Sabato a Casale di Brisighella all'inaugurazione della stele commemorativa ci saranno anche i parenti dei due identificati. L'Anpi: "Sono stati uccisi al posto della nostra gente, li dobbiamo omaggiare. Non canteremo 'Bella ciao', non erano partigiani ma persone comuni"
di MICOL LAVINIA LUNDARIBRISIGHELLA (RAVENNA) - "Perché dopo oltre 70 anni abbiamo fatto ricerche infinite per dare un nome a queste cinque vittime? Perché questi 'prigionieri politicì sono stati uccisi per salvare cinque della nostra gente. Potevano cadere mio nonno, mio zio. Invece sono morti loro. Volevamo dare loro un nome, e per due di essi ce l'abbiamo fatta". Tiziana Montanari, consigliere dell'Anpi di Brisighella, assieme ad altri antifascisti si è rimboccata le maniche per recuperare tasselli e dettagli di quello che definisce un "eccidio anomalo": quello avvenuto all'inizio dell'agosto 1944 a Casale di Brisighella, e di cui, nel tempo, si è persa memoria: "All'inizio le donne andavano a posare fiori sul luogo della fucilazione, poi tutto è finito nell'oblìo. Sa, ci si dimentica dei nostri morti, figuriamoci degli altri".
· UN ECCIDIO ANOMALO
Come per tutti gli eccidi nazifascisti, la storia si mescola a una geografia fatta di piccoli borghi e di ampie terre che abbracciano l'Appennino tosco-emiliano. Agosto 1944, Romagna, il fronte di Liberazione sta avanzando e innervosisce gli occupanti nazifascisti. Nella zona di Casale di Brisighella (Ravenna) gli uomini sono quasi tutti scappati, dopo la strage nazista avvenuta a Crespino sul Lamone il 17 luglio, che ha fatto 43 morti; siamo vicino a Marradi, Firenze, in quella zona che viene anche indicata come Romagna Toscana, proprio perché le due terre, complice l'Appennino, si mescolano.
Pochi giorni dopo i partigiani operanti in zona assaltano una camionetta delle Ss che si presume possa trasportare documenti sulla Linea gotica, preziosa fonte di informazioni per la Resistenza: muore un tedesco, e questo significa che seguirà una spietata vendetta. Ma a Casale sono rimasti solo anziani, donne, bambini; i pochi uomini vengono presi e interrogati all'obitorio di Brisighella. Le donne si fanno coraggio e supplicano che vengano rilasciati. Per loro intercede il capo dei fascisti Amadio Cavalli, che non vuole un'altra strage proprio quando la Resistenza sta avanzando. Non saranno dunque gli uomini del posto a morire per vendicare il militare tedesco ucciso.
Ma nell'ottica nazifascista la vendetta va consumata. E allora si vanno a prendere cinque uomini incarcerati come prigionieri politici all'ex brefotrofio di Forlì: non sono schedati, nessuno ha messo i loro nomi nero su bianco. Vengono prelevati, e alle undici di sera del 2 agosto portati a Casale. Agli abitanti viene imposto di chiudersi in casa, e dalle abitazioni sentono raffiche di mitra. Alcune donne racconteranno di aver sentito a lungo, nel corso della notte, dei lamenti: fra i cinque, a qualcuno evidentemente non è stato dato nemmeno il colpo di grazia.
E' ancora notte, e dunque ancora buio, quando tutta la popolazione viene costretta a uscire di casa e a camminare su quelli che scopriranno poi essere i corpi dei cinque fucilati. Poi di giorno verrà fatta scavare una buca per seppellirli: "Quattro corpi cadono allineati, uno di traverso: alla popolazione non viene concesso di ricomporlo, pena non uscire più da quella stessa fossa", racconta Tiziana Montanari. E' un eccidio anomalo quello che si è appena consumato, perché a morire non sono partigiani né gente del posto, ma cinque prigionieri politici, che in realtà con l'azione politica potrebbero non avere nulla a che fare. Ma chi sono?
Anzola rende omaggio a Franceschini: deportato in un lager, raccontò ai bimbi l'orrore nazista
· CINQUE VITTIME SENZA UN NOME
Nessuno lo sa, appunto perché i prigionieri delle carceri politiche non venivano schedati. Sono cinque perfetti sconosciuti. Dopo immense ricerche, fatte di racconti di qualche testimone ma soprattutto "di Pagine bianche, a cercare cognome per cognome", a due vittime l'Anpi di Brisighella riuscirà a dare un volto. E sono storie nella storia.
Il primo che identificano è Gino Carnaccini, invalido, 25 anni, di Forlì. La famiglia sapeva che era all'ex brefotrofio, perché era stato rastrellato sul ponte di Schiavonìa (mentre il fratello, lui sì attivo antifascista, era fuggito), e benché un responsabile fascista avesse raccontato ai parenti che era tornato a lavorare, di lui verranno ritrovati e riconsegnati il portafoglio, gli occhiali rotti e dei documenti dopo la fucilazione a Casale.
Fra le cinque vittime vi è anche Amilcare Piancaldini. Originario di Prato, nel 1944 ha 36 anni ed è sfollato a Verghereto (Forlì-Cesena) con la famiglia e i tre figli di 3, 6 e 11 anni; lavora alla Todt. Quando il fronte di Liberazione avanza, Piancaldini e i suoi vengono invitati a tornarsene a casa, ma una donna del posto denuncia lui e altri lavoratori come partigiani. Piancaldini viene preso, probabilmente assieme a due cognati (perché il loro cognome è lo stesso di sua moglie), condotti a Sarsina, e lì torturati. In quattro vengono rilasciati, ma lui no. Il suo destino è il carcere politico di Forlì. A quanto risulta, viene identificato dal cartellino di riconoscimento dell'azienda Todt.
Restano tre vittime. Per due di esse saltano fuori dei nomi rivelatisi poi errati - dopo estenuanti ricerche, cognome per cognome, con l'elenco telefonico sempre accanto alla cornetta -: Pasquale Comandini non è morto fucilato a Casale, ma a Bagno di Romagna, come riveleranno i nipoti rintracciati; e Giuseppe Giacomoni, l'unico partigiano tra i nomi finora emersi, apparteneva alla VIII brigata Garibaldi e fu fucilato a settembre, come confermano testimoni che lo conoscevano. Per il quinto protagonista della storia non c'è mai stata nemmeno un'ipotesi: "E' sempre stato il nostro 'Ignoto'", spiega Montanari.· IL MISTERO DELLE SALME
Un altro capitolo di questa ramificatissima storia è quello relativo alle salme dei caduti. Carnaccini è riesumato a ottobre del '45 e seppellito a Forlì. La moglie di Piancaldini, l'operaio di Prato, dopo aver atteso invano il ritorno del marito, decide di rientrare in Toscana e percorre la strada a piedi, con i suoi bambini: ci impiegherà un mese. Poco dopo riceve una lettera, in cui viene convocata di nuovo a Brisighella per ritirare la salma del marito, ma lei non ha i soldi né per il viaggio né per la sepoltura dell'uomo. Uno dei figli, avuta l'età per farlo, ogni anno andrà in visita alla croce di legno posta nel cimitero di Casale sotto la quale riposano le spoglie del padre, fino a quando, alla fine degli anni Sessanta, quella croce non si troverà più: i resti, probabilmente, sono stati traslati nell'ossario della chiesa.
Nulla è dato sapere di cosa accadde alle spoglie delle altre tre vittime: è possibile presumere che siano stati riesumati assieme a Carnaccini e Piancaldini, e probabilmente i loro resti conservati nell'ossario di Fognano.
· L'OMAGGIO
L'Anpi di Brisighella, sostenuta dal Comune e aiutata nelle ricerche da altre sezioni e da storici, quasi senza documenti scritti ha impiegato quasi un anno a mettere insieme frammenti di verità che componessero il quadro della vicenda, anche se ancora molto resta da scoprire: mancano infatti tre nomi. Sabato 5 agosto renderà onore ai cinque morti di Casale, con una messa commemorativa, cui parteciperanno i parenti di Piancaldini e Carnaccini, e l'inaugurazione di una stele realizzata dall'artista Mirca Carroli, per "cinque persone che hanno dato la loro vita per cinque delle nostre".
La soria -puntualizza Tiziana Montanari -non va dimenticata, all'Italia serve una presa di coscienza su quello che è avvenuto. Ci sarà la benedizione del vescovo, perché i cinque, prima di essere fucilati, non hanno avuto nemmeno il conforto religioso; e non canteremo 'Bella ciao', perché questi non erano partigiani, ma gente comune". Quella di sabato alla chiesa di Santo Stefano a Casale "non è una manifestazione dell'Anpi, ma una commemorazione civile".
· UN ECCIDIO ANOMALO
Come per tutti gli eccidi nazifascisti, la storia si mescola a una geografia fatta di piccoli borghi e di ampie terre che abbracciano l'Appennino tosco-emiliano. Agosto 1944, Romagna, il fronte di Liberazione sta avanzando e innervosisce gli occupanti nazifascisti. Nella zona di Casale di Brisighella (Ravenna) gli uomini sono quasi tutti scappati, dopo la strage nazista avvenuta a Crespino sul Lamone il 17 luglio, che ha fatto 43 morti; siamo vicino a Marradi, Firenze, in quella zona che viene anche indicata come Romagna Toscana, proprio perché le due terre, complice l'Appennino, si mescolano.
Pochi giorni dopo i partigiani operanti in zona assaltano una camionetta delle Ss che si presume possa trasportare documenti sulla Linea gotica, preziosa fonte di informazioni per la Resistenza: muore un tedesco, e questo significa che seguirà una spietata vendetta. Ma a Casale sono rimasti solo anziani, donne, bambini; i pochi uomini vengono presi e interrogati all'obitorio di Brisighella. Le donne si fanno coraggio e supplicano che vengano rilasciati. Per loro intercede il capo dei fascisti Amadio Cavalli, che non vuole un'altra strage proprio quando la Resistenza sta avanzando. Non saranno dunque gli uomini del posto a morire per vendicare il militare tedesco ucciso.
Ma nell'ottica nazifascista la vendetta va consumata. E allora si vanno a prendere cinque uomini incarcerati come prigionieri politici all'ex brefotrofio di Forlì: non sono schedati, nessuno ha messo i loro nomi nero su bianco. Vengono prelevati, e alle undici di sera del 2 agosto portati a Casale. Agli abitanti viene imposto di chiudersi in casa, e dalle abitazioni sentono raffiche di mitra. Alcune donne racconteranno di aver sentito a lungo, nel corso della notte, dei lamenti: fra i cinque, a qualcuno evidentemente non è stato dato nemmeno il colpo di grazia.
E' ancora notte, e dunque ancora buio, quando tutta la popolazione viene costretta a uscire di casa e a camminare su quelli che scopriranno poi essere i corpi dei cinque fucilati. Poi di giorno verrà fatta scavare una buca per seppellirli: "Quattro corpi cadono allineati, uno di traverso: alla popolazione non viene concesso di ricomporlo, pena non uscire più da quella stessa fossa", racconta Tiziana Montanari. E' un eccidio anomalo quello che si è appena consumato, perché a morire non sono partigiani né gente del posto, ma cinque prigionieri politici, che in realtà con l'azione politica potrebbero non avere nulla a che fare. Ma chi sono?
Anzola rende omaggio a Franceschini: deportato in un lager, raccontò ai bimbi l'orrore nazista
· CINQUE VITTIME SENZA UN NOME
Nessuno lo sa, appunto perché i prigionieri delle carceri politiche non venivano schedati. Sono cinque perfetti sconosciuti. Dopo immense ricerche, fatte di racconti di qualche testimone ma soprattutto "di Pagine bianche, a cercare cognome per cognome", a due vittime l'Anpi di Brisighella riuscirà a dare un volto. E sono storie nella storia.
Il primo che identificano è Gino Carnaccini, invalido, 25 anni, di Forlì. La famiglia sapeva che era all'ex brefotrofio, perché era stato rastrellato sul ponte di Schiavonìa (mentre il fratello, lui sì attivo antifascista, era fuggito), e benché un responsabile fascista avesse raccontato ai parenti che era tornato a lavorare, di lui verranno ritrovati e riconsegnati il portafoglio, gli occhiali rotti e dei documenti dopo la fucilazione a Casale.
Fra le cinque vittime vi è anche Amilcare Piancaldini. Originario di Prato, nel 1944 ha 36 anni ed è sfollato a Verghereto (Forlì-Cesena) con la famiglia e i tre figli di 3, 6 e 11 anni; lavora alla Todt. Quando il fronte di Liberazione avanza, Piancaldini e i suoi vengono invitati a tornarsene a casa, ma una donna del posto denuncia lui e altri lavoratori come partigiani. Piancaldini viene preso, probabilmente assieme a due cognati (perché il loro cognome è lo stesso di sua moglie), condotti a Sarsina, e lì torturati. In quattro vengono rilasciati, ma lui no. Il suo destino è il carcere politico di Forlì. A quanto risulta, viene identificato dal cartellino di riconoscimento dell'azienda Todt.
Restano tre vittime. Per due di esse saltano fuori dei nomi rivelatisi poi errati - dopo estenuanti ricerche, cognome per cognome, con l'elenco telefonico sempre accanto alla cornetta -: Pasquale Comandini non è morto fucilato a Casale, ma a Bagno di Romagna, come riveleranno i nipoti rintracciati; e Giuseppe Giacomoni, l'unico partigiano tra i nomi finora emersi, apparteneva alla VIII brigata Garibaldi e fu fucilato a settembre, come confermano testimoni che lo conoscevano. Per il quinto protagonista della storia non c'è mai stata nemmeno un'ipotesi: "E' sempre stato il nostro 'Ignoto'", spiega Montanari.· IL MISTERO DELLE SALME
Un altro capitolo di questa ramificatissima storia è quello relativo alle salme dei caduti. Carnaccini è riesumato a ottobre del '45 e seppellito a Forlì. La moglie di Piancaldini, l'operaio di Prato, dopo aver atteso invano il ritorno del marito, decide di rientrare in Toscana e percorre la strada a piedi, con i suoi bambini: ci impiegherà un mese. Poco dopo riceve una lettera, in cui viene convocata di nuovo a Brisighella per ritirare la salma del marito, ma lei non ha i soldi né per il viaggio né per la sepoltura dell'uomo. Uno dei figli, avuta l'età per farlo, ogni anno andrà in visita alla croce di legno posta nel cimitero di Casale sotto la quale riposano le spoglie del padre, fino a quando, alla fine degli anni Sessanta, quella croce non si troverà più: i resti, probabilmente, sono stati traslati nell'ossario della chiesa.
Nulla è dato sapere di cosa accadde alle spoglie delle altre tre vittime: è possibile presumere che siano stati riesumati assieme a Carnaccini e Piancaldini, e probabilmente i loro resti conservati nell'ossario di Fognano.
· L'OMAGGIO
L'Anpi di Brisighella, sostenuta dal Comune e aiutata nelle ricerche da altre sezioni e da storici, quasi senza documenti scritti ha impiegato quasi un anno a mettere insieme frammenti di verità che componessero il quadro della vicenda, anche se ancora molto resta da scoprire: mancano infatti tre nomi. Sabato 5 agosto renderà onore ai cinque morti di Casale, con una messa commemorativa, cui parteciperanno i parenti di Piancaldini e Carnaccini, e l'inaugurazione di una stele realizzata dall'artista Mirca Carroli, per "cinque persone che hanno dato la loro vita per cinque delle nostre".
La soria -puntualizza Tiziana Montanari -non va dimenticata, all'Italia serve una presa di coscienza su quello che è avvenuto. Ci sarà la benedizione del vescovo, perché i cinque, prima di essere fucilati, non hanno avuto nemmeno il conforto religioso; e non canteremo 'Bella ciao', perché questi non erano partigiani, ma gente comune". Quella di sabato alla chiesa di Santo Stefano a Casale "non è una manifestazione dell'Anpi, ma una commemorazione civile".