Nato a Prato il 15 novembre 1921
A 20 anni sono stato chiamato in Marina, sono andato a La Spezia. A La Spezia mi hanno vestito e poi dopo una settimana mi hanno mandato a Brindisi. A Brindisi ci sono stato una diecina di giorni, imbarcato e mi hanno mandato a Lero passando per il Pireo, il porto di Atene e dopo due giorni di navigazione siamo arrivati a Lero. Io a Lero sono stato 2 anni, il primo anno il 1942, s’era alleati con i tedeschi e venivano le incursioni inglesi, e bombardamenti come sempre e noi si imparava.
Poi nel ’43 all’armistizio, Badoglio ci impose di combattere contro i tedeschi e
allora vennero i bombardamenti tedeschi che durarono per 54 giorni. Ci hanno smantellato tutte le difese perché era un continuo bombardamento, ci saranno stati 200 bombardamenti in 54 giorni. Costì sono stato preso prigioniero, imbarcato, portato al Pireo. Dal Pireo ci hanno messo sui vagoni ferroviari e ci hanno portato a Minks in Bielorussia, attraversando diverse nazioni. Ci diedero una matricola. Mi mandarono in una compagnia di lavoratori tedeschi che lavoravano né più e né meno per una ferrovia.
E da lì è cominciato il mio inferno perché mi hanno fatto patire la fame, il freddo e la violenza di questi tedeschi. Però in questi momenti qui o che sia stato in treno o che sia stato portato in un campo di concentramento avevi sempre il fucile puntato alla schiena “Vai,vai, corri! ” ti davano le moschettate nella schiena, insomma parecchie cose cosi...
E lì c’ho passato 2 anni e mi portarono a Vileira che era a 200 o 300 chilometri di distanza da Minks sempre più dentro l’URSS.
Sono stato 6 mesi in questa città fino a che il fronte russo gli avanzò. E allora ci portarono via e ci obbligavano a fare 30 chilometri il giorno. C’avevo gli zoccoli ai piedi e anche le fasce. ...30 chilometri il giorno. Noi s’e girato mezza Europa fino ad arrivare ad Amburgo. Ci imbarcarono dalle parti di Stettino e ci portarono in Danimarca. Dalla Danimarca ci portarono a Rigeln che è una cittadina proprio nel nord della Germania. Da Rigeln ci portarono a Kiel vicino ad Amburgo. E ad Amburgo ci portarono in un campo di concentramento degli inglesi e ci rimandarono a casa nel ’45, maggio del ’45.
Sì..Questo è grosso modo tutto quello che ho passato io, senza poi dirti delle angherie come tutti.. te ne posso dire una. Noi quando si era a lavorare, laggiù dove ci si fermava ci mettevano a lavorare, ci svegliavano che c’erano ancora le stelle e sino alle stelle tu lavoravi e i’ che succedeva che ti levavano da dormire e ti buttavano di sotto alla branda per andare in fila e dividevano per dire questi vanno sulla stazione, gli altri vanno... e via. A me quel giorno lì mi capitò, sentii dire che avevano chiamato il 32, gli ultimi due s’eramo io e un altro. E qualche cosina si avviava a capire con questi tedeschi, specialmente se tu adoperavi qualche arnese che poi veniva sempre ripetuto e sentii dire di pigliare 2 pali e un piccone. E allora io con un freddo a quella maniera bisognava stare attenti a mettere i piedi dove c’era l’orme perché i’ ghiaccio ti tagliava i piedi. Sicché misi le mani in tasca e andavo dietro a quell’altro che gli aveva corso avanti a andare a prendere questi pali. Io feci nemmeno a tempo a sentire quello dietro ciuf ciuf, sentivo dei passi che rompeva la neve con gli stivaloni.. a un tratto sentii arrivare una pedata di dietro, giù nella neve sicché mi levai avevo 20 anni e quello ne avrà avuti 65 anni, un affare a questa maniera, avevo gli occhi come una belva e i’ che
succede, succede. Quello lì mi tirò un cazzotto e persi i sensi. Allora dalla rabbia, perché non l’aveva mai fatto nessuno e presi e ritornai al campo di concentramento e mi messi nella branda, dopo poco e venne il capo del campo di concentramento insieme a un sergente maggiore nostro che parlava francese e s’intendevano. E allora gli avviò a bestemmiare in tedesco e mi riferì.. dice digli arrabbiato “A me m’ha a dire se siamo prigionieri o
civili, i’ che siamo noi‘?” sai i’ che mi rispose?! Dice “Te non sei né un civile né un prigioniero, sei un numero! ” E con quell’affare lì i’ che vuol dire che se tu sei un numero anche se tu sparisci. .. non tu sei più conosciuto.. Infatti diversi di noi sono spariti e non si sa nulla, dei nostri compagni che s’eramo insieme. Chi ha avuto una malattia, c’è stato diverse epidemie lì, tifo o Petecchiale, come si chiamava, e diversi sono stati mandati via non si sa perché, perché gonfiavano e gli veniva non che malattia è.. ma gonfiavano... insomma una diecina furono spariti tutti.
Io diverse svariate volte per il freddo che entrava addosso ho fatto anche delle bischerate, una tra le quali mi ricordo quel giorno che c'era una tempesta di neve, che non vedevi da qui a lì, e ti facevano rompere, tagliare gli alberi con quei tre piedi, uno di qua e uno di là. Non ce la facevo più, quel giorno non ce la facevo più e allora i’ che feci messi un piede sotto il tronco che tagliava dopo poco mi venne un livido questa maniera e allora mi portarono nel campo di concentramento e ci sono stato 2 giorni a pelare patate, queste cose qui. Per dirti in che condizioni s'era, certamente e basterebbe un giorno solo che ti potessi raccontare tutto quello che ti capita.
(...)