Storia di un bombardiere, degli aviatori americani salvati sulla Paganella, di due grotte e di come grandi alpinisti scelsero di essere partigiani (dimenticati)

L'avvocato Congedo da Londra ha ricostruito la storia del suo bisnonno Clementel che salvò il tenente americano Shereda e aiutò (probabilmente) Bonatta, Pedrotti e Brunetti durante le operazioni Vital: "Partigiani che meriterebbero una medaglia e il riconoscimento del Quirinale e invece sono dimenticati". Una lunga Storia con la "S" maiuscola fatta di ritrovamenti (ALL'INTERNO LA GALLERY, I DOCUMENTI DEGLI ARCHIVI USA), emozionanti scoperte (ALL'INTERNO I RITRATTI DEI PARTIGIANI FATTI DALL'AVIATORE AMERICANO) e interessanti teorie (compreso il collegamento con Castiglioni e i suoi partigiani)
Di Luca Pianesi - 28 agosto 2017

TRENTO. Partigiani, con la “P” maiuscola. Roba da medaglia, da celebrazioni annuali, da scolaresche che risalgono i sentieri e vanno in visita in quelle grotte sulle tracce del Bruno, del Marco, di Delfo, d’El Več, di Avio e di Raimondo Clementel. Roba da libri di storia. E invece tutto è stato dimenticato, caduto nell'oblio. In pochi sanno. Qualcuno tra Molveno, Andalo e Fai ancora ricorda ma negli anni (73 oggi) la consapevolezza (molto trentina, molto montanara) di aver fatto il proprio dovere per la libertà forse ha lasciato il passo al sensazionalismo eroico, alla voglia di medaglie, di riconoscimenti, di strette di mano.

Ma questa è una Storia che merita di essere raccontata e che è compito di tutti noi cercare di riportare alla luce, diffondere, nobilitare. E' la storia di un gruppo di alpinisti antifascisti e antinazisti. E' la storia di un bombardiere americano abbattuto oggi, 73 anni fa, e precipitato sul monte Paganella, in località Gaggia, sopra Andalo e Molveno, di una guida alpina che rientrata a casa aveva con sé una divisa americana e due paracaduti. E' la storia di un nipote che la scorsa settimana, arrivato sull’altipiano di Fai, Andalo e Molveno da Londra, è andato sulle pendici del Brenta e sul costone verso Zambana della Paganella e, anche grazie ad una serie di colpi di fortuna, ma aiutato dalle testimonianze di anziani cugini, amici del luogo, i familiari del pilota dell’aereo abbattuto dalla contraerea tedesca (l’allora tenente Patrick Shereda) ma soprattutto grazie ai racconti dell’ultimo aviatore sopravvissuto, Lee Palser ancora vivente (ha 96 anni e si trova nel New Jersey, ha ritrovato sia la grotta dove era stato nascosto Lee che l'altra grotta dalla quale il suo bisnonno aveva, probabilmente, osservato se la missione concordata con le truppe americane era andata a buon fine. E' la storia di alcuni ritratti fatti a mano, di un piccolo calamaio di vetro per inchiostro di china ritrovato sotto il terriccio, è la storia di un gruppo di amici.

IL RICORDO DI UNA MAMMA E IL BOMBARDAMENTO RITROVATO

Ma andiamo con ordine. Pierluigi Congedo, avvocato italiano e inglese e Fellow al King’s College di Londra, già Senior Lecturer di diritto internazionale in un college di Cambridge, ma amante e studioso di storia contemporanea, da sempre era rimasto incuriosito da un racconto fatto dalla madre Anita Clementel, nata a Fai della Paganella anche se vissuta poi oltre trentanni a Postal (dove la nonna, Maria Tonidandel, dirigeva l’ufficio postale e morì a Rovereto dopo i bombardamenti del giugno 1944). All'epoca undicenne quel giorno si era vista il nonno rientrare in casa di notte a Cortalta (Fai) vestito con una divisa americana e due paracaduti sotto le braccia. Congedo ha cominciato a scavare ed ha così scoperto, qualche mese fa, che quel 28 agosto qualcosa era effettivamente accaduto.

“Uno stormo di 30 bombardieri alle 8 del mattino era partito dall’aeroporto militare sotto il controllo congiunto anglo-americano della 15ma e 8va armata di Eisenhower di Stornara, vicino a Foggia, in direzione ponte dei Vodi, dove l'Avisio confluisce nell'Adige – spiega l'avvocato – per bombardare quel punto ritenuto strategico (vi si trovava un ponte ferroviario di cruciale importanza che dal 15 dicembre 1943 e il 29 aprile 1945 subì qualcosa come 200 bombardamenti). Quella mattina uno degli aerei fu abbattuto dalla contraerea tedesca, la cosiddetta Flak. Io sono riuscito a documentare tutto ritrovando negli United States National Archives and Records Administration di College Park (Washignton) tutti gli atti che testimoniano quell'operazione, quello specifico volo e il “crash report” dell'abbattimento di uno degli apparecchi. Il cosiddetto “field report” di quel mattino, parla espressamente di bombardamento alle 10,30 del 28 agosto 1944 dello “Avisio Viaduct” e, nell’archivio fotografico è persino possibile recuperare il filmato e le foto dell’operazione, che interessò anche la cittadina di Zambana, posizionata proprio sotto quello che, dopo i sopralluoghi, ho capito essere stato il punto di osservazione di Raimondo Clementel, il mio bisnonno".

Il ponte dei Vodi dopo uno dei bombardamenti

Insomma il ricordo della mamma di Congedo era reale. Quella mattina, infatti, nove soldati americani si paracadutarono sulla Paganella per salvarsi dall'esplosione del loro aereo. Quattro furono presi dai tedeschi e portati in Germania nei campi di concentramento come POWs (prisoners of war, prigionieri di guerra), quattro riuscirono ad incamminarsi verso la Svizzera e a consegnarsi alle autorità elvetiche e alla Croce Rossa internazionale. Uno, secondo lo stesso “crash report”, fu salvato dai partigiani operanti sul Brenta. Su quelle montagne, infatti, operava una rete di alpinisti e abitanti della zona antifascisti e antinazisti. Enrico Pedrotti (detto Marco), Matteo Brunetti (detto Bruno), Franco Bonatta (detto Delfo), Celestino Donini, erano alcuni degli eroici protagonisti della unità partigiana dell'operazione Vital. Da una grotta sopra Molveno, infatti, erano loro a trasmettere via radio notizie cruciali per gli Alleati che riguardavano tutto l'asse dell'Adige, che all'epoca era “Zona d'Operazione Alpenvorland” (dopo la proclamazione fatta il 18 settembre dall'avvocato trentino Adolfo de Bertolini, ma su decisione adottata personalmente da Adolf Hitler, volta a considerare tutto il territorio dolomitico, sia Alto Atesino che Trentino che del Friuli-Venezia Giulia, avamposto su terra italiana del Terzo Reich), applicando le stesse regole di ingaggio della Germania, non della Repubblica di Salò.

Il presidente del Comitato Provinciale A.N.P.I. Bolzano Lionello Bertoldi nel 2003 sulla rivista “Patria Indipendente” descriveva questa missione come cruciale: “Abbarbicati come ostriche alle rocce del Brenta, i partigiani della missione Vital trasmettevano dal 5 agosto 1944 con una piccola radio, al comando inglese di Bari, tutte le notizie militari, che le staffette portavano lassù assieme alle pesantissime batterie per la radio: un treno munizioni a Mezzolombardo, l’oro della Banca d’Italia a Fortezza, Himmler in gran segreto a Bolzano”. Insomma Partigiani con la “P” maiuscola, come dicevamo. Ma torniamo a quel 28 agosto. Il bisononno di Congedo torna a casa con una divisa americana e due paracaduti.

IL TENENTE E L'AVIATORE

“La divisa era del tenente Patrick J.Shereda – prosegue ancora Congedo – fu il mio bisnonno, Raimondo Clementel, di Fai, infatti, ad aiutarlo come scrisse poi lo stesso Shereda in un articolo pubblicato in America negli anni ‘90. Shereda non faceva nomi ma ricordava che l'uomo che lo aveva salvato era anziano, e Raimondo aveva 68 anni, e sapeva un po' di inglese. Ebbene il mio bisnonno era emigrato per alcuni mesi in America nel 1905 per raggiungere dei cugini di Fai che lavoravano ad Iron Mountains nelle miniere della penisola sul lago Michigan. Avevo infatti trovato il suo nome negli archivi di Ellis Island molti anni fa. Ma la prova del nove è venuta da una foto che la figlia del pilota, avvocato newyorkese, mi ha inviato poco dopo averla contattata da Londra, riportante sul retro del suo ritratto in divisa da aviatore, la lista dei paesi della Val di Non che aveva toccato per raggiungere lo Stelvio e la Svizzera. Citava infatti Andalo e Denno, non lontano dalla Rocchetta dove mia madre spesso mi aveva detto che il bisnonno l’aveva accompagnato prima di salutarlo e di augurargli buona fortuna. Insomma il mio bisononno lo nascose probabilmente per una notte nella sua stessa casa e poi il giorno dopo in abiti civili lo accompagnò via Santel e Spormaggiore fino alla Rocchetta".

Alla Rocchetta, forse potrebbe avere avuto l’aiuto di altri partigiani per raggiungere la Svizzera. In Val di Non operava la formazione partigiana Fabio Filzi con il comandante Avio, Luigi Emer. Quattro catturati, tre espatriati, Shereda messo anche lui in salvo e fanno otto. Ma non tornano i conti: ne manca uno. “Il nono si chiamava, anzi si chiama (ha 96 anni) Leonard, detto Lee, Palser – continua l'avvocato Congedo – ebbene lui fu trovato successivamente, appeso a un albero con il paracadute. Una ragazza dai capelli rossi che parlava americano lo raggiunse per prima, e gli disse di non muoversi e di non preoccuparsi. Il partigiano Enrico Pedrotti lo aiutò a scendere e lo portò nella grotta da dove trasmettevano per l'operazione Vital. Qui Lee di fatto divenne uno del gruppo. Una serie di foto scattate dallo stesso Pedrotti, più tardi affermato e noto fotografo di Bolzano, testimoniano la cosa”.

 Franco Bonatta, l’aviatore americano Lee Palser, Matteo Brunetti

LA GROTTA DI PEDROTTI, BONATTA, PALSER E DONINI

E da quelle foto è cominciata una seconda ricerca per Congedo che si è concretizzata dieci giorni fa. “Volevo ritrovare quella grotta – racconta ancora l'avvocato londinese – e anche la grotta dove ho scoperto che il mio bisnonno si nascondeva, a Fai. Due mercoledì fa sono arrivato a Molveno e la fortuna c'ha messo lo zampino. In via Nazionale sono entrato in un bar, quello di Antonella Costanzelli, e qui parlando ho conosciuto il marito Epifanio Delmaschio, appassionato e ricercatore meticoloso di reperti delle due guerre. Entrambi erano a conoscenza della storia (Antonella è anche parente del grande alpinista Giordani), ma soprattutto conoscevano i figli e nipoti di una delle figure chiave di questa storia, Celestino Donini, anche lui alpinista, gestore per molti anni del rifugio Pedrotti sul Brenta, amico, come l’alpinista indimenticabile Bruno Detassis, del partigiano Ettore Castiglioni cui oggi è dedicata una ferrata ed un bivacco sul Brenta realizzato dallo stesso generoso amico Donini".

Donini, infatti, era da un lato a servizio durante il giorno presso l'albergo dove erano ospitati i comandi della Wehrmacht, quello che oggi si trova lungo la statale 421 sulla sponda est del lago. Ma parallelamente era in contatto con i giovani partigiani del Brenta, e dopo il lavoro raggiungeva la grotta sopra i Fortini napoleonici e sotto la Malga Andalo per portare loro da mangiare e forse anche informazioni che via radio venivano poi comunicate al comando anglo-americano di Bari. Con Epifanio e altri suoi amici, Roberto Tessadri e Andrea DeNiccolò, Congedo ha, quindi, raggiunto la grotta che si trova circa 200 metri sopra il livello del lago proprio sotto la parte del Brenta che va dalla Brenta Alta e al Campanil Basso fino alla Vedretta degli Sfulmini, dove appunto si trovavano altri rifugi storici come il Brentei, gestito da Bruno Detassis, e il rifugio Pedrotti gestito dai Donini. 

Le grotte e i ritrovamenti sulla Paganella

"Ci siamo andati con il metal detector e il computer - racconta ancora l'avvocato - con le foto della grotta scattate nel 1944/45 da Pedrotti, e il file Pdf del taccuino dei disegni di Lee Palser, grafico che aveva non solo disegnato il ritratto dei suoi compagni, ma persino l’immagine sul fianco dell’aereo B 24 Liberator che riproduceva nientemeno che la fidanzata del tenente pilota Shereda". Il confronto con le foto, le descrizioni, i disegni, le testimonianze non solo del figlio di Donini, Gioacchino, ma anche di un cugino di Pierluigi, Gianfranco Tonidandel che aveva visitato il posto con il bisnonno Raimondo negli anni ‘50, ha confermato che quello era il posto giusto. "La vista era perfetta, proprio sull'albergo che ospitava il commando tedesco, nascosti dalla vegetazione. All'interno vi era ancora un braciere e poi, smuovendo il terriccio con la piccozza, è saltato fuori un calamaio in vetro per l'inchiostro, il coperchio di una boccetta di Malin, prodotta a Milano negli anni ’40, contro la stitichezza, la corda che, probabilmente, serviva a tenere insieme le fascine che chiudevano e rendevano invisibile la grotta, ma soprattutto dei pezzi di vetro di una pila voltaica che serviva per alimentare la radio. Dei ritrovamenti straordinari e siccome sono in contatto con Lee gli ho girato gli scatti sia della grotta che del calamaio. Lui ha riconosciuto tutto e mi ha fatto sapere che quel calamaio è servito a fare i ritratti a Pedrotti, Bonatta, Donini, i partigiani che lo hanno salvato”.

L'ALTRA GROTTA QUELLA DEL BISONONNO

La missione trentina di Congedo era quasi compiuta. Mancava l'ultimo tassello la grotta del bisnonno. “Ad aiutarmi, in questo caso, sono stati dei lontani cugini – prosegue – sempre Gianfranco e Luigino Tonidandel. Luigino, ora ottantasettenne, in particolare, ricordava quel posto di Fai che 'guardava' quello che oggi è l'albergo Dolomiti. Lì, infatti, c'era il comando italiano della milizia fascista e, come nel caso di Molveno, i partigiani tenevano sotto controllo non solo i quartier generali della Wermacht e della Milizia, ma anche i movimenti lungo la statale Mezzolombardo-Riva del Garda che passava sotto quelle finestre. Luigino, poco prima di un fortunale, mi ha accompagnato fino al limitare del bosco e mi ha mostrato quel che restava del sentiero che nell’agosto del 1944 lui stesso aveva percorso con il padre, Augusto. Poi mi sono avventurato io. Dopo circa mezz'ora ho trovato la grotta del mio bisononno, che Luigino mi aveva detto essere più in alto rispetto al sentiero. Dentro, una bottiglia ancora chiusa con dei filari di qualche pianta e un po' di liquido, probabilmente una grappa o qualcosa di simile. Non ho poi smosso il terreno. Mi è bastata la vista perfetta sull’Albergo Dolomiti e immaginare i movimenti della Milizia Fascista e della Wermacht lungo la statale per capire, sapendo che pochi metri più avanti vi era una terrazza naturale che dava proprio sul ponte dei Vodi".

La bottiglia (forse di grappa) trovata nella grotta di Fai

La grotta dove si nascondeva Raimondo Clementel

EPILOGO: CASTIGLIONI E GLI ALTRI ALPINISTI PARTIGIANI

A quel punto il quadro era completo, per Pierluigi. L'ipotesi è che quel giorno di 73 anni fa tutto fosse predisposto e in qualche modo coordinato proprio dalla squadra dell'operazione Vital. Raimondo Clementel probabilmente era appostato nelle vicinanze della “sua” grotta di Fai con il suo binocolo di ottone per osservare l'esito del bombardamento del prezioso ponte ferroviario. Seguito con lo sguardo l'abbattimento del B24 Liberator si sarà diretto sul luogo dell'impatto per cercare eventuali superstiti. Stessa cosa avranno fatto gli altri partigiani. Eroi di una resistenza meno celebrata ma strategica, fondamentale. Alpinisti che sin dai primi anni del ventennio rifiutarono il fascismo, rimanendo fedeli alla libertà e ai principi di democrazia. Come documentano i libri di vetta del '29 della Paganella trovati da Congedo presso l’archivio della SAT di Trento, si possono leggere frasi come “in attesa del sol dell'avvenire” (il sole dell’internazionale socialista) oppure “abbasso Mussolini” si sprecavano.

Alpinisti che si muovevano autonomamente ma forse in collegamento tra loro. E chissà che, vista l'amicizia di Donini con Ettore Castiglioni, l'alpinista partigiano milanese nato, per caso, a Rufrè, in Val di Non ma che in Trentino veniva spesso a scalare e arrampicare, che mise in salvo attraverso l'Alpe Berio e la Svizzera centinaia di antifascisti (tra di loro anche Luigi Einaudi) ed ebrei, non ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia e stima reciproca a collegarli. “Quel che è certo – conclude Congedo - è che i protagonisti di questa impresa meriterebbero di essere ricordati dal Quirinale. Meriterebbero almeno una medaglia di bronzo o, considerando la pericolosità delle operazioni in territorio direttamente controllato da Berlino, addirittura d'argento”.

Detassis (assieme a Donini) era uno dei grandi amici di Castiglioni (qui insieme) 

L'operazione Vital s'interromperà il 21 dicembre 1944 quando la radio si romperà per un guasto. Lee verrà nascosto da Pedrotti e gli altri a Molveno fino al giorno della liberazione. Pedrotti sarà, poi, arrestato dai fascisti mentre si trovava a Bolzano e verrà rinchiuso in via Resia. Sarà torturato e vessato ma non parlerà mai e nell'aprile del '45 tornerà libero e continuerà la sua carriera di fotografo. Ma qui si aggiunge un ultimo tassello alla storia che ha dell’incredibile e aggiunge un ulteriore elemento connettivo.

L'ULTIMA PROVA

Parlando al telefono con Lee Palser nel New Jersey nel marzo scorso da Londra, Pierluigi scorreva le foto del diario di vetta della via Normale della Paganella del settembre 1929, raccolte alcuni anni fa in occasione di un sopralluogo nella biblioteca della SAT, in visita a Trento in occasione del Festival dell’Economia (Congedo si occupa di antitrust nella vita “reale”).

Cercava una traccia del bisnonno alpinista. Trovò invece una pagina del 6 settembre 1929 corrispondente alle 35ma salita con la firma di Leopoldina Clementel, figlia del suo bisnonno Raimondo, in seconda posizione dietro l’amico Emilio Pedrini. Nella pagina accanto, la firma di quello che 15 anni dopo sarebbe stato il partigiano che salvò per primo Lee Palser, suo amico per tutta la vita (mori negli anni ’60): quella di (En)Rico Pedrotti, in cordata con i suoi fratelli e in seconda posizione dietro lo stesso Emilio Pedrini, il compagno di cordata di Leopoldina (dai libri di vetta risulta peraltro essere la prima donna scalatrice sulla Paganella).

Il libro di vetta dove compaiono i cognomi Clementel e Pedrotti

Clementel e Pedrotti: due firme e due posizioni identiche che chiudono probabilmente il cerchio degli amici della montagna (Raimondo, i nipotini di allora Anita e Gianfranco, i ragazzi ventenni dell’altipiano) più di qualsiasi altra testimonianza orale e incroci di reports amministrativi americani e inglesi, foto, oggetti e articoli via Google, da cui tutto è partito quasi per gioco.