Leros, 1943: la vera storia dell’isola di “Mediterraneo” raccontata in un libro
L’astigiano che fuggì in bicicletta dai Balcani e divenne capo partigiano ad Alba. L’alessandrino esperto in munizioni che scappò in Turchia in barca a remi, fu internato ad Aleppo e poi tornò in Italia per combattere per la liberazione del Paese. La ragazza greca che, sposato un biellese, si travestì da marinaio e si finse uomo per seguirlo nel lager. Sono solo alcune delle storie che hanno come elemento comune Leros. Una delle isole dell’arcipelago del Dodecaneso, dal 1912 alla fine della II Guerra mondiale «colonia bianca» dell’Italia che ispirò il film “ Mediterraneo” di Gabriele Salvatore con Diego Abatantuono, fra gli altri e vincitore del premio Oscar per miglior film straniero . Dal settembre 1943 l’isola, dove sorgeva una delle più grandi basi della Marina italiana, venne bombardata dalla Luftwaffe e poi attaccata. «Per le forze armate italiane si trattò del più lungo episodio di resistenza contro i nazisti - commenta l’alessandrino Andrea Villa, 42 anni, che si occupa di storia contemporanea all’Università di Parma -. Dopo la resa definitiva, migliaia di nostri militari furono deportati ad Atene su vecchie «carrette del mare» e da lì in treno verso i campi di concentramento. Numerose di quelle navi affondarono per le tempeste o le mine, trascinando in fondo al mare circa 15.000 italiani».
Proprio sui militari (tanti i piemontesi) di Leros si è concentrato Villa, che ha dedicato loro un libro (Nelle isole del sole. Gli italiani nel Dodecaneso dall’occupazione al rimpatrio, edizioni Seb. 27).
Così dalle nebbie della Storia emergono figure emblematiche. Come quella di Flavio Villa, alessandrino, arruolato in Marina nel 1940, in quanto operaio di una ditta che produceva munizioni e pezzi di ricambio per navi. «È da lui che sono partito. Era mio nonno: vide per la prima volta il mare a La Spezia. Imparò a nuotare a Leros. Dopo l’8 settembre 1943 partecipò ai 52 giorni di resistenza. Poi fuggì in barca a remi in Turchia e da lì fu trasportato dagli inglesi in un campo di concentramento ad Aleppo. Nel 1944, dopo lo sbarco alleato nel Meridione, tornò a Taranto e combatté per la liberazione d’Italia. Non è mai tornato a Leros, ma ha sempre cercato di piantare nel suo orto, nei pressi di Alessandria, le piante e i fiori tipici del Dodecaneso».
Poi ci sono Calliope Controiannis, greca, e Italo Acervo, di Candelo, in servizio alla base sommergibili di Portolago. «Si sposarono nel 1941 - racconta Andrea Villa -. Caduta Leros, pur di stare accanto al marito, Calliope si fece radere i capelli, indossò una divisa da marinaio e si consegnò ai tedeschi che, senza accorgersi dello stratagemma, la deportarono in Germania insieme a Italo».
Un’altra storia è quella di Piero Balbo, astigiano, anche lui in servizio nella base navale di Leros. «Dopo l’8 settembre, si sottrasse alla cattura e raggiunse con varie peripezie i Balcani. Per qualche settimana combatté con i partigiani slavi, poi rubò una bicicletta e pedalando tornò ad Alba. Qui divenne uno dei più importanti capi dei partigiani autonomi delle Langhe. Beppe Fenoglio ne ha fatto uno dei personaggi del Partigiano Johnny, dandogli il nome di battaglia di “Comandante Nord”».