Normalmente i movimenti di destra fanno della salute e del vigore fisico un loro tratto caratterizzante. A leggere questo libro di Ohler, sembrerebbe invece che, nella società tedesca durante il nazismo, nelle alte sfere militari e di partito e nel loro capo, le cose non stessero affatto così: “Benché i nazisti ostentassero un rigido moralismo e attuassero una severa politica antidroga […] sotto la dittatura di Hitler una sostanza potente, molto pericolosa e capace di dare dipendenza diventò un prodotto popolare”. Lo stesso Hitler era drogato marcio.
Personalmente penso che questo libro abbia una ambiguità di fondo. È un libro di storia, ma chi lo ha scritto non è uno storico; si basa su un certo numero di documenti resi disponibili recentemente, ma vi sono parti romanzate. Di più: vi sono momenti in cui la mancanza di perizia dell’A. nel padroneggiare i documenti emerge abbastanza chiaramente: ad esempio, sospetta che Rommel facesse uso di anfetamine basandosi esclusivamente sul suo modo di combattere senza altra fonte documentaria (p. 104 ss.). D’altra parte, lo afferma lo stesso Ohler: “non sono uno storico e non pretendo di riscrivere gli avvenimenti” (p. 141). Non è una confessione di umiltà, è un modo di mettere le mani avanti.
Infatti, le quattro parti in cui si suddivide il libro, a mio parere sono di valore diseguale. Documentata e, tutto sommato, convincente, è la prima parte: è plausibile che in un Paese sconfitto e nel mezzo di una catastrofe economica, quale era la Germania dopo la prima guerra mondiale, una buona parte della società cercasse rifugio e consolazione nei mondi artificiali delle droghe. Nel caso specifico si tratta, in particolare, di una droga sintetica, ma la cosa non stupisce se si pensa che la Germania era all’avanguardia nell’ambito della chimica, come testimonia la presenza di case farmaceutiche di livello mondiale come la Bayern e altre.
La droga sintetica era una anfetamina, il Pervitin, che riscosse un successo e una diffusione clamorosi. Era in grado di far sparire quasi completamente i sintomi della fame e di tenere il fisico sveglio e attivo per giorni. Un prodotto con caratteristiche del genere era l’ideale per gli eserciti e per i soldati.
Tuttavia, affermare che l’uso di questa anfetamina era largamente diffusa nella società tedesca (già prima dell’ascesa del nazismo) è un’affermazione impegnativa che andrebbe comprovata maggiormente. Se non ci sono dubbi che nel mondo dello spettacolo cocaina e altri stupefacenti circolassero in abbondanza, si trattava comunque di cerchie molto ristrette appartenenti al mondo dello spettacolo o comunque benestanti. Ma durante la gran parte degli anni della Repubblica di Weimar furono anni durissimi per la maggioranza della popolazione. Che vi fosse la tentazione di fuggire al presente ricorrendo a sostanze artificiali è più che probabile, ma data la povertà diffusa è più probabile che la piaga più grave fosse l’alcolismo piuttosto che l’uso di droghe.
Qualche altro dubbio comincia ad affiorare nella seconda parte, che tratta essenzialmente dei due primi due anni di guerra: secondo l’A., l’invasione della Polonia e la folgorante vittoria contro la Francia, furono dovuti essenzialmente all’uso smodato nell’esercito di questo nuovo ritrovato. Per la campagna contro la Francia l’esercito ordinò l’impressionante cifra di 35 milioni di compresse, ma se si considera che vi presero parte oltre due milioni di soldati, il numero di pillole per ciascun soldato diventa poca cosa.
La replica invece non si verificò con l’invasione dell’URSS essenzialmente perché, considerata la vastità del Paese e quindi dei fronti e la tattica dei sovietici di ritirarsi, fu una guerra assai meno di movimento rispetto a quella sul fronte occidentale. Di conseguenza, l’uso del Pervitin risultò inefficace.
Con la parte terza (dal 1941 al 1944) la narrazione si sposta dal piano storiografico quasi sempre tenuto nelle due precedenti per far spazio ad ampi tratti romanzati. Qui l’A., ci parla del “paziente A” e del suo strano, simbiotico rapporto col suo medico personale di fiducia, Gilbert Theodor Morell – ciarlatano più che medico. Arrivista senza scrupoli, Morell somministrò a Hitler mix micidiali di sostanze dopanti, steroidi, Eukodal, zucchero d’uva e altre decine di sostanze, infiacchendone il fisico e oscurandogli progressivamente la ragione. Tra i due si verrà ad instaurare uno strano rapporto di reciproca dipendenza: a Hitler, il “dottore” deve fama, ricchezza e immunità per i suoi maneggi e commerci al di fuori di controlli e legalità; Hitler gli deve la capacità di resistere fisicamente alle pressioni dovute all’andamento fallimentare della guerra.
Ohler, basa la sua ricostruzione su parecchi documenti, ma non mancano le contraddizioni. Ad esempio, a p. 226 scrive: “Dall’autunno del 1941 Hitler fu un consumatore accanito di ormoni e steroidi e, a partire dalla seconda metà del 1944, anche di cocaina e anche di Eukodal. In quella fase, dunque, Hitler non ebbe nemmeno un giorno di lucidità” (p. 226); qualche pagina più tardi afferma però che Hitler era diventato “tossicomane” dopo l’attentato del 1944 e, soprattutto, che l’assuefazione alle droghe aveva accentuato le sue caratteristiche umane preesistenti (p. 239). In breve, l’Autore non scioglie il dubbio che dalla sua stessa narrazione emerge: se dal punto di vista militare le cose per la Germania cominciarono a mettersi male nel 1941, e cioè quando Hitler comincia ad assumere ormoni, steroidi e altri ritrovati e, da quel momento, come afferma, non ha più un giorno di lucidità, allora Hitler ha perso la guerra a causa delle droghe? La risposta di Ohler è negativa: “Hitler […] rimase lucido fino alla fine. Il consumo di stupefacenti non compromise affatto la sua capacità decisionale. Fu sempre in sé, sapeva esattamente cosa faceva e agì con sangue freddo” (pp. 239-40).
Queste conclusioni però smentiscono descrizioni precedenti: ad esempio, anche se l’A., non lo dice espressamente, nella sua ricostruzione vi è una coincidenza tra errori tattici militari compiuti da Hitler in occasione dell’invasione della Russia e l’assunzione delle sostanze dopanti del suo medico: “L’intuito [di Hitler] che fino all’inizio dell’Operazione Barbarossa [l’invasione dell’URSS] si era dimostrato pressoché infallibile lo abbandonò quando le iniezioni cominciarono a devastare il suo organismo” (p. 156).
Un’altra tesi sostenuta nel testo è che “le droghe nel Terzo Reich furono utilizzate come strumento artificiale di mobilitazione, per compensare la fisiologica perdita di motivazione e mantenere alto il morale dell’entourage” (p. 296) di Hitler – Morell, il suo medico, serviva anche altri pezzi grossi del regime.
Sono tesi e affermazioni impegnative e, per certi aspetti, fuorvianti e pericolose. Sostenere che dopo l’invasione dell’Unione Sovietica Hitler perse progressivamente il controllo della situazione a causa delle droghe suona come assoluzione complessiva per una società che, a sua volta, non si avvide del disastro in arrivo e non reagì perché anch’essa obnubilata dalla diffusione delle anfetamine. Ne deriverebbe un’attenuante di non poco conto del sostegno di cui ha goduto il regime fino alle fine.
Romanziere di successo, Ohler sa come intrattenere il lettore. Il libro, oltre ad avere il merito di chiarire che dietro alla propaganda dei regimi fascisti improntata a eroismo, virilità e bellicosità, la realtà era ben diversa, è scorrevole e avvincente.
Con le precauzioni a cui ho accennato “Tossici” si legge volentieri.