Orazio Pettuccelli nacque a Potenza il 18 ottobre 1914, dopo aver conseguito la laurea in Economia e commercio si arruolò nell’Arma dei Carabinieri come allievo nella Legione di Roma. A causa di una grave malattia abbandono la vita militare, entrando come funzionario presso la filiale della Banca d’Italia di Napoli.
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, si arruolò volontario come sottotenente di complemento, chiedendo di essere destinato in zona di guerra. Il 23 marzo 1943 fu inviato alla 2ª Compagnia del 7º Battaglione Mobile Carabinieri, assegnata alla 33ª Divisione di fanteria “Acqui” di stanza sull’isola di Cefalonia.
Dopo la proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943 la divisione decise di resistere ai tedeschi. Durante le trattative incorse tra il comandante della divisione, generale Antonio Gandin, e i comandi della Wehrmacht, la mattina del giorno 14 egli riunì una ventina di uomini fedeli deciso ad arrestare il generale Gandin per tradimento.
Il piano fallì in quanto Gandin, oggetto di un attentato da parte di un carabiniere, aveva messo a guardia del suo comando un reparto di fanteria armato di mitragliatrici. In quello stesso frangente, sfidando un picchetto armato tedesco, Petruccelli ammainò la bandiera germanica issata oltraggiosamente nella piazza di Argostoli, innalzando nuovamente quella italiana.
Al comando dei suoi uomini prese parte ai successivi combattimenti, distinguendosi per il coraggio dimostrato sulle alture di Hieramis al fianco del capitano Vincenzo Saettone. Catturato dal nemico dopo giorni di lotta, fu fucilato a Capo San Teodoro il 24 settembre 1943, insieme al capitano Giovanni Mario Gasco, e al tenente Alfredo Sandulli Mercuro.
Per il coraggio dimostrato in quel frangente gli fu assegnata la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria, ed inoltre gli sono state intitolate vie nella sua città natale e a Napoli.
«Comandante dì plotone carabinieri della Divisione ” Acqui “, si rivelava tra i primi accesi e tenaci assertori della lotta contro il tedesco a Cefalonia. Mentre perduravano ancora le trattative, sfidando un picchetto armato tedesco – sorpreso da tanta audacia – ammainava la bandiera germanica issata oltraggiosamente dal nemico nella piazza di Argostoli innalzando nuovamente la bandiera italiana. Durante la aspra e sanguinosa battaglia, sempre presente dove maggiore era il pericolo, confermava in ogni circostanza il suo militare ardimento, trascinando con l’esempio i suoi uomini ad epica lotta. Catturato dai tedeschi e sottoposto a fucilazione affrontava la morte con fierezza e dignità di soldato. Fulgido esempio di fedeltà alla Patria ed attaccamento al dovere. Cefalonia, 8-24 settembre 1943.»
— Decreto Presidenziale del 15 febbraio 1949