Anche in guerra ci può essere un punto di vista femminile.
Il libro La Croce in trincea, scritto da Stefano Aluisini, Ruggero Dal Molin e Marco Cristini, racconta l'epopea umana e militare dei cappellani sul fronte italiano durante la Grande Guerra. Durante le ricerche, però, gli autori hanno scoperto di dover dare voce a un’altra croce, quella delle infermiere volontarie.
«Dai passi più toccanti dei documenti è emerso prepotentemente come i cappellani avessero trovato il loro naturale alter ego sia spirituale che umano proprio nelle laiche figure delle Infermiere Volontarie con le quali finirono per condividere ogni sorta di sofferenza. Un sacrificio in prima linea che si affiancò a quello che durante la Grande Guerra milioni di donne sopportarono nei campi, nelle fabbriche e nelle famiglie lasciate dai giovani partiti per il fronte: l'origine di un riscatto umano e culturale grazie al quale finalmente l'universo femminile acquisì la propria indipendenza. Le testimonianze delle Crocerossine ci rendono un profondo, drammatico e convinto rifiuto della guerra e delle sue sofferenze, motivo per cui i loro diari, pubblicati nel primo dopoguerra, furono ben presto spazzati via dalla cultura del regime incombente; la loro memoria rivive in questo libro solo grazie ad alcuni piccoli volumi recuperati in tanti anni dall'Archivio Storico Dal Molin» racconta Aluisini, autore anche di Molti non tornarono insieme a Dal Molin.
Perché le crocerossine hanno, alla fine, ottenuto un intero capitolo?
«Durante questo anno di ricerche abbiamo potuto rileggere questo immenso contributo delle donne non solo nelle testimonianze degli eserciti di diversi Paesi ma, quel che più conta, cogliendolo come proveniente e spontaneo da ogni livello della società. Per questo ricordiamo la luminosa figura della Duchessa d'Aosta Elena d'Orleans, moglie del Duca d'Aosta comandante della III^ Armata: sarà proprio lei, Ispettrice Generale del Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa, a convincerlo a realizzare grazie alla Facoltà di Padova la prima Università da campo destinata a laureare i medici militari da inviare con urgenza al fronte.
Fu proprio una donna all'origine di una vera e propria rivoluzione che getterà le basi della medicina militare e d'urgenza per il nostro Paese. Diventerà ben presto una figura quasi venerata da centinaia di Crocerossine provenienti dalla migliore nobiltà italiana alle quali, pur nei frangenti più drammatici, non fece mai mancare il suo sostegno. Ma anche dal mondo imprenditoriale e intellettuale sorsero ben presto altrettante eroine in tutta Europa; si ripercorrono così nel libro alcune vicende che legarono per sempre la memoria di Maria Teresa Nardini di Bassano del Grappa all'indomita Brigata "Sassari" dello scrittore-soldato Emilio Lussu. O il destino della scrittrice inglese Vera Brittain, anche lei infermiera volontaria sul fronte occidentale, le cui ceneri saranno sparse per sua volontà sulla tomba dell'amatissimo fratello caduto sull'Altopiano di Asiago».
Come erano viste queste donne al fronte?
«Colpisce soprattutto la dimensione che la donna assunse allora nel diretto contatto con la guerra: una reazione istintiva ma non improvvisata accomuna infatti queste giovani indipendentemente dal Paese per il quale servivano. E' una coraggiosa e convinta donazione di sè che non sacrifica e non nasconde i propri sentimenti e la propria femminilità ma che, anzi, trova proprio nelle risorse ataviche di ogni donna la forza di sopportare e aiutare gli stessi soldati a superare gli orrori della guerra. Ogni testimonianza, ogni fotografia, ogni pagina scritta in qualsiasi lingua rivela gli sguardi di quelle giovani donne nelle quali compassione, coraggio e dedizione si fusero in una sorta di spirito comune ai combattenti i quali rividero subito in loro la madre, la moglie, la sorella finendo poi per considerarle veri soldati tra i soldati».
È importante affrontare di più il ruolo delle donne nella saggistica di guerra?
«Sinceramente penso che l'immenso contributo dato dalle donne durante la Grande Guerra, e mi riferisco in questo caso a quelle che erano lontano dal fronte, nelle fabbriche, nelle famiglie, nei campi, finì davvero con il determinare al termine del conflitto una rinascita sociale e culturale i cui effetti si sono moltiplicati sino ai giorni nostri e può offrire infinite occasioni di una riscoperta ad ogni tipo di studio sia antropologico che sociologico. Ed è così anche per la saggistica di guerra dove però una rivalutazione del ruolo femminile resta di fatto offuscata fino almeno alla Resistenza. Quello che vorremmo sottolineare infatti oggi, nell'occasione di una festa della donna che ci rimanda proprio agli inizi del secolo scorso, è che anche in un libro comunque dedicato ad un mondo e una vicenda tipicamente maschili, quello della guerra dei Cappellani militari, così apparentementi distanti dalla figura femminile, vi si rivendica invece una dimensione militare e umana delle donne per loro esattamente speculare, con le sue decorazioni al valore, i suoi atti di coraggio, i suoi caduti e i suoi feriti. Una condivisione di vita e di sofferenza tra uomini e donne la cui profondità ci lascia ancora oggi stupiti e nasconde tuttora sentimenti, storie e ricordi rimasti per troppo tempo sepolti. Su questa strada, e forse è solo l'inizio, vorremmo per il futuro provare a riscoprire, magari proprio con gli occhi delle donne, quegli sguardi che in alcune fotografie, scattate nella pausa fuori dalla sofferenza degli ospedali, nonostante l'orrore della guerra non riescono a perdere il loro spunto infinito di dolcezza».
«Dai passi più toccanti dei documenti è emerso prepotentemente come i cappellani avessero trovato il loro naturale alter ego sia spirituale che umano proprio nelle laiche figure delle Infermiere Volontarie con le quali finirono per condividere ogni sorta di sofferenza. Un sacrificio in prima linea che si affiancò a quello che durante la Grande Guerra milioni di donne sopportarono nei campi, nelle fabbriche e nelle famiglie lasciate dai giovani partiti per il fronte: l'origine di un riscatto umano e culturale grazie al quale finalmente l'universo femminile acquisì la propria indipendenza. Le testimonianze delle Crocerossine ci rendono un profondo, drammatico e convinto rifiuto della guerra e delle sue sofferenze, motivo per cui i loro diari, pubblicati nel primo dopoguerra, furono ben presto spazzati via dalla cultura del regime incombente; la loro memoria rivive in questo libro solo grazie ad alcuni piccoli volumi recuperati in tanti anni dall'Archivio Storico Dal Molin» racconta Aluisini, autore anche di Molti non tornarono insieme a Dal Molin.
Perché le crocerossine hanno, alla fine, ottenuto un intero capitolo?
«Durante questo anno di ricerche abbiamo potuto rileggere questo immenso contributo delle donne non solo nelle testimonianze degli eserciti di diversi Paesi ma, quel che più conta, cogliendolo come proveniente e spontaneo da ogni livello della società. Per questo ricordiamo la luminosa figura della Duchessa d'Aosta Elena d'Orleans, moglie del Duca d'Aosta comandante della III^ Armata: sarà proprio lei, Ispettrice Generale del Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa, a convincerlo a realizzare grazie alla Facoltà di Padova la prima Università da campo destinata a laureare i medici militari da inviare con urgenza al fronte.
Fu proprio una donna all'origine di una vera e propria rivoluzione che getterà le basi della medicina militare e d'urgenza per il nostro Paese. Diventerà ben presto una figura quasi venerata da centinaia di Crocerossine provenienti dalla migliore nobiltà italiana alle quali, pur nei frangenti più drammatici, non fece mai mancare il suo sostegno. Ma anche dal mondo imprenditoriale e intellettuale sorsero ben presto altrettante eroine in tutta Europa; si ripercorrono così nel libro alcune vicende che legarono per sempre la memoria di Maria Teresa Nardini di Bassano del Grappa all'indomita Brigata "Sassari" dello scrittore-soldato Emilio Lussu. O il destino della scrittrice inglese Vera Brittain, anche lei infermiera volontaria sul fronte occidentale, le cui ceneri saranno sparse per sua volontà sulla tomba dell'amatissimo fratello caduto sull'Altopiano di Asiago».
Come erano viste queste donne al fronte?
«Colpisce soprattutto la dimensione che la donna assunse allora nel diretto contatto con la guerra: una reazione istintiva ma non improvvisata accomuna infatti queste giovani indipendentemente dal Paese per il quale servivano. E' una coraggiosa e convinta donazione di sè che non sacrifica e non nasconde i propri sentimenti e la propria femminilità ma che, anzi, trova proprio nelle risorse ataviche di ogni donna la forza di sopportare e aiutare gli stessi soldati a superare gli orrori della guerra. Ogni testimonianza, ogni fotografia, ogni pagina scritta in qualsiasi lingua rivela gli sguardi di quelle giovani donne nelle quali compassione, coraggio e dedizione si fusero in una sorta di spirito comune ai combattenti i quali rividero subito in loro la madre, la moglie, la sorella finendo poi per considerarle veri soldati tra i soldati».
È importante affrontare di più il ruolo delle donne nella saggistica di guerra?
«Sinceramente penso che l'immenso contributo dato dalle donne durante la Grande Guerra, e mi riferisco in questo caso a quelle che erano lontano dal fronte, nelle fabbriche, nelle famiglie, nei campi, finì davvero con il determinare al termine del conflitto una rinascita sociale e culturale i cui effetti si sono moltiplicati sino ai giorni nostri e può offrire infinite occasioni di una riscoperta ad ogni tipo di studio sia antropologico che sociologico. Ed è così anche per la saggistica di guerra dove però una rivalutazione del ruolo femminile resta di fatto offuscata fino almeno alla Resistenza. Quello che vorremmo sottolineare infatti oggi, nell'occasione di una festa della donna che ci rimanda proprio agli inizi del secolo scorso, è che anche in un libro comunque dedicato ad un mondo e una vicenda tipicamente maschili, quello della guerra dei Cappellani militari, così apparentementi distanti dalla figura femminile, vi si rivendica invece una dimensione militare e umana delle donne per loro esattamente speculare, con le sue decorazioni al valore, i suoi atti di coraggio, i suoi caduti e i suoi feriti. Una condivisione di vita e di sofferenza tra uomini e donne la cui profondità ci lascia ancora oggi stupiti e nasconde tuttora sentimenti, storie e ricordi rimasti per troppo tempo sepolti. Su questa strada, e forse è solo l'inizio, vorremmo per il futuro provare a riscoprire, magari proprio con gli occhi delle donne, quegli sguardi che in alcune fotografie, scattate nella pausa fuori dalla sofferenza degli ospedali, nonostante l'orrore della guerra non riescono a perdere il loro spunto infinito di dolcezza».
