e mezzo nel gennaio del 1941, come tutti quelli della mia classe.
All’inizio sono stato destinato a Verona al Genio Minatori. Dopo i tre mesi di addestramento ci hanno trasferito in Jugoslavia, in Slovenia prima a Postumia e poi a Lubiana. Da qui siamo stati spostati nel Montenegro, nella zona di Cattaro, dove c’era un importante porto militare, le cosiddette Bocche di Cattaro, che era difficilmente attaccabile dal mare, ma che noi dovevamo proteggere dagli attacchi partigiani che potevano arrivare dalle montagne subito aridosso del porto. Eravamo di stanza in un forte a Langatica e per questo servizio ho anche ricevuto un encomio solenne.
Successivamente fui trasferito a Spalato, dove facevo il centralinista. Nonostante questo incarico della fine della guerra l’ho saputo perché sono stato avvisato dalla ragazza slava di cui ero innamorato. Nel frattempo tutte le varie compagnie dislocate nelle vicinanze rientrarono a Spalato, dove tutti insieme fu deciso di combattere contro i Tedeschi. Ci unimmo ai partigiani Jugoslavi e per quindici giorni, combattemmo contro i Tedeschi. Dopo quindici giorni io ed alcuni altri fummo catturati ed iniziò il nostro Calvario.
Fummo portati attraverso le montagne jugoslave a Zagabria, il viaggio durò trenta giorni che trascorremmo continuamente camminando a piedi, e senza mangiare. A Zagabria fummo fatti salire su un treno piombato che ci portò in Germania dove arrivai il 1° novembre del 1943.
La prima destinazione fu vicino ad Achen in Bassa Sassonia, alla cui stazione fummo fatti fermare. Più precisamente fummo assegnati alle miniere di carbone di Lisdolfer. Il nostro gruppo fu assegnato al turno di notte. Il lavoro nella miniera era molto duro, specie per chi non era abituato a lavorare sotto terra. Io avevo lavorato da ragazzo ad undici, dodici anni, alla Direttissima nella costruzione della stazione sotterranea di Ca’ di Landino, ed ero per questo un po’ abituato.
Il nostro gruppo faceva l’avanzamento della miniera ed era un lavoro duro e rischioso. Cioè facevamo, scavando a mano, un piccolo foro di circa cinquanta centimetri, nel quale venivano poi piazzate le mine per avanzare. Ciò era molto rischioso e avemmo anche diversi incidenti, mi ricordo un caro amico, Bargazzini, che morì schiacciato per il crollo dell’armatura della galleria. Ricordo anche un altro di Pesaro che fece la stessa fine. C’era poi il fatto che noi Italiani eravamo discriminati dagli altri prigionieri, perché eravamo stati alleati dei Tedeschi e allora Francesi, Russi, Polacchi ci sputavano addosso e spesso facevamo anche a botte.
In miniera ci sono stato dieci mesi, poi dopo lo sbarco alleato in Normandia ci spostarono verso l’interno della Germania. Il viaggio fu spesso interrotto da devastanti bombardamenti. Finalmente io arrivai, in treno, con alcuni compagni in quella che ora è la Repubblica Ceca e fummo assegnati ad un posto vicino Praga, una grande abetaia in montagna. Qui fui assegnato ad un particolare lavoro quello di fare l’avvistatore di aerei durante i viaggi notturni che i Tedeschi facevano per rifornire le loro truppe impegnate sul fronte russo. In pratica io dovevo stare disteso sul cofano di un camion e dovevo avvisare il conducente quando si vedevano in cielo degli aerei.
Questi viaggi si facevano sempre di notte per evitare maggiori pericoli ma era lo stesso un compito assai rischioso, non solo per me, ma anche per il conducente del camion. Avevo la Carta di Lavoro n.° 2494.
Alla fine di febbraio del 1945, quando il fronte orientale era già molto vicino, il conducente del camion a cui ero affidato mi fece fuggire, forse per evitare anche lui di rischiare la vita in quei continui viaggi notturni.
Fuggimmo io ed un altro compagno di prigionia, il conducente tedesco mi aveva dato anche un grosso pacco di tabacco dicendomi che vendendolo alle varie fattorie della zona avrei trovato cibo ed ospitalità, perché il tabacco era raro e molto prezioso, in quelle circostanze. Ed, infatti, fu così.
Per circa quaranta giorni siamo stati alla macchia, avvicinandosi per quanto era possibile al confine italiano.
Poi all’arrivo delle truppe russe continuammo il viaggio seguendo il fronte verso l’Italia ed il 7 maggio del 1945 eravamo a Zolanzo ad ottanta chilometri da Tarvisio. Da qui in cinque giorni riuscii ad arrivare a Castiglione dei Pepoli, passando da Udine a Mestre da dove prosegui per Forlì poi Imola ed infine Bologna, facendo parte del tragitto a piedi, parte in treno ma soprattutto utilizzando mezzi di fortuna.