Notiziario: PONTE DELLA PRIULA

PONTE DELLA PRIULA

L'ultimo reparto a passare il fiume a Ponte della Priula fu un battaglione del 152º reggimento della brigata Sassari, inquadrato per quattro, fucile a bilanc'arm ed al passo, comandato da un piccolo ufficiale di Thiesi, un paese del Meilogu in provincia di Sassari, il capitano Giuseppe Musinu, futuro generale di corpo d'armata. «Gli austriaci - ricordò il generale Musinu - cercarono di fermarci in ogni modo, ma non osavano attaccare frontalmente e allora mandavano pattuglie a disturbare la nostra marcia. Il battaglione procedeva in perfetto ordine, rispondevamo al fuoco con le nostre pattuglie che ci proteggevano i fianchi e ci precedevano. Io stesso sparavo con il mio 91. Mi dissero che stavano per far saltare il ponte: temevano che gli austriaci riuscissero a passare il Piave. Mandai avanti un sottufficiale per dire di aspettare. Arrivammo appena in tempo. Io ero in retroguardia, per proteggere la ritirata. Quando l'ultimo dei nostri fu dall'altra parte del Piave, passammo anche noi. E il ponte fu fatto saltare». In effetti un colonnello del genio stava per dare l'ordine di far brillare le cariche che avrebbero distrutto il manufatto, quando uno squillo di tromba avvertì che stava giungendo un reparto, inquadrato perfettamente e comandato da un piccolo e impettito ufficiale: era Musinu, che fu anche fra i primi, l'anno successivo, a far balzare i suoi uomini dalle trincee per ripassare il fiume Piave. La vicenda del passaggio del ponte del battaglione di Musinu fu raccontata dal comandante della compagnia d'assalto della Sassari, capitano Leonardo Motzo: «Passa mezzogiorno, passa l'una e ancora il battaglione non si vede. Finalmente, lontano, avanza una colonna. Sono i nostri! Sotto il fuoco nemico la colonna ondeggia, esita, si scompone. Finalmente imbocca il ponte: sottogola abbassato, passo cadenzato. Il comandante è in testa. Arrivato all'altezza del gruppo dei generali grida: Attenti a destra! Il battaglione rende gli onori». «Forza paris!», avanti insieme, fu - ed è ancora - la parola d'ordine dei sassarini, quelli delle mostrine bianche e rosse, il cui inno termina proprio così: «Sa fide nostra no la pagat dinari/ ajò! dimonios!/ avanti forza paris!», la nostra fedeltà/ non la si può comprare/ andiamo! diavoli!/ avanti, forza insieme! Giuseppe Musinu fu, con Emilio Lussu, uno degli ufficiali più amati dai fanti della Sassari, composta interamente da sardi; ferito cinque volte, fu protagonista in decine di azioni che gli crearono la fama dell'eroe. Assieme ai suoi sassarini partecipava ai colpi di mano con «sa guspinesa», un coltello affilatissimo, e con il «fogu aintru», con il tizzone dentro la bocca: così tenevano il sigaro, per non essere individuati nel buio della notte e poter dare fuoco alle micce degli esplosivi, cortissime, in modo da sorprendere il nemico. Le sentinelle nei settori affidati alla Sassari avevano l'ordine di sparare contro chiunque, al «chi va là?», non rispondesse in sardo: fra gli imperial-regi non erano pochi quelli che parlavano italiano. E così i sassarini si cautelavano: «Se sese italianu, faedda in sardu!», se sei italiano, parla in sardo. Le promozioni di Musinu furono guadagnate sul campo: a 26 anni era il più giovane maggiore dell'esercito.