
Ma nelle trincee trovò posto anche il più fido degli animali, il miglior amico dell’uomo: il cane. Tantissimi furono quelli che vennero utilizzati nelle trincee avanzate per il trasporto di munizioni e viveri là dove i sentieri e i camminamenti erano impervi e difficili per le tradizionali colonne delle salmerie. Sul fronte italiano, ad esempio, in particolare sull’Adamello, assieme ai conducenti dei muli, tantissimi cani furono equipaggiati di slitte e
carretti, arrivando a trainare perfino pezzi di artiglieria di piccolo calibro. Ma il cane nella Grande Guerra venne utilizzato e addestrato per la ricerca e il soccorso, di chi veniva travolto dalle valanghe o cadeva in qualche crepaccio o risultava disperso durante le azioni di combattimento: possiamo affermare, senza smentita, che, negli anni 1914-1918, nacquero gli antecedenti dei soccorsi cinofili alpini. Eric Baratay, storico francese, ha stimato in quasi undici milioni di cavalli, muli e asini, 200.000 piccioni e volatili e 100.000 cani gli animali “arruolati” tra gli eserciti alleati e degli Imperi Centrali. Quanti di loro caddero assieme ai soldati? Nessuno lo sa di preciso, ma è stato calcolato in oltre il 50%: uccisi negli assalti, nei bombardamenti, di fatica e di stenti, precipitati in crepacci e dirupi. Trent’anni dopo, questo sacrificio silenzioso si sarebbe ripetuto nel corso del secondo
conflitto mondiale, con ancora una volta gli animali, soldati silenziosi senza uniforme, al fronte con i loro compagni, con i loro conducenti e con i loro sconci. E se qualcuno dubitasse ancora della loro umanità, restano le parole di Giulio Bedeschi, ufficiale medico alpino e autore di Centomila gavette di ghiaccio sulla campagna di Grecia e di Russia, che così ricorda: “Una volta, un conducente rimase ferito da una scheggia che gli fratturò la gamba ed io, che ero ufficiale medico, tentai di prestargli qualche cura, quando ad un certo punto il suo mulo gli si avvicinò e infilò il muso tra la terra e la nuca del ferito, in modo da sostenerlo, riscaldarlo, confortarlo. Una scena che non dimenticherò mai”.