Salvatore Giuliano, da Messina all’Etiopia
Con l’avvento del Fascismo e la campagna per la conquista dell’Etiopia, si offrì volontario nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, partendo, nell’aprile 1936, per l’Eritrea, dove giunse il 31 ottobre successivo nel porto di Massaua. Venne assegnato inizialmente alla 7a Divisione Camicie Nere Cirene, 267a Legione Etna, CCLXVII Battaglione Catania, transitando in seguito nella 1a Divisione Camicie Nere 23 Marzo, 202a Legione Cacciatori del Tevere, CCII Battaglione Perugia: rivestiva il grado di Capo Squadra, corrispondente a quello di Sergente nell’ordinamento del Regio Esercito. Smobilitato nuovamente alla fine delle operazioni militari, nel 1937, questa volta decise di non tornare in Sicilia, ma di restare nella nuova colonia conquistata dal Regno d’Italia. Salvatore Giuliano si trasferì così a Zerimà, nell’Amhara, la regione centro-settentrionale dell’Etiopia: qua, il Fascismo di Benito Mussolini aveva iniziato importanti lavori stradali per la costruzione di piste e carrozzabili asfaltate affidate alla Ditta Narbone, in cui proprio Giuliano era stato assunto in qualità di Capo Squadra della III^ Legione Lavoratori dell’Asmara. Ed è a questo punto della narrazione che la sua storia, così come quella di tanti altri Italiani rimasti ignoti, sarebbe andata perduta, se non fosse per la Medaglia d’Oro al Valor Militare che si guadagnò, purtroppo alla memoria, nel tentativo di difendere altri lavoratori suoi connazionali. A narrarci della sua morte, è proprio la motivazione stessa della massima onorificenza al valore: “Notato che un gruppo di ribelli si apprestava ad assalire improvvisamente un nucleo di operai intenti a lavorare sulla strada, dopo aver dato l’allarme, imbracciava il fucile e affrontava animosamente il nemico. Rimasto ferito dalle prime scariche avversarie, persisteva nella lotta fulminando taluni ribelli. Cadeva poi da prode, colpito da nuove scariche che ne martoriavano il corpo, con la serenità dei forti. Esempio di sereno coraggio, dedizione al dovere spinto fino al sacrificio e grande sprezzo del pericolo. Zerimà, 26 febbraio 1938”.