Nato a Reggello (Firenze), il 10 dicembre 1923
All’inizio del 1943, il 28 gennaio, partii da Reggello, dove risiedevo con la mia famiglia, per la Legione Allievi dei Carabinieri di stanza a Torino. Mi ero arruolato volontario con una ferma triennale nell’Arma.
A Torino venni assegnato all’8A Compagnia alla Caserma Cernaia.
Mi ricordo bene che il giorno stesso del mio arrivo subimmo un bombardamento aereo, e questo fu il mio vero e proprio battesimo di guerra anche perché, a causa dei frequenti bombardamenti dovuti alla grande presenza di industrie belliche sul territorio, la zona di Torino era già stata dichiarata zona di guerra a tutti gli effetti.
I giorni seguenti iniziò la vita militare di addestramento al servizio di carabiniere: al mattino la sveglia suonava alle 5.30, le prime ore erano dedicate allo studio in aula, dopo iniziava la piazza d’armi, che comprendeva tutto quanto non era semplicemente teoria: era la preparazione vera e propria per affrontare il nostro futuro servizio.
Passai a Torino i primi sei mesi di corso fino al giuramento, quando da allievo carabiniere, che ero stato fino ad allora, passai carabiniere effettivo.
Eravamo dunque pronti per iniziare il servizio mentre la guerra si avvicinava sempre di più, infatti di lì a poco gli Alleati sarebbero sbarcati in Sicilia.
Fui assegnato alla Legione Carabinieri di Firenze e da qui mandato alla stazione Carabinieri di San Giustino Valdarno in Provincia di Arezzo.
Alla Stazione il servizio che svolgevamo era assai vario, anche se in quel particolare periodo si trattava soprattutto di farsi benvolere dalla popolazione, cosa in quel momento non era molto facile perché c’erano già dei bombardamenti e dovevamo cercare di non metterci in contrasto con le leggi di guerra che allora vigevano.
L’ Armistizio dell’8 settembre ci corse di sorpresa e venne l’ordine di restare ai nostri posti, cosa che noi facemmo.
Quasi tutti i giorni subivamo i bombardamenti alleati perché il territorio di nostra competenza era vicino alla ferrovia Firenze-Roma. In zona c’era un importante nodo ferroviario che gli alleati volevano interrompere perché i rifornimenti tedeschi non potessero raggiungere il fronte, che era fermo a Cassino.
In particolare gli Alleati tentavano di bombardare e di distruggere il ponte di Bucine, cosa che era assai difficile perché era collocato in maniera che anche se mille bombe andavano di qua o di là, ma il ponte rimaneva sempre in piedi.
Andammo avanti così fino all’estate del 1944, cioè al momento in cui i Tedeschi cominciarono la ritirata dalla nostra zona, anche se noi carabinieri della Stazione di San Giustino Valdarno eravamo a conoscenza che sul Pratomagno operavano i Partigiani della formazione di Potente, sapevamo anche che non ci sarebbe dovuto accadere niente, perché avevamo dei contatti con i Partigiani e avevamo loro promesso che al momento opportuno avremmo consegnato loro le armi.
Invece le cose andarono così: il 30 luglio venne attaccata dai Partigiani una macchina tedesca e vennero uccisi tre ufficiali, per quella azione i nazi-fascisti fecero un rastrellamento arrestando una decina di persone che furono passate per le armi proprio di fronte alla nostra caserma.
Noi l’avevamo lasciata la notte precedente dopo aver consegnato le nostre armi ai Partigiani. Io chiusi la porta della caserma e presi la chiave che conservo ancora. Mi ero portato con me le armi che avevo in dotazione personale e tornato a casa, a Reggello, presi contatto con le formazioni partigiane che operavano in zona. Molti di loro erano miei amici che agivano nella zona di Secchieta: io facevo soprattutto da staffetta di collegamento informandoli su cosa facevano e dove si spostavano i Tedeschi ed i fascisti ...portavamo anche il mangiare alle formazioni partigiane, soprattutto il pane che facevano i contadini della zona, e che veniva da noi distribuito ai vari gruppi partigiani.
Una domenica mattina tornando a casa la trovai circondata dai repubblichini che la stavano perquisendo.
Per fortuna non trovarono le armi, che avevamo accuratamente nascosto, se no ci avrebbero uccisi
all’istante. Trovarono invece soltanto del materiale di propaganda della Resistenza e dei volantini che gettavano gli Alleati dagli aerei. Ci interrogarono e ci misero alle strette e non avendo avuto risposte ci misero al muro e schierarono il plotone di esecuzione dicendo: - Vi si fucila.-
Io a questo punto dissi loro: - Quello che avevamo da dire vi si è già detto, se ci passate per le armi noi diventeremo degli eroi - e aggiunsi, rivolto al sergente Scolari, che conoscevo, e che sarebbe poi stato ucciso da altre formazioni partigiane: - voi sarete dei delinguenti e dei criminali.- Per fortuna non ci fucilarono però ci arrestarono e ci portarono con loro, me ed un mio cugino, e, mentre
continuavano il rastrellamento nelle frazioni del comune di Reggello, ci rinchiusero in una scuola, in uno stanzino che serviva per tenervi la legna.
La notte ci fu un bombardamento e io pregavo che le bombe cascassero vicine in modo da poter scappare.
Ma stavano bombardando la ferrovia nei pressi di Rignano sull’Arno e fecero solo tremare i muri della stanzina in cui eravamo rinchiusi.
Il giorno dopo ci prelevarono da questa stanzina e ci portarono a Firenze alla famigerata Villa Triste dove operavano Lombrichini ed il maggiore Carità.
Ci rinchiusero dentro ad una stanza e mentre ci chiudevano i sentii con i miei orecchi: - Cosa ne facciamo di questi due, qui è pieno, li fuciliamo tutti, tanto gli Inglesi stanno per arrivare e dobbiamo scappare quanto prima.-
Si stette rinchiusi due giorni, eravamo più di venti in una stanzina di tre metri per tre metri, tutti in piedi perché non ci si poteva nemmeno mettere seduti.
Ci chiamarono la sera del secondo giorno, chiamarono: - Ferrini, via si parte! - Io a quel punto pensavo che ci ammazzassero. Invece dissero: -Voi andate via.- - Via dove? - - Fuori siete liberi. -
Quando uscimmo vedemmo due sentinelle una all’ingresso ed un tedesco al portone del giardino. Dissi a mio cugino. -Se si passa queste due sentinelle e siamo ancora vivi, per arrivare al Ponte Rosso è un balzello! -
E dal Ponte Rosso ci incamminammo verso Rovezzano dove trovammo un posto di blocco dove operavano insieme Tedeschi e repubblichini.
Per fortuna io avevo sempre con me il tesserino da carabiniere e gli dissi che eravamo due carabinieri che ci dovevamo recare urgentemente a Rignano sull’Arno per arrestare una persona. Non era vero niente, ma ci andò bene: fermarono un camion tedesco che andava verso Arezzo e ci fecero montare sopra, quando fummo arrivati al posto dove volevamo scendere picchiammo al conducente che ci fermò. Ringraziai dicendo al Tedesco: -Arbeiter - cioè grazie.
Da quel momento iniziò per noi la vita alla macchia, organizzandosi per rimanere vicino a casa fino al momento che il fronte avanzando arrivò vicino a noi ed arrivarono le forze tedesche.
Una mattina venne da noi che eravamo nascosti la zia, che era la massaia, la donna di casa, e ci disse che due Tedeschi volevano le frittelle ed aveva paura. Io gli dissi di far loro da mangiare, intanto con mio cugino si andò in cantina e, anche se avevamo poco vino, ne prendemmo un fiasco e ci si mise dentro una bella manciata di sale, insomma lo drogammo.
Dopo che ebbero mangiato e bevuto quel vino erano già in euforia, girava loro la testa, erano sbronzi; allora io e mio cugino, che eravamo armati, entrammo in casa e li togliemmo le armi, che tra l’altro non avevano più nemmeno addosso, ma avevano lasciate appoggiate al muro di cucina. Li rinchiudemmo nello stalletto del maiale, che avevamo dietro casa.
Questi due tedeschi erano gli ultimi, quelli che dovevano inserire i detonatori nelle mine già piazzate.
Infatti di detonatori ne avevano un tubo pieno, e dovevano piazzarli in un ponte lì vicino che era già minato e doveva essere fatto saltare.
Insomma riuscimmo a salvare sia il ponte che è ancora in piedi, che altri posti della zona che erano già stati minati.
Lo stesso giorno sentimmo una grande esplosione che veniva dalla strada principale che passava vicino
a casa mia: un carro armato inglese aveva preso una mina con un cingolo e era saltato in aria, ma i due occupanti erano riusciti a scendere e venivano verso casa nostra.
Io parlavo un po’ d’Inglese e loro capivano qualche parola di Italiano, così riuscimmo a spiegarli che avevamo due prigionieri tedeschi e loro li presero in consegna.
Per ricompensa ci dissero che potevamo prendere tutto ciò che restava sul loro carro armato. Demmo anche a loro un fiasco di vino, questo non drogato, presero i prigionieri e se ne andarono, rimase solo la carcassa del carro armato.
Il fronte era già passato, ma restavano alcune sacche di resistenza dalle parti di Vallombrosa, da dove i tedeschi sparavano con i cannoni verso il basso. Ammazzarono anche alcune persone. Gli Inglesi intanto avevano allestito a poca distanza da casa mia, in un terreno pianeggiante un piccolo campo di atterraggio per la Cicogna, un piccolo aereo da ricognizione.
La Cicogna atterrava tutti i giorni tra mezzogiorno e l’una.
Un giorno un capitano inglese venne a casa ed io gli dissi che pensavo di sapere da dove i Tedeschi sparavano con i cannoni, lui mi disse di seguirlo e mi portò dal pilota, che mi fece montare con lui sull’aereo, che era a due posti.
Si partì e volando sopra gli oliveti si arrivò nella zona di Vallombrosa, dove io gli indicai al pilota dove potevano essere le postazioni tedesche e lui tramite radio avvisò l’artiglieria che iniziò a sparare contro la montagna.
Dopo questo fatto la mia guerra finì.
Tornai alla Stazione dei carabinieri di Reggello e la riformammo, anche se nei primi tempi dopo la Liberazione la situazione era assai confusa perché operavano ancora i Partigiani e stava insediandosi l’Autorità Militare Alleata. Noi cercavamo di mediare tra tutti, facilitati anche dal fatto che i Partigiani, che erano ragazzi della zona, li conoscevamo tutti bene. Poi la situazione cominciò a stabilizzarsi e gli Alleati insediarono a Reggello un Governatore Militare.
Mi ripresentai allora a Firenze alla Regione Carabinieri e da quella sede centrale quando cominciarono ad essere ricostituite le varie Stazioni territoriali fui destinato a Gambassi Terme, dove rimasi fino al congedo nel 1946.
Successivamente ho sfruttato la mia esperienza come Carabiniere per diventare il primo vigile urbano del Comune di Vaiano, che fu costituito nel 1949. Sempre come vigile urbano ho continuato la mia carriera al Comune di Prato, pur continuando a risiedere a Vaiano.