Oria, la tomba marina (dimenticata) dei soldati italiani
na delle tragedie meno studiate del Mediterraneo durante la Seconda Guerra mondiale, nonostante risulti tra i disastri bellici più importanti per numero di vittime. Abbiamo seguito i consigli e le richieste dei lettori arrivati al post sull’affondamento della Gulstoff, e abbiamo deciso di raccontare anche la storia della Oria. La nave mercantile partì da Rodi l’11 febbraio 1944 con a bordo circa 4.200 soldati italiani, che si erano rifiutati di collaborare con il regime nazista e di aderire alla Repubblica di Salò dopo l’8 settembre 1943 ed erano, quindi, destinati alla deportazione nei territori occupati dalla Germania. Con loro c’erano anche 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l’equipaggio norvegese (qui è riportato l’elenco dei militari che vennero deportati da Rodi, quali prigionieri di guerra per un totale di 4.116 dispersi).
La tragedia in mare – Mentre il Piroscafo si dirigeva verso il porto del Pireo di Atene, fu sorpreso da una tempesta nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 1944. La nave si inabissò, portando con sè tutti gli uomini, presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali di fronte all’isola di Patroclo.
Figlio di un pescatore, Yannis aveva 18 anni quando la notte dell’11 febbraio 1944 fu testimone da terra del naufragio e, anche, dell’arrivo dei corpi sulla spiaggia. “Si è sentito un grande boato, poi, mentre ci chiedevamo cosa fosse, un sibilo lungo e cupo. Era buio, c’era molto vento e pioveva molto forte, il mare era mosso come non ho più visto da allora”.
Le ricerche – I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo una quarantina di italiani, alcuni tedeschi e uomini dell’equipaggio, come il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina. Alcuni naufraghi furono salvati dalle popolazioni del luogo, altri vennero portati a riva senza vita. A tutti venne data una dignitosa sepoltura nelle fosse. egli anni successivi un gruppo di sub greci coordinati da Aristotelis Zervoudis ha ritrovato i resti del Piroscafo e riportato alla luce diverse gavette dei soldati. Il luogo del naufragio è considerato, secondo la convezione dell’Unesco, Sacrario del Mare.
Caccia alla memoria – La vicenda è raccontata sul sito creato dai parenti delle vittime (www.piroscafooria.it), con l’idea di provare a ricostruire la storia dei soldati toscani caduti e di ritrovare le loro famiglie, anche per offrire un riconoscimento morale alla memoria dei caduti che si erano rifiutati di collaborare con il regime in una sorta di “Muro della memoria”. Non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefici della Convenzione di Ginevra e dell’assistenza della Croce Rossa.
Storia di una nave – L’Oria era stato costruito nel 1920 nei cantieri Osbourne, Graham & Co di Sunderland. Era un piroscafo da carico norvegese della stazza di 2127 tsl, di proprietà della compagnia di navigazione Fearnley & Eger di Oslo. All’inizio della guerra fece parte di alcuni convogli inviati in Nord Africa, e fu lì, a Casablanca, che nel giugno del 1940 poco dopo l’occupazione tedesca della Norvegia, fu internato. Un anno dopo la nave fu requisita dalla Francia di Vichy, ribattezzata Sainte Julienne e data in gestione alla Société Nationale d’Affrètements di Rouen; passando poi in Mediterraneo. Nel novembre del 1942 fu formalmente restituito al proprietario e ribattezzato Oria. Subito dopo fu affidato alla compagnia tedesca Mittelmeer Reederei GmbH di Amburgo. Nel 1955, dopo l’incidente, il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre i cadaveri di circa 250 naufraghi furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari.
Un monumento per ricordare – Come riporta il sito del Ministero della Difesa italiano, 70 anni dopo la tragedia, domenica 9 febbraio 2014 al chilometro 60 della strada statale Atene-Sunio di fronte all’isolotto di Patroklos, è stato inaugurato il Monumento dedicato ai Caduti del piroscafo. Una creazione dello scultore Thimios Panourgias, Docente dell’Accademia di Belle Arti di Atene, realizzato assieme alla moglie. Su richiesta delle famiglie dei caduti, sul marmo è stata posta la riproduzione di una gavetta, collocata casualmente, come se qualcuno l’avesse lasciata lì, o dovesse raccoglierla. Grazie al ritrovamento di alcune gavette e tramite le iscrizioni su alcune di esse (nomi, dati, ultimi messaggi e promesse di ritorno), qualche famiglia ha saputo dopo quasi settant’anni dell’accaduto.