Sono ben tre le testimonianze del 74° reggimento fanteria che lo ritraggono.
Ne “L’ora K” del bolognese Arnaldo Calori che era un suo diretto sottoposto (da noi recentemente ripubblicato) Wild è il “Maggiore W.” a cui viene dedicato un intero capitolo. “A sostituire il maggiore C., che era stato gravemente ferito sul Nad-Logem, presso la dolina del ciliegio, venne il maggiore W., un uomo piuttosto alto, allampanato, dalla vocina stridula. Portava due occhialini che s’aggiustava sempre sul naso lungo e sottile.
Non si riusciva a capire come potesse camminare, il maggiore W., con quei fuscelli di gambe.
Giunse al battaglione durante un breve riposo e suscitò in tutti gli ufficiali un senso quasi di pena.
Tremavamo al pensiero che il nostro battaglione, uso ormai a combattere sotto gli ordini di quella magnifica tempra d’uomo e di soldato che era il maggiore C., avesse dovuto, un giorno affrontare il nemico al comando di quel mingherlino, timido ed irrequieto, dalla voce quasi femminile.
I nostri timori aumentarono quando il maggiore W. Incominciò a parlare di certi suoi dolori ed infermità per cui diceva che, ormai, non avrebbe potuto sopportare più a lungo i disagi della trincea.
– Siamo fritti, mormoravamo nascostamente fra di noi; quest’uomo ci ficcherà in qualche sbaraglio. Non è un soldato, questo; ah! Se ci fosse ancora il nostro maggior C. (…) Aveva un senso del dovere come non ho mai notato in alcun altro superiore: pretendeva che persino il soldato nemico lo compisse interamente.
Ricordo che, durante un’azione, precedendo il battaglione di qualche centinaio di metri, giungemmo in una dolina, già sede del comando di un reggimento nemico, e lì scorgemmo un soldato austriaco che tentava di nascondersi in un baracchino.
W., che conosceva alla perfezione il tedesco, fece acchiappare e portare davanti a sé il prigioniero.
Era un soldatino biondo, imberbe, dal viso roseo, senz’armi.
Lo investì, in tedesco:
– Tu perché sei disarmato?… perché fuggi? Perché non difendi la tua patria?
E quello supplicante e smarrito:
– Sono ammalato, sono a riposo…
– Ah! Sei ammalato? Ah! Sei a riposo?… Vigliacco, traditore, impostore, – strillava con la sua vocetta e accompagnava gli epiteti vibrando una gragnuola di colpi, col suo nodoso bastone, sulla schiena di quel malcapitato”.
Ma a far aprire veramente gli occhi riguardo la figura del Maggiore, poi arrivato al grado di Colonnello, Michele Wild è Giulio Bazini. Anch’egli parmense, giovane ufficiale di una compagnia mitraglieri aggregata al 74° reggimento fanteria della brigata Lombardia, così racconta a proposito del superiore nel suo “Da Venezia a…Venezia”, editato dalla Gaspari Editore e curato da Franco Bottazzi: “Era il colonello Wild ufficiale di mezza età; mingherlino, asciutto e un po’ curvo; portava gli occhiali a pince-nez e parlava a voce bassa. Non aveva certo l’aspetto né la presenza del condottiero, però sul posto sul petto spiccava il nastrino azzurro almeno di una medaglia al valore. Fu con noi cortese, ma estremamente riservato; si rivelò subito un comandante freddo e sereno, conscio delle sue responsabilità e avvezze a farsi ubbidire.” (pp. 152-153) Una citazione che in pieno ricalca quella che ne fa Calori. Sempre Bazini racconta un episodio che vede protagonista il tenente colonnello Wild che ne definisce ancor di più il carattere: “Il tenente colonnello Wild adunò il battaglione, con i resti della nostra compagnia nella dolina più vicina. Due carabinieri gli trascinarono davanti, poco dopo, un fante sorpreso senza armi. Il colonnello Wild ordinò perentoriamente e con inaspettata energia che il disgraziato fosse per intanto legato ad un palo in mezzo alla dolina e cioè nella zona più esposta al fuoco incessante dell’artiglieria nemica. Lo avrebbe anche potuto far passare per le armi, perché tali erano i draconiani, severissimi ordini del Comando Supremo. Il disgraziato implorava in lacrime pietà, cercando faticosamente di spiegare, che i singhiozzi gli rendevano difficoltoso esprimersi, come una necessità impellente lo avesse costretto a togliersi le giberne e ad appoggiare in terra il fucile; poco dopo si era verificata la terribile esplosione che sconvolse tutto e incendiò la vicinissima dolina Coniglio. Egli, allora, terrorizzato, fuggì abbandonando fucile e giberne, reggendosi alla meglio i pantaloni e in quelle condizioni venne fermato dai Carabinieri. Il colonnello Wild, certo perché il castigo servisse di esemplare lezione alle truppe al suo comando, non volle sulle prime modificare l’ordine severo che i carabinieri, pur sbiancati in volto per il rischio che loro stessi correvano, si affrettarono ad eseguire. L’infelice continuava ad urlare la propria innocenza e fu a questo punto che fece la sua improvvisa apparizione, con il viso e la divisa interamente anneriti dal fumo nero dell’esplosione, un tenente dei bombardieri, che poi apprendemmo essere il comandante di Salemi, ufficiale bombardiere, figlio del Principe Amedeo duca d’Aosta e morto più tardi a Crespano del Grappa, [-] miracolosamente scampato alla disastrosa esplosione. L’augusto principe si appressò al colonnello Wild e, fattosi riconoscere, gli chiese il motivo per cui il soldato urlante si trovasse legato al palo proprio nel mezzo della battuta dolina, esposto a sicura fine. Avute le richieste spiegazioni si appressò coraggiosamente all’infelice, lo ascoltò con benevolenza, quindi pregò il colonnello Wild di togliere il disgraziato e disperato fante dalla pericolosa posizione. Il colonnello si arrese alla preghiera del principe, al fante fu consentito di correre, seguito dai carabinieri, a riprendere l’arma e la giberna abbandonate; rientrò poi celermente al suo plotone senza aver esternato, con le lacrime agli occhi, al principe e al colonnello la sua riconoscenza. Piangeva ancora il poveretto, ma ormai di gioia.” (pp. 156-157).
Anche nel diario di guerra del fante marchigiano originario di Pesaro Mario Tinti, recentemente editato a cura di Luca Gorgolini con il titolo “In faccia alla morte” per affinità elettive editore, ci sono diversi richiami a Michele Wild, citato come Vild.
Wild, comunque, era riconosciuto, oltre che come un propugnatore delle più ferrea disciplina, anche come un ufficiale valoroso. Ne rende sempre atto Calori nel capitolo a lui dedicato, in cui racconta anche dell’onorificenza guadagnata da Wild prima di essere trasferito al 74°, quando si trovava al 27° reggimento fanteria della brigata Pavia durante la battaglia per la presa di Gorizia. In quell’occasione Michele Wild fu decorato con Medaglia d’Argento al Valore con la seguente motivazione: “Wild cavalier Michele, maggiore nel 27° reggimento fanteria. Nell’azione svolta dal reggimento per la presa di Gorizia, tenne in modo brillante il comando del suo battaglione, che personalmente guidò all’attacco e all’occupazione delle ben difese trincee nemiche, distinguendosi in modo veramente eccezionale per capacità di comando, alto valore personale e sereno sprezzo del pericolo. Ricevuto l’ordine di passare l’Isonzo, si pose risolutamente alla testa del primo plotone di assalto, col quale guadò il fiume, nonostante il persistente fuoco delle mitragliatrici nemiche. Giunto all’opposta sponda provvide immediatamente al rafforzamento della testa di ponte. Ferito piuttosto gravemente nell’avanzata presso il vertoibico (si tratta probabilmente del torrente Vertoibica. Spesso nelle motivazioni delle medaglie sono ricorrenti errori. N.d.c.), continuò a tenere il comando di battaglione che lasciò, in seguito all’aggravamento della ferita dopo che il reggimento era stato ritirato dalla linea”. (Gorizia, 8-9 agosto 1916)
A Castagnevizza, poi, nella brigata Lombardia, ottenne la Medaglia di Bronzo al Valore con la seguente motivazione: “Comandante di un battaglione, sotto furiosi bombardamenti e il fuoco della fucileria e di mitragliatrici avversarie, conduceva con slancio i suoi reparti all’attacco di posizioni nemiche, mantenendole poi saldamente per più giorni”. (Sud-Ovest di Castagnevizza, 23-27 Maggio 1917).
Sopravvissuto alla guerra, Wild si spense nella sua Parma nel 1960 a 83 anni. La sua tomba è oggi rintracciabile al cimitero de La Valletta. La fotoceramica sul loculo che ospita i resti anche della moglie e dei due figli ci restituisce l’unica immagine che siamo riusciti a rintracciare di Michele Wild. Lo sguardo è inquietante, di sbieco, l’espressione non certo amichevole. Così lo avranno visto anche i suoi sottoposti, dai soldati agli ufficiali. Spesso quello sguardo inquietante sarà guizzato anche in trincea, sul Carso, in risposta a ordini, a domande…
Non si può raccontare la storia della Grande Guerra senza raccontare storie come quella di Michele Wild, eccentrico propugnatore della più ferrea disciplina, scrupoloso seguace dei metodi cadorniani in merito alla gestione delle truppe in linea. Anche di queste storie è fatta la Grande Guerra italiana… (purtroppo).
Bibliografia:
Calori Arnaldo, L’ora K, edizioni del Comitato Memorie di Pietra della Grande Guerra, Bologna, 2016
Bazini Giulio, Da Venezia a… Venezia, Gaspari Editore, Udine, 2010
Tinti Mario, In faccia alla morte, diario di un fante 1915-1918, Affinità elettive editore, Ancona, 2008