MONSERRATO UOMINI E DONNE RACCONTANO LA SECONDA GUERRA MONDIALE di Gianfranco Vacca

CAPITOLO PRIMO
I combattenti monserratini nel Secondo Conflitto Mondiale.
PREMESSA . I combattenti monserratini nati intorno al 1920 furono i più sfortunati perché, dopo aver svolto i previsti diciotto mesi del servizio di leva nell’Esercito, oppure ventiquattro mesi in Marina, furono richiamati in armi dopo appena un anno dal congedo oppure, i più giovani, furono trattenuti in servizio continuativo senza mai rientrare a casa. Questi soldati, o almeno quelli che ce l’hanno fatta, sono ritornati a casa dopo sette/otto anni di vita militare, consumando in tal modo la loro giovinezza. Molti m’hanno detto: “Seus partius picioccheddus e seus torraus beccius”. Questo concetto lo espresse anche il giornalista Peppino Fiori, che, tra l’altro, abitò a Monserrato e frequentò le scuole elementari perché il padre, il maresciallo Fiori, era il comandante della Stazione dei Carabinieri che stava in via Giulio Cesare (ex via Umberto). Peppino Fiori, come studente universitario, venne impegnato nella mobilitazione civile per scavare tra le macerie di Cagliari bombardata. Egli scrisse: «Così afferrammo i picconi e le pale. Vedere la carne sfatta, toccare i brandelli di un uomo, sentirsi le mani e gli abiti fisicamente impregnati di morte, scoprire sotto i calcinacci un’esistenza spenta….avevamo vent’anni e in poche ore li smarrimmo: mai più li abbiamo ritrovati»
Quando sentivo i reduci raccontare le proprie esperienze, al suono di quelle voci ho vissuto anch’io le loro storie e più di una volta esse sono state accompagnate dalle lacrime. Ho visto Francesco Fois in Grecia quando all’indomani dell’armistizio fu catturato dai tedeschi, trasportato in Germania e rinchiuso in un campo di lavoro forzato nelle foreste intorno a Berlino e ho visto i suoi piedi cambiare colore per il congelamento. Sono stato internato con Flavio Argiolas in un campo di concentramento tedesco in Jugoslavia, ho visto la sua disperazione quando è stato scelto nella conta della decimazione. Con Emanuele Foddis ho vissuto il dramma e l’ecatombe dei militari italiani della Divisione Acqui a Cefalonia. Con Claudio Perra ho partecipato a Roma alla beffa di San Gregorio al Celio preparata dal Fronte Militare Clandestino dei Carabinieri, comandato dal gen. Filippo Caruso, organizzati secondo le disposizioni del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Sono stato nell’autoblindo con Giovanni Marras lungo le coste della Cirenaica (Libia) e ho attraversato a piedi il deserto sahariano. Sono stato partigiano sull’Appennino toscano insieme a Pinuccio Tinti con la Brigata Mameli. Con Gino Picciau ho visto la steppa russa e le rive del fiume Don. Ho combattuto in mare sopra l’incrociatore Duca degli Abruzzi in compagnia di Efisio Sanna e ho visto lo scafo squarciato da un siluro inglese e tanti amici perdere la vita.
Sorprende la tranquillità che emerge dalle pagine del diario di Antonino Picciau quando scrive la sua dolorosa esperienza di militare catturato in Grecia e ridotto in schiavitù in un campo di lavoro tedesco per la gloria del Terzo Reich.
dove le fatiche e le violenze subite lo portarono alla morte nel fiore degli anni. Andrea Loddo nel suo memoriale racconta la guerra contro gli inglesi in Etiopia, la sua esperienza di prigioniero in Kenya, l’impresa dei prigionieri italiani che scalarono il Monte Kenya ed il suo incontro con  uomini che divennero molto famosi.
Non dimenticate
Vi chiedo solo una cosa: se sopravvivete a quest’epoca non dimenticate. Non dimenticate né i buoni né i cattivi. Raccogliete con pazienza le testimonianze di quanti sono caduti per loro e per voi. Un bel giorno, oggi sarà il passato, e si parlerà di una grande epoca e degli eroi anonimi che hanno creato la storia.
Vorrei che tutti sapessero che non esistono eroi anonimi. Erano persone, con nome, volto, desideri e speranze, e il dolore dell’ultimo fra gli ultimi non era meno grande di quello del primo il cui nome resterà. Vorrei che tutti costoro vi fossero sempre vicini come persone che avete conosciuto, come membri della vostra famiglia, come voi stessi. Hanno sterminato famiglie intere di eroi.
Vogliate bene almeno ad uno di essi come a un figlio o a una figlia, e siate fieri di lui come di un grand’uomo che ha vissuto per l’avvenire.
Ognuno di quelli che ha servito fedelmente l’avvenire ed è caduto per la sua bellezza, è una figura scolpita nella pietra. Julius Fucik (scritto sotto la forca)[1]

[1] Julius Fucik, eroe della Resistenza cecoslovacca, nacque il 23 febbraio 1903 a Smikhov, uno dei più vecchi sobborghi industriali di Praga. Giornalista e scrittore, nella primavera del 1942, durante l’occupazione nazista, venne catturato per la sua attività clandestina nel partito comunista. Condotto in Germania, comparve dinanzi al tribunale di Berlino il 25 agosto 1943, fu torturato, processato, condannato a morte e impiccato l’8 settembre1943. Il testo è tratto dal libro Scritto sotto la forca (a cura di Franco Calamandrei, Milano, Universale Economica, 1949) e rappresenta il suo testamento spirituale.