Tenente MUSETTINI Domenico
137° Fanteria Brigata Barletta
Nato a Massa il 21 Ottobre 1888
Morto sul Monte Sei Busi il 1 Agosto 1915
Sepolto ---------
Decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare
Con mirabile prontezza ed ardimento alla testa di pochi soldati, contrattaccava vigorosamente al grido di <<Savoia>> il nemico che era riuscito a penetrare di sorpresa nella linea, finché cadeva eroicamente sul campo.
Monte Sei Busi, 1 Agosto 1915
Note Storiche
La seconda battaglia dell'Isonzo sta svolgendo al termine quando la Brigata Barletta con il 137° Fanteria da il cambio il 30 Luglio 1915 al 14° Fanteria Brigata Pinerolo, reduce dalla conquista di Quota 111 avvenuta il 25 Luglio 1915.
Ora la nuova linea Italiana inglobava quella che poi diventerà famosa come la Dolina dei 500 o Zappatori chiamata invece oggi erroneamente "dei Bersaglieri", linea che salvo qualche modifica nel corso delle battaglie successive fino all'Agosto del 1916 dopo l'avanzamento del fronte.
La Brigata Barletta apparteneva nel periodo alla 27^ Divisione.
Subito arrivata in linea il Reggimento verrà impegnato in diversi attacchi e soprattutto contrattacchi Austriaci che si susseguiranno nei primi giorni di Agosto tra i quali quello che vedrà la morte del Tenente Musettini.
Possiamo rivivere i suoi ultimi giorni di vita dal racconto di Alarico Buonaiuti tratto dal suo libo "Sul Carso Raggiunto", il reggimento si trova a Ruda giorni prima di entrare in linea sul Monte Sei Busi
- Il Comandante di compagnia ha chiamato in parte noi subalterni. E' un giovane di ventisei anni, Musettini Domenico di Massa, tenente di carriera prossimo alla promozione, colto ed attivissimo, militare fino alla cima dei capelli, tutto disciplina e regolamenti. Venuto a comandarci quando eravamo già in zona di guerra, s'è guadagnato subito, nonostante il suo rigore ed i suoi scrupoli, la considerazione e l'affetto dei nostri.
La compagnia rimasta lungo tempo senza l'autorità di un vero capo s'era lasciata andare, s'era ridotta un organismo slegato, sfibrato, sonnacchioso. Domenico Musettini, prendendone vigorosamente le redini nella sua mano giovane ed esperta aveva compiuto, in un mese, un miracolo di risveglio e riorganizzazione.
Dunque Musettini ci ha chiamato in disparte, il raggio di qualche lanterna da campo ci illuminava un poco. Il volto del nostro comandante aveva il sorriso abituale, e i suoi occhi ci hanno guardato con la solita dolcezza un pò femminea, cosa strana di un ufficiale di quella fatta. S'andava in battaglia, forse s'andava a morire, ma nessuna commozione in lui, nulla che dimostrasse sgomento. Noi aspettavamo degli ordini. No ci aveva chiamato per salutarci.
<<Io morrò. Sento che morrò. Sono destinato a morire. Prima che mi inviassero al 137° ero lontano dalla morte: il destino mi ha spinto versoi la morte. Non ho figli, non ho moglie. I miei fratelli faranno senza di me e si divideranno la mia proprietà. Mandate loro la mia cavalla, la mia Flora, e raccomandate che la custodiscano.>>
Noi stavamo a sentirlo, attoniti, dinanzi a tanto stoicismo. La commozione ci stringeva la gola da non proferir nessuna sillaba. Eppoi che cosa replicare? Si? No? Guardavamo il nostro comandante con tutta l'anima negli occhi: lo avremmo baciato sulla fronte. Avremmo dovuto dirgli, è vero. << Ti copriremo con i nostri corpi e sarai salvo. Tu così grande, tu più di noi meriti di vivere ancora>>, ma egli ha ripreso subito rivolgendosi al tenente Summa: << Quando non ci sarò più, tu prenderai il comando della compagnia....>>. E, dopo una pausa impressionante, << ma anche tu morrai...>>.
Ie e Scarola, il sottotenente meno anziano, assorti nel miracolo di quella tragica e pacata chiaroveggenza, non abbiamo neanche volto gli occhi verso l'amico buono così stranamenente designato e Musettini, pensoso come prima, ma più dolce, alzando l'indice destro verso di me: << A te sarà affidato il compito di portare avanti i soldati. Tu non morrai....>>.
Ed altro forse voleva dire; ma è venuto l'ordine della partenza. Sono tornato al mio plotone col cuore molle di pianto. Quel linguaggio, a cui la serenità deò dire e le circostanze avevan dato l'impronta di un vaticinio tutt'altro che capriccioso e sollazzevole, mi aveva comunicato un'indicibile angoscia.
Come aveva potuto parlare un uomo così? Chi e che cosa gli avevano dato il senso del futuro? Io avevo creduto al presagio, e la gioia per la buona sorte riserbatami era tremendamente amaraggieta dalla certezza dell'altrui sia pur gloriosa sventura.
Il Reggimento il 30 Luglio 1915 da Ruda si mosse verso il Sei Busi dove dato il cambio ai resti del 14° e 134° Fanteria si posizionò nella linea assegnata. Continua il racconto di Buonaiuti nel suo diario di quei giorni:
- Il sole era alto. Dalle feritorie partivano rari colpi di fucile che pareva avessero piuttosto obiettivi venatori. Era negli uomini un'indicibile prostrazione: rannicchiati ai piedi della loro minuscola fortezza, pensavano e sembrava che dormissero. I capisquadra - molti di fresco nominati a colmare i vuoti - richiesti della nota dei mancanti, correvano a destra e a sinistra, curvi, con un foglio nelle mani, interrogando questo e quello. Ma quanto da fare ! Come l'operazione doveva essere difficile, con i plotoni disorganizzati, e decimati a quel modo ! Avevo visto scendere verso il posto di medi-cazione, barcollanti sulle gambe stremate, o esausti e morenti sulle barelle, i migliori della mia com-pagnia. Quel Mattioli, che pochi giorni innanzi, mostrandomi il ritratto della sposa con un sorriso largo e birichino, s'era tuttavia detto felice della guerra, alla quale offriva con serenità la freschezza del suo volto e la possa delle sue spalle taurine, se n'era andato verso l'ospedale o il cimitero, con le guance smorte e l'occhio smarrito, mentre il sangue sgorgante da invi bili fori arrossava con reiterata violenza il telo della barella su cui era disteso ? Mi vide nel passarmi allato, fece l'atto di alzare il capo e di parlarmi ; non potè, chiuse gli occhi, mentre la sua mano aveva un movimento faticoso di saluto. Lallumera non l'avevo riconosciuto, tanto profonde si segnavano sul suo volto le sofferenze delle molte vene aperte. Ma quando il suo sguardo incontrò i miei occhi, la faccia gli si colori di ritornante vita. , Signor tenente, il suo allievo caporale. Le ciglia gli si bagnarono di rabbia, e su quella fronte, contratta dallo spasimo, vidi diffondersi un volo di affettuosi ricordi e di immutabili speranze. Le barelle, cariche d' íra e di ferite, si succedevano I' una dopo l'altra, ininterrottamente. Il corpo, che fu solido come il macigno, di uno zappatore, il Palange del mio plotone, passò rattrappito sul mobile giaciglio come la fragile personcina di un rachitico. E giovani poco innanzi tarchiati e tutto fuoco, tempre di Capaneo che mi erano sembrate, durante i disagi dei bivacchi e le fatiche del campo, così fatte da non la poter su loro non pure la mitraglia degli uomini, ma neanche la folgore di Giove, vidi contorcersi come fanciulli sofferenti o malmenati. Mi parve che un delitto di lesa uma-nità dei più cinici, dei più feroci, si fosse compiuto. Era il fiore della stirpe schiantatosi all' urto dell'aquilone, era la forza d' Italia che l'Austria aveva infranto ? No. Gocciole di sangue traboccate dai margini di un oceano, petali porporini strappati ai densi lembi di una rifiorente ghirlanda. E me lo gridasti tu, Minoretti, signore della battaglia, mentre i compagni a forza ti trattenevano sulla barella, e tu volevi tornar sulla trincea, moribondo, a imprecare per 1' ultima volta contro l'oppressore dei tuoi fratelli irredenti. Il suo corpo era tutto una piaga: la granata gli aveva contorto le membra, lacerate le carni ; ma gli occhi contenevano ancora tutta la sua vita, tutto il suo odio, e le labbra si agitavano in una suprema invocazione di vendetta. E pregava i portaferiti che gli alzassero il capo e glielo rivoltassero indietro, verso là, dove il suo sogno doveva veder ancora levarsi dall'orizzonte il molle profilo della sua Trieste. I compagni, che l'avevan veduto lasciare il fuoco, con quale animo saranno rimasti senza di lui? Per certo molti, nel segreto, avranno pianto; alcuni avranno maledetto la sorte che senza quella voce, senza quel gran cuore di soldato, li riserbava alle nuove battaglie. In un vano della trincea, come avesse voluto chiuderlo col suo corpo e cementarne col suo sangue le pietre sgretolate, la faccia rivolta e il braccio disteso verso il nemico, giaceva esanime Domenico Musettini. La gloria aveva avuto fretta di portarsela via quell'anima gentile di cavaliere che era vissuto cercandola, di sacrificio in sacrificio, con l' insonne ardore degli innamorati, non vedendo che la luce del suo volto nella caligine della vita, non aspettando che il suo amplesso, recalcitrante ad ogni altra lusinga. Oh, eccelsa ventura, a ventisei anni, morire così, e non aver amato che quella! Morire? Oh, non era già stato quello un morire, ma un congiungersi con l'ideale, un consacrarsi al prescelto destino! Non ci aveva egli a Ruda parlato così? I soldati che ricordavano la sua alacre attività di condottiero, le sue orazioni brevi, alte, lucide, i suoi incitamenti per qualche loro ingnavia, e i suoi impetuosi rimproveri, innanzi a quella salma quasi affondata tra i sassi di una trincea infranta, i soldati, nella loro estatica riverenza, pensavano che il dovere non è un ordine per i gregari, ma una realtà per tutti, e sentivano come una vergogna, come un rimorso di essere ancor vivi loro che alla patria potevano offrire tanto di meno. Egli, il comandante che era stato sempre il primo alle istruzioni e alle fatiche, aveva voluto essere anche il primo a morire, ed essi, i soldati, non avrebbero forse immaginato, un mese avanti, quand'egli arringava la truppa nel fervore della sua eloquenza guerresca, che la teoria sarebbe stata poi suggellata a quel modo da un così tragico esempio. Pareva dicessero: Come piccolo sarà oramai il nostro dono! » Erano anche caduti il capitano Perfetti della nona, di Massa pure lui — due ufficiali aveva dato in un momento alla patria la fiera città toscana — gigantesco e bronzeo come un Otello, ma buono che non avrebbe torto il collo ad un passero, e il Molina della dodicesima, intrepido e inflessibile, sempre col fazzoletto rosso rovesciato sul taschino, a ricordo della Brigata « Alpi donde proveniva, quella che fu di Garibaldi. E insieme uno stuolo di umili, tra cui, del mio plotone, Lalungo, il soldato sarto, concessoci, due giorni innanzi, dalla nona compagnia in cambio di uno dei nostri troppi barbieri; il sorridente Marrone; quel Daltilio che m' era sempre occorso di richiamare all'ordine, da per tutto, per l'intempestiva ed esuberante ilarità; Morrone lo zappatore paziente e taciturno; Migliaccio il portaferiti misericordioso come una suora di carità; quel mite e semplice Calderisi, elettricista stupefacente, che a Solferino ci aveva organizzato con nulla l'illuminazione della mensa, e ai rallegramenti aveva abbassato il capo arrossendo come un' educanda alle prime lodi di un coetaneo in-namorato, ed altri ancora ... Ma il combattimento non dava tempo ai rimpianti. Morto Musettini, ferito il bravo tenente Summa più anziano, a me spettava il comando della compagnia.
Ero pronto.
Veduta verso le Quote 111 e 118
Veduta verso Quota 111 da Dolina Cordoni
Il Valloncello di Redipuglia
Veduta da Quota 118
Trincea Dogliotti
Mappa con le linea Austriache del Sei Busi quasi simili a quelle dell'Agosto del 1915 dove la Quota 118 risultava invece ancora in mano Austriaca.
La seconda battaglia dell'Isonzo sta svolgendo al termine quando la Brigata Barletta con il 137° Fanteria da il cambio il 30 Luglio 1915 al 14° Fanteria Brigata Pinerolo, reduce dalla conquista di Quota 111 avvenuta il 25 Luglio 1915.
Ora la nuova linea Italiana inglobava quella che poi diventerà famosa come la Dolina dei 500 o Zappatori chiamata invece oggi erroneamente "dei Bersaglieri", linea che salvo qualche modifica nel corso delle battaglie successive fino all'Agosto del 1916 dopo l'avanzamento del fronte.
La Brigata Barletta apparteneva nel periodo alla 27^ Divisione.
Subito arrivata in linea il Reggimento verrà impegnato in diversi attacchi e soprattutto contrattacchi Austriaci che si susseguiranno nei primi giorni di Agosto tra i quali quello che vedrà la morte del Tenente Musettini.
Possiamo rivivere i suoi ultimi giorni di vita dal racconto di Alarico Buonaiuti tratto dal suo libo "Sul Carso Raggiunto", il reggimento si trova a Ruda giorni prima di entrare in linea sul Monte Sei Busi
- Il Comandante di compagnia ha chiamato in parte noi subalterni. E' un giovane di ventisei anni, Musettini Domenico di Massa, tenente di carriera prossimo alla promozione, colto ed attivissimo, militare fino alla cima dei capelli, tutto disciplina e regolamenti. Venuto a comandarci quando eravamo già in zona di guerra, s'è guadagnato subito, nonostante il suo rigore ed i suoi scrupoli, la considerazione e l'affetto dei nostri.
La compagnia rimasta lungo tempo senza l'autorità di un vero capo s'era lasciata andare, s'era ridotta un organismo slegato, sfibrato, sonnacchioso. Domenico Musettini, prendendone vigorosamente le redini nella sua mano giovane ed esperta aveva compiuto, in un mese, un miracolo di risveglio e riorganizzazione.
Dunque Musettini ci ha chiamato in disparte, il raggio di qualche lanterna da campo ci illuminava un poco. Il volto del nostro comandante aveva il sorriso abituale, e i suoi occhi ci hanno guardato con la solita dolcezza un pò femminea, cosa strana di un ufficiale di quella fatta. S'andava in battaglia, forse s'andava a morire, ma nessuna commozione in lui, nulla che dimostrasse sgomento. Noi aspettavamo degli ordini. No ci aveva chiamato per salutarci.
<<Io morrò. Sento che morrò. Sono destinato a morire. Prima che mi inviassero al 137° ero lontano dalla morte: il destino mi ha spinto versoi la morte. Non ho figli, non ho moglie. I miei fratelli faranno senza di me e si divideranno la mia proprietà. Mandate loro la mia cavalla, la mia Flora, e raccomandate che la custodiscano.>>
Noi stavamo a sentirlo, attoniti, dinanzi a tanto stoicismo. La commozione ci stringeva la gola da non proferir nessuna sillaba. Eppoi che cosa replicare? Si? No? Guardavamo il nostro comandante con tutta l'anima negli occhi: lo avremmo baciato sulla fronte. Avremmo dovuto dirgli, è vero. << Ti copriremo con i nostri corpi e sarai salvo. Tu così grande, tu più di noi meriti di vivere ancora>>, ma egli ha ripreso subito rivolgendosi al tenente Summa: << Quando non ci sarò più, tu prenderai il comando della compagnia....>>. E, dopo una pausa impressionante, << ma anche tu morrai...>>.
Ie e Scarola, il sottotenente meno anziano, assorti nel miracolo di quella tragica e pacata chiaroveggenza, non abbiamo neanche volto gli occhi verso l'amico buono così stranamenente designato e Musettini, pensoso come prima, ma più dolce, alzando l'indice destro verso di me: << A te sarà affidato il compito di portare avanti i soldati. Tu non morrai....>>.
Ed altro forse voleva dire; ma è venuto l'ordine della partenza. Sono tornato al mio plotone col cuore molle di pianto. Quel linguaggio, a cui la serenità deò dire e le circostanze avevan dato l'impronta di un vaticinio tutt'altro che capriccioso e sollazzevole, mi aveva comunicato un'indicibile angoscia.
Come aveva potuto parlare un uomo così? Chi e che cosa gli avevano dato il senso del futuro? Io avevo creduto al presagio, e la gioia per la buona sorte riserbatami era tremendamente amaraggieta dalla certezza dell'altrui sia pur gloriosa sventura.
Il Reggimento il 30 Luglio 1915 da Ruda si mosse verso il Sei Busi dove dato il cambio ai resti del 14° e 134° Fanteria si posizionò nella linea assegnata. Continua il racconto di Buonaiuti nel suo diario di quei giorni:
- Il sole era alto. Dalle feritorie partivano rari colpi di fucile che pareva avessero piuttosto obiettivi venatori. Era negli uomini un'indicibile prostrazione: rannicchiati ai piedi della loro minuscola fortezza, pensavano e sembrava che dormissero. I capisquadra - molti di fresco nominati a colmare i vuoti - richiesti della nota dei mancanti, correvano a destra e a sinistra, curvi, con un foglio nelle mani, interrogando questo e quello. Ma quanto da fare ! Come l'operazione doveva essere difficile, con i plotoni disorganizzati, e decimati a quel modo ! Avevo visto scendere verso il posto di medi-cazione, barcollanti sulle gambe stremate, o esausti e morenti sulle barelle, i migliori della mia com-pagnia. Quel Mattioli, che pochi giorni innanzi, mostrandomi il ritratto della sposa con un sorriso largo e birichino, s'era tuttavia detto felice della guerra, alla quale offriva con serenità la freschezza del suo volto e la possa delle sue spalle taurine, se n'era andato verso l'ospedale o il cimitero, con le guance smorte e l'occhio smarrito, mentre il sangue sgorgante da invi bili fori arrossava con reiterata violenza il telo della barella su cui era disteso ? Mi vide nel passarmi allato, fece l'atto di alzare il capo e di parlarmi ; non potè, chiuse gli occhi, mentre la sua mano aveva un movimento faticoso di saluto. Lallumera non l'avevo riconosciuto, tanto profonde si segnavano sul suo volto le sofferenze delle molte vene aperte. Ma quando il suo sguardo incontrò i miei occhi, la faccia gli si colori di ritornante vita. , Signor tenente, il suo allievo caporale. Le ciglia gli si bagnarono di rabbia, e su quella fronte, contratta dallo spasimo, vidi diffondersi un volo di affettuosi ricordi e di immutabili speranze. Le barelle, cariche d' íra e di ferite, si succedevano I' una dopo l'altra, ininterrottamente. Il corpo, che fu solido come il macigno, di uno zappatore, il Palange del mio plotone, passò rattrappito sul mobile giaciglio come la fragile personcina di un rachitico. E giovani poco innanzi tarchiati e tutto fuoco, tempre di Capaneo che mi erano sembrate, durante i disagi dei bivacchi e le fatiche del campo, così fatte da non la poter su loro non pure la mitraglia degli uomini, ma neanche la folgore di Giove, vidi contorcersi come fanciulli sofferenti o malmenati. Mi parve che un delitto di lesa uma-nità dei più cinici, dei più feroci, si fosse compiuto. Era il fiore della stirpe schiantatosi all' urto dell'aquilone, era la forza d' Italia che l'Austria aveva infranto ? No. Gocciole di sangue traboccate dai margini di un oceano, petali porporini strappati ai densi lembi di una rifiorente ghirlanda. E me lo gridasti tu, Minoretti, signore della battaglia, mentre i compagni a forza ti trattenevano sulla barella, e tu volevi tornar sulla trincea, moribondo, a imprecare per 1' ultima volta contro l'oppressore dei tuoi fratelli irredenti. Il suo corpo era tutto una piaga: la granata gli aveva contorto le membra, lacerate le carni ; ma gli occhi contenevano ancora tutta la sua vita, tutto il suo odio, e le labbra si agitavano in una suprema invocazione di vendetta. E pregava i portaferiti che gli alzassero il capo e glielo rivoltassero indietro, verso là, dove il suo sogno doveva veder ancora levarsi dall'orizzonte il molle profilo della sua Trieste. I compagni, che l'avevan veduto lasciare il fuoco, con quale animo saranno rimasti senza di lui? Per certo molti, nel segreto, avranno pianto; alcuni avranno maledetto la sorte che senza quella voce, senza quel gran cuore di soldato, li riserbava alle nuove battaglie. In un vano della trincea, come avesse voluto chiuderlo col suo corpo e cementarne col suo sangue le pietre sgretolate, la faccia rivolta e il braccio disteso verso il nemico, giaceva esanime Domenico Musettini. La gloria aveva avuto fretta di portarsela via quell'anima gentile di cavaliere che era vissuto cercandola, di sacrificio in sacrificio, con l' insonne ardore degli innamorati, non vedendo che la luce del suo volto nella caligine della vita, non aspettando che il suo amplesso, recalcitrante ad ogni altra lusinga. Oh, eccelsa ventura, a ventisei anni, morire così, e non aver amato che quella! Morire? Oh, non era già stato quello un morire, ma un congiungersi con l'ideale, un consacrarsi al prescelto destino! Non ci aveva egli a Ruda parlato così? I soldati che ricordavano la sua alacre attività di condottiero, le sue orazioni brevi, alte, lucide, i suoi incitamenti per qualche loro ingnavia, e i suoi impetuosi rimproveri, innanzi a quella salma quasi affondata tra i sassi di una trincea infranta, i soldati, nella loro estatica riverenza, pensavano che il dovere non è un ordine per i gregari, ma una realtà per tutti, e sentivano come una vergogna, come un rimorso di essere ancor vivi loro che alla patria potevano offrire tanto di meno. Egli, il comandante che era stato sempre il primo alle istruzioni e alle fatiche, aveva voluto essere anche il primo a morire, ed essi, i soldati, non avrebbero forse immaginato, un mese avanti, quand'egli arringava la truppa nel fervore della sua eloquenza guerresca, che la teoria sarebbe stata poi suggellata a quel modo da un così tragico esempio. Pareva dicessero: Come piccolo sarà oramai il nostro dono! » Erano anche caduti il capitano Perfetti della nona, di Massa pure lui — due ufficiali aveva dato in un momento alla patria la fiera città toscana — gigantesco e bronzeo come un Otello, ma buono che non avrebbe torto il collo ad un passero, e il Molina della dodicesima, intrepido e inflessibile, sempre col fazzoletto rosso rovesciato sul taschino, a ricordo della Brigata « Alpi donde proveniva, quella che fu di Garibaldi. E insieme uno stuolo di umili, tra cui, del mio plotone, Lalungo, il soldato sarto, concessoci, due giorni innanzi, dalla nona compagnia in cambio di uno dei nostri troppi barbieri; il sorridente Marrone; quel Daltilio che m' era sempre occorso di richiamare all'ordine, da per tutto, per l'intempestiva ed esuberante ilarità; Morrone lo zappatore paziente e taciturno; Migliaccio il portaferiti misericordioso come una suora di carità; quel mite e semplice Calderisi, elettricista stupefacente, che a Solferino ci aveva organizzato con nulla l'illuminazione della mensa, e ai rallegramenti aveva abbassato il capo arrossendo come un' educanda alle prime lodi di un coetaneo in-namorato, ed altri ancora ... Ma il combattimento non dava tempo ai rimpianti. Morto Musettini, ferito il bravo tenente Summa più anziano, a me spettava il comando della compagnia.
Ero pronto.
Veduta verso le Quote 111 e 118
Veduta verso Quota 111 da Dolina Cordoni
Il Valloncello di Redipuglia
Veduta da Quota 118
Trincea Dogliotti
Mappa con le linea Austriache del Sei Busi quasi simili a quelle dell'Agosto del 1915 dove la Quota 118 risultava invece ancora in mano Austriaca.