Ritrovata la divisa del Campo di un bambino Ebreo
La parola „bambino” non puo’ essere associata alla parola „prigioniero”.
Durante la seconda guerra mondiale, per i nazisti tedeschi un bambino di una famiglia polacca, ebrea, rom, cattolica, ortodossa poteva essere anche un prigioniero e vittima del sistema criminale.
„Nella raccolta degli oggetti storici di cui si prende cura la nostra Fondazione della Memoria dei luoghi collegati ad Auschwitz-Birkenau (Fundacja Pobliskie Miejsca Pamięci Auschwitz-Birkenau , c’è un elemento speciale e significativo legato al Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz- Birkenau, la parte di una piccola divisa del Campo di un bambino con la toppa numerata e la stella di Davide[…]” – ha dichiarato Agnieszka Molenda, Presidente della Fondazione
Sfortunatamente, si e’ conservata solo la parte superiore.
Sulla toppa c’è una stella di Davide realizzata con un triangolo rosso e uno giallo dipinto, purtroppo il numero di registrazione del bambino non è più presente. La dimensione della toppa è stata adattata alle minuscole dimensioni della divisa ed è significativamente più piccola rispetto alle toppe fatte per gli adulti.
L’uniforme è stata trovata a Brzeszcze, durante la demolizione di una vecchia casa di legno; era in soffitta, incastrata sotto una trave di sostegno del tetto. Purtroppo, e’ stata trovata nella parte dell’edificio in cui il tetto era parzialmente rovinato, motivo per cui solo una parte della divisa si e’ conservata fino ad oggi.
„[…]Probabilmente apparteneva ad un bambino ebreo, salvato dal Campo subito dopo la liberazione. Il 27 gennaio 1945, i russi liberando il complesso di Auschwitz trovarono circa 500 bambini nel Campo. Gli abitanti delle città vicine si affrettarono ad aiutare i sopravvissuti. Molto spesso accolsero nelle loro case, bambini malnutriti e malati, senza badare a nazionalità o religione. Cercarono di salvarne il maggior numero possibile, di curarli, dar loro da mangiare, mantenerli in vita nei loro primi momenti di libertà. Volevano mostrare loro calore ed amore famigliare, farli sentire bambini e non più prigionieri.
Per ora non conosciamo il destino del bambino che fu obbligato ad indossare questa divisa, né il destino della famiglia che ha cercato di riportare il bambino alla vita normale” – prosegue Agnieszka Molenda, presidente della Fondazione
La parola „bambino” non puo’ essere associata alla parola „prigioniero”.
Vedendo queste immagini si prova un grande dolore.
Questo dolore per quanto mi riguarda e’ amplificato dal fatto che purtroppo ancora oggi tanti bambini nel mondo sono „prigionieri”.
Alcuni indossano una divisa e sono uccisi dall’umana mano assassina nelle tante guerre che si stanno combattendo;
altri pur non indossando alcuna divisa vengono uccisi per fame, la sete e le malattie dalla mano assassina dell’indifferenza del Mondo.