Una busta mai aperta nell’Ufficio storico dei carabinieri. Dentro il dossier datato febbraio 1945 che svela la mappa dell’insurrezione partigiana per liberare Milano: covi, mense, contraerea e centri militari nazifascisti
Il Corriere ha letto il dossier, conservato in una grande, pesante busta ingiallita nell’Ufficio storico dei carabinieri, aperta adesso per la prima volta oltre settant’anni dopo e all’epoca consegnata ai propri vertici dagli ufficiali dell’Arma che, insieme agli altri partigiani (le Brigate Garibaldi, Matteotti, Mazzini...), organizzarono la liberazione della città culminata nel 25 aprile del 1945. La preparazione avvenne mesi prima e come conferma la data di questo «Piano generale per l’insurrezione di Milano» (che rappresenta il corpo centrale del dossier disvelato), essa fu definita il 15 febbraio di quell’anno. Con la scansione dettagliata delle fasi e delle modalità; e soprattutto con l’elenco minuzioso degli obiettivi nazifascisti da assaltare.
La città fu suddivisa in 9 «settori» di operazioni. La densità dei punti d’attacco necessitava di adeguati «soldati» e arsenali. I primi erano così ripartiti per settore (anche se parziali in quanto conteggiati a febbraio): Duomo 2.022 unità, Garibaldi 558, Venezia 1.209, Vittoria 1.120, Vigentino 1.045, Ticinese 813, Magenta 1.647, Sempione 1.579 e Sesto San Giovanni 1.902. Quanto agli arsenali, il punto di partenza era preoccupante: «L’armamento è carente, specie quello automatico pesante, per le forze interne. Per le forze partigiane della montagna, invece, si può considerare completo». L’afflusso di rinforzi, dunque, sarebbe stato essenziale a condizione d’essere puntuale e d’incontrare un’inerzia iniziale nella battaglia favorevole ai partigiani. C’erano anche pronti, entusiasticamente convinti ad andare fino in fondo, «venti vigili e cinquanta pompieri»; i carabinieri, che ebbero decisivi ruoli nell’assalto alle caserme occupate, furono cinquecento; ai poliziotti sarebbe spettata la gestione dell’ordine pubblico nella città nel caos. Ma in ogni modo, al di là dei numeri, della «dotazione» e della forza complessiva, sarebbero stati essenziali i tempi. Anticipata da una fase pre-insurrezionale (con un’intensificazione graduale della guerriglia e del sabotaggio e con un’intensa propaganda per «fiaccare il morale del nemico e galvanizzare le nostre masse popolari»), la fase insurrezionale prevedeva di «lanciare, con la massima celerità possibile, forti pattuglioni alla conquista degli obiettivi eliminando i nazifascisti che li presidiano». Ogni settore avrebbe avuto «tribunali straordinari» per «giudicare i traditori fascisti e tutti coloro che, approfittando del periodo di emergenza, commettessero atti di delinquenza».
Gli obiettivi erano di due tipologie: prima e seconda fascia. Nella prima c’erano «Comandi tedeschi e fascisti, caserme, alberghi ed edifici organizzati a difesa, depositi militari, aeroporti, centrali di collegamento, abitazioni dei capi tedeschi e fascisti...». Nella seconda c’erano «uffici politici e amministrativi, stazioni ferroviarie, rimesse tranviarie, banche, sedi e tipografie di giornali, uffici postali...». La «mappa» contemplava ulteriori e variegate voci: una postazione della radio tedesca in via Rovani, il deposito di benzina di via Adige 14, il magazzino generale dei viveri in via Delfico, il circolo-bar dei tedeschi in via San Paolo 8, la contraerea in piazza Bossi, il Comando delle prigioni militari in via Pellico, la mensa tedesca di via Meravigli e quella (esclusivamente per gli ufficiali) di via Domenichino 48, il distaccamento delle Brigate nere all’Arena, il magazzino per il vestiario dei soldati allo scalo Farini. Erano numerosi i centralini telefonici, da via Belfiore 13 a Via Novara 228, e le basi della Guardia nazionale repubblica (uno era in piazza Napoli 22). Dopodiché c’erano i covi e non sempre erano noti: uno, conosciuto, si trovava in via Paolo da Cannobio ma per scoprire quelli segreti bisogna insistere, si raccomandava il Comando, con indagini e attingendo alle spie che facevano il doppio gioco, ovvero frequentare i tedeschi (succedeva in alcune caserme) per carpire informazioni utili alla Resistenza.