Notiziario: LIBRI: BREVE STORIA DI CAPORETTO

LIBRI: BREVE STORIA DI CAPORETTO

Sebbene siano passati ormai cento anni da quel tragico 24 ottobre 1917, quando le forze austro-tedesche sfondarono il fronte italiano lungo il fiume Isonzo nei pressi di Caporetto, e nonostante i fiumi di inchiostro che già all’indomani della fine del conflitto iniziarono a essere scritti, tra memoriali e diari, sulla più grave sconfitta subita fino ad allora dal Regio Esercito Italiano, la saggistica di storia contemporanea e militare continua a fornire al grande pubblico nuovi testi su quei tragici anni Ed è quello che ha fatto recentemente Giacomo Properzj, giornalista e scrittore, appassionato del primo conflitto mondiale. La sua opera, Breve storia di Caporetto, ricostruisce in maniera precisa e scrupolosa quanto avvenne alla fine di ottobre 1917, quando le forze italiane furono sopraffatte nel cuore della notte da quelle tedesche e austriache.

1. Perché scrivere un libro su Caporetto e la tragedia che seguì, una delle disfatte più significative subite dall’Italia nel primo conflitto mondiale? Cento anni dopo esiste ancora qualcosa di non raccontato?

Si, esiste ancora qualcosa di non raccontato, o meglio, di raccontato in modo diverso dalla verità storica, come hanno fatto alcuni quotidiani nel ricordarne il centenario. Le responsabilità militari, per esempio, non furono tutte del Generale Luigi Cadorna, che anzi aveva predisposto già da tempo, insieme al Generale Felice Porro, una seconda linea di difesa e di resistenza, la linea del Piave, ai fini di un’eventualità negativa.

Luigi Cadorna2. Secondo le sue ricerche, perché il Comando Supremo italiano non presto ascolto ai tanti disertori autro-tedeschi in merito ad un imminente attacco lungo l’Isonzo?

Secondo la mia idea, i comandi italiani che ebbero moltissime notizie, in parte confuse e provenienti da semplici militari non sempre affidabili, trovarono una loro difficoltà di interpretazione attiva in due elementi: il primo, più importante, la mentalità burocratica del nostro Regio Esercito e i lunghi “passaggi di carte”. Secondo, le differenti interpretazioni dei più importanti generali, in particolare il Generale Capello, che voleva reagire con un contrattacco.

3. La disfatta di Caporetto, più che per lo sfondamento del fronte, ha fatto parlare di sé anche per la rotta che ne seguì. A cosa fu dovuto il caos che ne derivò?

Il caos che derivò fu dovuto principalmente all’enorme numero di uomini che si accumulavano per varie ragioni ai margini delle prime linee pur avendo da svolgere dei ruoli non combattenti. Questi uomini ingombrarono le strade rendendo difficile il passaggio alle truppe di riserva che si  dovevano schierare su di una seconda linea, peraltro non prevista chiaramente. Anche le artiglierie tenute in posizioni molto avanzate furono rapidamente superate dall’avanzata tedesca e gran parte del nostro esercito fu scavalcato e lasciato inoperoso sulle alture.

4. A cosa si deve il “miracolo del Piave”? Davvero, per la prima volta da quel 24 maggio 1915, i soldati italiani si trovarono a combattere per le proprie case? E’ vero, come più volte raccontato, che fino a quel momento la guerra era ancora “sentita” lontani dai soldati al fronte?

O il Piave o tutti accoppati!Militarmente la linea del Piave prevista ancora nel 1916 soprattutto dal Generale Porro era una linea che accorciava il fronte di più di un terzo ed era già organizzata con depositi, in alcuni punti addirittura trincee e quant’altro. Dal punto di vista morale i reggimenti che riuscirono ad arrivare inquadrati dietro il Piave erano decisi a combattere e i trecentomila e più prigionieri che gli austriaci avevano fatto rappresentavano un ingombro e un rallentamento dell’avanzata austro-tedesca. Il Paese, sulle prime, non si rese conto del pericolo che correva e quindi si evitò il panico dei civili nelle zone arretrate, poi tenne, malgrado tutto, duro, grazie all’attitudine del Governo e della stampa. La diversità con quanto accadeva quasi negli stessi giorni in Russia sta proprio qui: le nostre truppe non erano in rivolta ma abbandonavano posti di combattimento spesso avendo come aspirazione finale quella di ritornare a casa.