Notiziario: Scoperto il diario dell’eroe del Monte Corno

Scoperto il diario dell’eroe del Monte Corno

A 100 anni dall’impresa del ten. Carlo Sabatini, un libro ripercorre la leggendaria scalata e conquista della vetta
Andrea Cionci

Precisamente 100 anni fa, con un’impresa che divenne epica, cinque Arditi, dopo aver scalato una parete di roccia a strapiombo, espugnarono la cima del Monte Corno, facendo pagare agli Austriaci la cattura di Cesare Battisti e Fabio Filzi avvenuta due anni prima, proprio fra quelle rocce.  

 

Lo storico Roberto Roseano, vincitore dell’ultimo “Premio Aqui Storia” con il romanzo “L’Ardito”, ha recentemente curato la pubblicazione di un libro basato sul diario inedito del protagonista di quel colpo di mano, il tenente Carlo Sabatini, Medaglia d’Oro al Valor Militare.   

   

Il tragico antefatto  

Il Monte Corno, bastione roccioso che si stacca solitario a ovest del massiccio del Pasubio, fu sempre aspramente conteso da italiani e austriaci fino alla fine del conflitto. Irto di mitragliatrici incavernate, costituiva nel 1916 un osservatorio inespugnabile sui movimenti delle nostre truppe in Vallarsa. Il 10 luglio di quell’anno, durante uno sfortunato assalto del battaglione alpini “Vicenza”, il tenente Cesare Battisti e il sottotenente Fabio Filzi vennero catturati. Trentino il primo, istriano-roveretano il secondo, erano entrambi cittadini dell’Impero asburgico e il loro impegno aperto e dichiarato per la causa dell’irredentismo italiano li rendeva, agli occhi degli austriaci, degli spregevoli traditori. Per questo motivo, dopo essere stati angariati e umiliati in vario modo, una volta sottoposti a un processo sommario e pieno di irregolarità, furono giustiziati con una lenta e dolorosa impiccagione, ben più simile a un garrotamento.   

 

Arditi dopo la vittoriosa azione sul Sile  

 

Due anni dopo  

Nella primavera del 1918, il Monte Corno, ormai denominato Cima Battisti, era diventato una priorità per i comandi italiani, sia per l’elevato valore simbolico - vendicare i due martiri - che per una ragione strategica. L’azione venne affidata principalmente al III Reparto d’assalto degli Arditi. Erano questi il nostro primo corpo speciale italiano, una vera arma segreta umana voluta da Cadorna e in parte ispirata alle Stosstruppen tedesche. Si trattava di unità d’élite addestrate a eseguire colpi di mano e a guidare gli attacchi alle postazioni nemiche espugnandole a colpi di pugnale e bombe a mano. Gli Arditi attaccarono alle prime luci dell’alba del 10 maggio, riuscendo a conquistare numerose trincee e ad impossessarsi dell’articolato sistema di gallerie austriaco. La vetta, però, rimase ancora nelle mani del nemico, che dall’alto impediva ogni movimento alle nostre truppe.  

   

Il tenente Carlo Sabatini  

La scelta più audace  

La soluzione allo spinoso problema venne proposta dal 25enne tenente Carlo Sabatini, nato ad Alessandria nel 1891, comandante della 3a compagnia del III Reparto d’assalto, il quale si era già guadagnato una medaglia d’argento durante la presa di Gorizia nell’agosto 1916.  La sua idea era semplice e audace al tempo stesso: raggiungere la vetta dal lato in cui gli austro-ungarici si sentivano più protetti, una parete a strapiombo di roccia friabile alta 40 metri. Così, alle 3.00 pomeridiane del 13 maggio 1918, avvalendosi di una rudimentale corda, seguito dagli sguardi e dai binocoli dei militari italiani, Sabatini cominciò ad inerpicarsi assieme ad altri quattro uomini, il sergente maggiore Giovanni Degli Esposti e tre volontari: Lorenzo Brancato, Francesco Cataldo, Edoardo Torri.  

 

La parete del Monte Corno scalata da Sabatini e i suoi  

Una corda rabberciata  

Gli Arditi non erano Alpini e i giovani si stavano letteralmente improvvisando nella scalata. La corda, tra l’altro, era stata messa insieme da un ufficiale della Milizia Territoriale con dei pezzi di funi trovati nelle gallerie. Il dislivello, con passaggi di terzo grado, era pericolosissimo soprattutto per la friabilità delle rocce. Esperti montanari  del luogo hanno provato, oggi,  a ripercorrere la scalata di Sabatini e confermano che, anche con equipaggiamento moderno, si tratta di un percorso molto difficile: aggrappandosi a una roccia, facilmente questa rimane nella mano.  

   

Col fiato sospeso  

Ecco come il comando della brigata Murge descriveva, nella relazione, le fasi della scalata: «Dopo circa 40 metri di pericolosa ascesa il tenente Sabatini stabilisce la prima cordata; quindi, a mezzo di scala umana sorpassa le ultime rocce, giungendo presso la cima del monte. Quivi giunto strisciando carponi sul terreno impervio e in forte declivio s’avvicina al muricciolo a secco del camminamento nemico, che adduce allo spiazzo antistante le caverne occupate dal nemico. L’avanzata è difficile. Si segue con ansia dolorosa quei cinque eroi che hanno dinnanzi la mitragliatrice ed il precipizio alle spalle. Il nemico sembra non vigilare; ma una pietra cadendo può dare l’allarme ….”.  

   

Petardo Tehevenot  

Pugnale e bombe a mano  

Arrampicatosi fino alla vetta, il manipolo è pronto per sferrare l’assalto. Dal diario di Sabatini apprendiamo ogni dettaglio dell’operazione: “ Guardai con circospezione dalla feritoia e vidi una lunga trincea presidiata da una quindicina di austriaci di guardia. La vedetta che doveva esserci dietro allo scudo davanti al quale mi trovavo, sicura certamente che nessuno sarebbe salito da quella parte, parlava con un suo compagno poco più oltre. E fu malavventura per lui di aver abbandonato il suo posto…”.  

L’ufficiale italiano, allora, si alza in piedi lanciando i petardi Thévenot, delle speciali bombe a mano francesi create per produrre un botto e un lampo fortissimi, tali da stordire i nemici. Poi, impugnata la pistola, scarica tutto il caricatore contro gli avversari, infine, mette mano al pugnale gettandosi in un terribile corpo a corpo. Il comandante austriaco, un gigante alto due metri, urla ordini nello scompiglio generale e gli altri soldati asburgici che escono dalle gallerie vengono sopraffatti. Altri, cercando di fuggire, precipitano dai dirupi. Alla fine del combattimento, dei 26 austriaci che occupavano la vetta del Monte Corno, 15 erano caduti o gravemente feriti, 6, tra cui il comandante del presidio, vengono calati, prigionieri, con le corde, 5 restano asserragliati in una galleria, ma il giorno dopo, 3 verranno uccisi e gli altri 2, feriti, si arrenderanno.  

   

Il Re con i generali Diaz e Badoglio premia Sabatini con la MOVM  

Risonanza mediatica  

La notizia dell’impresa ebbe un’eco vastissima. Erano i mesi psicologicamente strategici in cui, dopo la sconfitta (non disfatta) di Caporetto, il Regio Esercito si stava rialzando rabbiosamente, sostenuto, questa volta, dal coinvolgimento emotivo di tutta la nazione.  Il re Vittorio Emanuele III, motu proprio, conferì a Sabatini la Medaglia d’Oro al Valor Militare il 21 agosto dinnanzi ai generali Diaz e Badoglio, alle più alte cariche militari e alle truppe delle due divisioni d’assalto, comandate dal generale Grazioli. Fu una manifestazione imponente, con la partecipazione di 12.000 uomini; in quell’occasione, gli Arditi della classe ’99 sfilarono a torso nudo, in una scena resa immortale da una tavola di Achille Beltrame. La fotografia che proponiamo, dall’archivio della famiglia Sabatini, è probabilmente inedita.  

   

Domenica del Corriere. Arditi a torso nudo. Achille Beltrame  

 

La riscoperta del diario  

Il diario del tenente Sabatini è emerso grazie a Facebook e al gruppo “Arditi del XXII Reparto d'Assalto”, amministrato da Roberto Roseano. “Nel giorno del centenario della fondazione del Corpo (29 luglio 2017, n.d.r.) – spiega lo scrittore – sono stato contattato da un utente di nome Sabatini, che a mia domanda ha dichiarato di essere il nipote diretto dell’eroe. Qualche mese dopo, lo stesso mi ha rivelato l’esistenza di un diario di guerra scritto dal nonno, con la proposta di curarne la pubblicazione arricchendo il testo originale con note e un adeguato apparato storico”.  

Dopo il conflitto, l’eroe del Monte Corno rimase nell’Esercito, dove raggiunse il grado di maggiore generale, occupandosi non più di assalti all’arma bianca, ma di trasporti e logistica.  Morì a Roma, logorato dal morbo di Parkinson, nel 1969.  

 

Croce commemorativa degli Arditi  

L’omaggio e il ricordo dei familiari  

I tre nipoti della Medaglia d’oro, con i loro quattro figli, tenteranno oggi, nonostante il maltempo previsto, di raggiungere la vetta del Monte Corno per ricordare l’impresa del congiunto.  “Per quanto possa sembrare strano  - spiega Gianluca Sabatini, uno dei nipoti– nonno Carlo era considerato un tipo calmo. Fu proprio la sua lucidità - insieme alla motivazione interiore e ad un’abnegazione totale per la Patria - a consentirgli di affrontare una parete verticale dagli appigli di gesso, con qualcuno, in vetta, che lo teneva sotto mira. Il suo motto era: “Esse quam videri” (essere, non parere), una frase del “De Amicitia” di Cicerone che riporta a quel processo continuo di verifica con se stessi che spinge a dare sempre il massimo, senza mai farsene vanto. Per questo, il nonno oggi sarebbe davvero riluttante nel pubblicare il suo diario che, per un secolo, è rimasto chiuso in un cassetto . Dopotutto, abbiamo pensato, la sua memoria non appartiene solo alla nostra famiglia, ma all’Italia intera. A 100 anni dai fatti del Monte Corno, speriamo che Carlo, dal cielo, vorrà apprezzare il gesto senza giudicarlo un eccesso di vanità ”.