POSTI LETTO DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Fabio De Ninno  per 900-Il secolo breve

Il 29 maggio 1940, a una decina di giorni dall’ingresso in guerra, il consiglio direttivo della Croce Rossa affermava la necessità di “avere a disposizione almeno 400 mila posti letto per le prevedibili necessità belliche, ma che la disponibilità
effettiva era di appena 200 mila”. Lo stesso consiglio esprimeva l’auspicio, basandosi sull’esperienza dell’ultima guerra, che i mezzi finanziari per l’ampliamento delle capacità sarebbero arrivati. In realtà la capacità complessiva fu portata nel 1942 a 335.000, ma questo perché si fece largamente conto dei posti
degli ospedali psichiatrici (74 mila), dei brefotrofi (11 mila) e di 13.000 posti garantiti da ambulatori comunali, ospedalieri e dispensari: strutture inadatte al trattamento delle patologie del tempo di guerra.

Il contesto generale in realtà fu quello di una costante riduzione delle risorse. Il 27 luglio 1940, il ministero dell’Interno, con una circolare (n. 13012) ribadiva all’amministrazione civile, sotto cui ricadeva quella sanitaria, la necessità di ridurre tutte le spese per l’assistenza. Gli effetti non si fecero attendere creando
una divaricazione tra le necessità delle amministrazioni locali che dovevano fronteggiare la crescente emergenza e le difficoltà nel farlo a causa delle restrizioni fiscali.
Nella foto: Imola, 8 marzo 1941, il primario Francesco D’Agostino a colloquio con la principessa Maria Josè del Belgio nell’ospedale militare allestito alle scuole Carducci (Archivio Cidra)