CAVACECE Carlo, nato il 6 giugno 1913 a Piedimonte San Germano (Frosinone) 1a, 10 – Contadino – Sposato e padre di tre figli – Richiamato alle armi nel giugno del 1942 con la Divisione Perugia, IVa Compagnia Fucilieri – Primo Battaglione – Deceduto il 14 novembre 1944 10 – Sepolto nel Cimitero militare italiano di Mauthausen (Alta Austria) 1a – Posizione tombale: riquadro 1 – tomba 6 3. Fonti: 1a, 3, 10 – Giuseppe e Carlo Cavacece (figlio e nipote).
Ricostruzione di Carlo Cavacece
Questa è la piccola storia ad oggi conosciuta di un soldato semplice italiano della Seconda Guerra mondiale e delle vicissitudini della sua famiglia; tutti abbandonati al loro destino; mi trovo a scriverla il 6 giugno del 2012.
Carlo Cavacece era mio nonno; era un contadino senza alcuna istruzione e di umili origini.
Nacque a Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone, il 6 giugno del 1913 e più volte nel corso della sua breve vita fu chiamato alle armi, l’ultima nel giugno del 1942. Da allora non ha più fatto ritorno a casa.
Da quel momento i familiari non hanno più saputo nulla di lui per 20 anni, quando hanno ricevuto, su richiesta d’informazioni dei familiari al Ministero, l’indicazione di un luogo di sepoltura: Mauthausen (Austria).
Quando parte con la Divisione Perugia, IVa Compagnia Fucilieri – 1o Battaglione, il nonno lascia a casa la moglie incinta da pochissimo con due figlie piccole (Rosa di 6 anni, e Angela di 3 anni). Il figlio che nascerà a febbraio del ’43, sarà mio padre, Giuseppe.
Il nonno forse non ha mai saputo che avrebbe avuto un terzo figlio: non c’è stato infatti alcuno scambio di lettere tra i miei nonni, in parte perché analfabeti, in parte perché la nonna viveva a Piedimonte, che a quel tempo era un piccolo paesino posto a 5 chilometri a nord rispetto all’Abbazia di Montecassino, e lì le comunicazioni erano forse più difficili rispetto, per esempio, al nord Italia. […]
La guerra è stata difficile per la nonna, che ha raccontato di essere stata sfollata più volte a causa dei bombardamenti, dei rastrellamenti o altro, andandosi a nascondere con i tre figli sulle montagne circostanti insieme agli altri civili che fuggivano dalla morte. […]
Dopo la fine del conflitto, la nonna, tornata nel frattempo a Piedimonte, ha atteso invano il ritorno del marito e, non avendo alcun sostegno economico né lavoro certo, per fame, nel 1948 ha affidato la propria figlia maggiore Rosa alle cure di una propria sorella senza figli, la zia Lucia, che emigrava in Francia insieme al marito reduce dalla guerra (lui era ritornato). Mia nonna rivedrà Rosa dopo oltre 10 anni.
Nel frattempo la nonna fa i lavori più umili per mantenere l’altra figlia e mio padre; non ci sono ancora notizie ufficiali del nonno, salvo qualche racconto dei reduci. […]
Nel 1962 la famiglia ha ricevuto per lettera una comunicazione di sepoltura del nonno presso il Cimitero Militare di Guerra di Mauthausen, con le indicazioni di come trovare la tomba e di come chiedere le agevolazioni di viaggio per potervisi recare annualmente a fargli visita. Nessun’altra notizia. Per mio padre, le sue sorelle e la nonna questo sembra confermare la certezza che i venti anni dalla partenza del soldato avevano ormai fatto maturare: è morto in guerra. Che altro c’è da sapere ora? Nulla, forse un giorno andremo a trovarlo.
Ora i parenti vanno avanti a vivere ed a cercare di costruirsi delle famiglie, così come tutti gli italiani provati da anni di guerra vissuta in casa: bisogna ricominciare, lavorare, fare nuove famiglie, costruire una nuova società italiana.
Nel 2009, guardando questa comunicazione di sepoltura, che mio padre custodiva insieme all’unica fotografia del genitore, mi viene la curiosità di ricostruire la vita militare di mio nonno.
Le domande che mi facevo riguardavano i luoghi in cui poteva aver combattuto il mio congiunto prima di diventare disperso. Era un fante? Dove era assegnata la sua divisione? Era in marina? Era possibile stabilire se era stato anche in Africa (come diceva la nonna)?
Immaginavo, anzi tutti immaginavamo, che, essendo «disperso», il suo corpo fosse stato trovato dopo la guerra da qualche parte, chissà, una fossa comune o qualcosa di simile e poi sepolto.
Decido di scrivere a una serie di soggetti perlopiù ministeriali i cui indirizzi mi erano stati forniti dal sito dei «dimenticati di Stato» – http://www.dimenticatidistato.com (del gentile signor Roberto Zamboni).
I documenti che recupero non soddisfano molto la mia curiosità ma fanno sorgere nuove questioni e fanno arrabbiare molto mio padre il quale non si è mai posto molte domande nella vita fin li vissuta: aveva un padre mai conosciuto che, militare prima e disperso in guerra poi, era finito sepolto in qualche modo in Austria.
I documenti nuovi invece ci fanno immaginare uno scenario diverso per gli ultimi mesi di vita del nonno, uno scenario ben più duro da digerire.
I documenti contengono la dichiarazione di morte dell’Ambasciata d’Italia a Berlino, datata 27 gennaio 1945, da cui si evince una data certa di morte (14 novembre 1944), un luogo (Bruck an der Mur), una causa di morte (tubercolosi polmonare) e uno status di lavoratore occupato presso un campo di rieducazione al lavoro nella ditta Dionisen. […]
Nel 2010 mio padre ed io siamo andati a Mauthausen in visita al campo di concentramento, partecipando al Viaggio della Memoria organizzato dal Comitato provinciale per la difesa e lo sviluppo della Democrazia di Cremona.
Era un modo significativo per andare a fare visita al nonno, in maniera organizzata.
[…] A trovare il nonno invece siamo andati in forma privata, mio padre ed io.
Il piccolo e ben tenuto cimitero di Guerra del villaggio di Mauthausen, in cui sono sepolti militari italiani, francesi, serbi e russi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale è un enorme prato verde con centinaia di croci, tutte in bell’ordine.
L’emozione è stata tanta per me ed enorme per mio papà.
Mano a mano che passavamo le file e ci avvicinavamo a quella dove era il nonno cresceva.
Infine lo abbiamo individuato, era là, sepolto da tanti anni, ai piedi di una siepe: fila 1, tomba 6. […]
La maggior parte delle croci non portava alcun segno di visita da parte di nessuno, non un rosario, non una piccola foto: tutti soldati dimenticati dai parenti? O tanti parenti dimenticati dallo Stato?
Credo che un paese serio e civilmente evoluto debba occuparsi dei propri militari e dei propri cittadini, ancor più di quanto lo debba fare normalmente, qualora questi siano ignoranti o non in grado di informarsi, di sapere, di conoscere. In ogni caso questa storia è servita a me per crescere e per conoscere ciò che sono (frutto anche della storia della mia famiglia) e ciò che ha vissuto la mia famiglia … in fin dei conti «siamo la somma di tutto ciò che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto. Siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o che la nostra esistenza abbia influenzato. Siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti» (Dal film Almanya. La mia famiglia va in Germania, film di Fatih Akin).