Storie di uomini. La parabola di un bersagliere: Giulio Giordani

di Andrea Spicciarelli.

La strumentalizzazione della Grande guerra e dei suoi reduci da parte del movimento, e poi partito, fascista cominciò fin dai primi anni Venti, coinvolgendo anche figure che con esso non avrebbero avuto nulla a che spartire. È questo il caso di Giulio Giordani, mutilato di guerra e poi consigliere comunale di minoranza, rimasto ucciso il 21 novembre 1920 durante la strage di Palazzo d’Accursio. Di tendenze radicali, Giordani sarebbe assurto a posteriori a primo “martire” del fascismo bolognese, tanto da “meritare” la traslazione nel Monumento ai Martiri della Rivoluzione fascista nel Chiostro VI della Certosa felsinea. Come vedremo, invece, la parabola pubblica di questo combattente decorato non lo portò mai ad abbracciare gli ideali del futuro regime.
Nato a Bologna il 31 marzo 1878 da Giuseppe e Raffaella Spisani, dopo la licenza liceale conseguita al “Galvani” si iscrisse alla Facoltà di Legge dell’Università di Bologna. In contemporanea con il suo percorso di studi, che lo portò a laurearsi con lode nel 1898-1899, prestò servizio militare come allievo ufficiale presso il 4° Reggimento Bersaglieri di stanza nel capoluogo emiliano. La sua carriera di avvocato ebbe quindi inizio presso lo studio di Gaspare Ghillini, per poi passare dapprima alle dipendenze di Enrico Garagnani ed infine a quelle di Leone Magni.
Di simpatie democratiche – e come detto aderente al Partito radicale – nel 1914 Giordani si mostrò favorevole all’entrata in guerra dell’Italia: il 13 ottobre assistette al comizio tenuto da Cesare Battisti presso la palestra “Virtus”, attigua all’antica chiesa di Santa Lucia, e partecipò alle riunioni che gli interventisti bolognesi tenevano presso l’Hotel Baglioni di via Indipendenza. Nel maggio 1915 Giordani fu richiamato alle armi in qualità di Sottotenente del 6° Reggimento Bersaglieri. Asceso al grado di Tenente, il 28 ottobre rimase ferito ad una gamba mentre – al comando di una compagnia – guidava l’assalto alla Trincea delle Frasche, sul fronte isontino: colpito dal fuoco di una mitragliatrice, per questa sua azione gli fu conferita una Medaglia d’Argento al Valor Militare, in quanto «Preso in mezzo al reticolato, continuava ad animare ed incitare i bersaglieri, benché ripetutamente ferito, finché, colpito ad una gamba, cadde riverso sul reticolato stesso». Sopravvissuto all’assalto, Giordani fu ritrovato dopo molte ore: trasportato all’ospedale di Palmanova (Udine), dovette subire l’amputazione della gamba. A dispetto dell’annuncio della sua morte pubblicato da alcuni giornali, tra i quali “Il Secolo” di Milano, Giordani sopravvisse all’intervento e, trasferito a Bologna, fu ricoverato presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli.
Ristabilitosi, Giordani fu tra i fondatori del locale Comitato d’Azione dei Mutilati di guerra, che condusse per tutta la provincia di Bologna una campagna propagandistica in favore del conflitto: scopo precipuo del Comitato era quello di «rendere consapevole il soldato delle ragioni e delle necessità di questa […] guerra, affinché egli adempisse con convinzione ai propri doveri di cittadino e di soldato». Il Comitato provvedeva inoltre a commemorare date ed eventi «gloriosi», organizzava incontri per discutere i problemi del conflitto, consegnava onorificenze e pubblicizzava il «prestito della vittoria», avvicinando inoltre «le reclute che si predisponevano al giuramento» ed ammonendo infine «i partenti a compiere il proprio dovere».

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Nel gennaio 1918, al fine di non “disperdere” «energie fattive […] col conseguimento della vittoria», sorse la sezione felsinea dell’ANMIG (Associazione Nazionale fra i Mutilati e gli Invalidi di Guerra, fondata ufficialmente il 5 febbraio successivo, con Giordani che entrò nel Consiglio direttivo) la quale si insediò in alcuni locali di via Barberia 4. Per la consegna del vessillo sociale fu designato il direttore del “Popolo d’Italia” Benito Mussolini: la cerimonia ebbe luogo il 19 maggio 1918 al Teatro Comunale, alla presenza delle vedove di Cesare Battisti e Giacomo Venezian.
Al termine del conflitto mondiale Giordani riprese la carriera forense, senza abbandonare però la sua attività pubblica: nel 1919 figurava infatti tra i candidati alle elezioni politiche nelle liste dei Combattenti, non risultando però eletto (anche se con quasi duemila preferenze fu il più votato del suo raggruppamento). Al contrario, in occasione delle elezioni amministrative dell’anno successivo, entrò in Consiglio comunale nella quota della minoranza, conquistata dal blocco denominato “Pace, libertà, lavoro” composto da nazionalisti, combattenti, qualche sparuto liberale di destra e fascisti (che però non ebbero alcun rappresentante eletto).
Il 21 novembre 1920, giorno dell’insediamento della nuova amministrazione cittadina social-comunista, Giordani rimase ucciso dopo essere stato colpito da quattro o cinque proiettili sparati nella sala del Consiglio comunale. Ancora oggi – come già sostenne Nazario Sauro Onofri – non è possibile affermare quale fu l’esatta scansione degli eventi all’interno dell’aula consiliare: «L’unica cosa certa, sulla quale convennero tutti i presenti, è che a sparare fu una persona sola entrata nell’aula dalla parte del pubblico […]. Scaricata la rivoltella, l’assassino si allontanò indisturbato grazie alla confusione». Colpito al ventre, Giordani – mentre all’esterno i fascisti provocavano il panico che precorse la strage di lavoratori colpiti dalle bombe delle “guardie rosse” – fu vanamente soccorso dal medico socialista Ettore Bidone (assessore uscente della giunta Zanardi), spirando mentre veniva trasportato a braccio all’ospedale Maggiore di via Riva di Reno.
Giordani lasciò la moglie Cesarina Buldrini, incinta della loro seconda figlia – poi battezzata Giulia – ed il primogenito Guido, dell’età di un anno. Subito egli assurse nella retorica del nascente regime a primo «martire» del fascismo bolognese: valga, per tutte le biografie più o meno agiografiche che gli furono dedicate nel corso del Ventennio, quanto affermato da Carlo Delcroix, che lo dipinse come «la vittima propiziatoria delle nuove fortune, l’olocausto che i mutilati hanno offerto alla pace dopo il grande martirio della guerra perché ancora una volta rinascesse dal sangue l’aurora della speranza bagnata da tutte le rugiade de l’anima». Il reduce della Grande guerra divenne così «il simbolo di una causa che era del tutto estranea al Giordani vivo […] anche se il suo nome [venne, NdA] messo di “diritto” tra gli iscritti al Fascio del 1919, mentre non aveva aderito neppure al secondo, quello di Arpinati della fine del 1920» (cfr. N. S. Onofri, La strage di palazzo d’Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Milano, Feltrinelli 1980, pp. 284-285).
La salma di Giordani venne esposta in un’aula del Tribunale, vegliata da picchetti di fascisti armati di fucili, mentre il corteo funebre del 23 novembre – sempre nel giudizio di Onofri – si trasformò in una «grande manifestazione antisocialista, anche perché il feretro era accompagnato dal Gonfalone del comune portato dai fascisti». Sepolto nella Certosa di Bologna, la sua salma fu traslata nel 1932 nel Monumento ai Martiri della Rivoluzione Fascista progettato da Giulio Ulisse Arata.

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Diversi furono i modi in cui, subito dopo l’assassinio e poi nel corso del Ventennio, venne commemorata la memoria di Giordani: oltre alla piazza di fronte al Tribunale (con decreto del commissario prefettizio Ferrero in data 20 gennaio 1922), a lui fu intitolata una scuola in via Libia (che ancora oggi porta il suo nome), mentre il 21 novembre 1921 venne inaugurata nell’atrio del Palazzo di Giustizia – per volontà del locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori – una targa commemorativa con busto realizzata dallo scultore Silverio Montaguti, raffigurante Giordani in vesti militari. Sotto il busto in bronzo dell’avvocato fu posta quest’iscrizione: «A GIVLIO GIORDANI / AVVOCATO E SOLDATO / MVTILATO DELLA GRANDE GVERRA / VITTIMA DI FEROCE ODIO DI PARTE».
Qualche anno dopo, il 22 novembre 1925, furono inaugurati nella sala del Consiglio Comunale – con un discorso del cugino Ferdinando, allora assessore all’economato – un busto ad opera di Guido Calori ed una lapide, che riportava la seguente epigrafe: «GIULIO GIORDANI / DUE VOLTE COMBATTENTE E DUE VOLTE MARTIRE / DEL DESTINO D’ITALIA / MUTILATO DI GUERRA / VINDICE DELLA SANTA VITTORIA / FU COLPITO IN QUEST’AULA CONSIGLIARE DEL COMUNE / MA RISORSE NEL CIELO DELLA PATRIA / PER BENEDIRE ALLA RISCOSSA DELLA ROMANA VIRTÙ / PER VIVERE ETERNO NELLA LUCE DELLA SUA GLORIA».
Una lapide fu poi murata in corrispondenza della sua abitazione in via Guerrazzi, recante una semplice iscrizione: «QUI ABITÒ / NEL DOLCE AMORE DEI SUOI / GIULIO GIORDANI / IL MARTIRE. / DI QUI USCÌ ALL’ULTIMO SACRIFICIO / XXI NOVEMBRE MCMXX».
In occasione del sesto anniversario dalla scomparsa, la vedova Cesarina (detta “Rina”) fece dono al Museo Civico del Risorgimento di alcuni oggetti appartenuti al defunto, che furono subito organizzati in una vetrina apposita: la giubba grigioverde da bersagliere fregiata, tra le altre, dalla Medaglia d’Argento al Valor Militare e dalla Croce al Merito di guerra; la maglia di lana indossata durante l’assalto alla Trincea delle Frasche; il berretto da capitano dei bersaglieri; la sciabola con cinturino da ufficiale; un suo ritratto in divisa; la protesi della gamba amputata.
Si segnala infine che nel 1934 la Heimwehr, un gruppo paramilitare di estrema destra austriaco, decise di rinominare la sua sede di Vienna, sita in un edificio popolare di proprietà del Comune, da “Matteottihof” a “Giordanihof”, murando quindi una lapide che recitava: «GEMEINDE- / DEPUTIERTER / ADVOKAT / GIULIO / GIORDANI / SCHWERINVALIDE / IST IM GEMEINDERAT / IN BOLOGNA AM / 21. NOVEMBER 1921 [sic] / VON MARXISTEN / ERSCHOSSEN WORDEN» (trad. it.: «Consigliere comunale / avvocato / Giulio / Giordani / grande invalido / nel Comune di Bologna / il 21 novembre 1921 [sic] / fu ucciso / dai marxisti / a colpi d’arma da fuoco»).