Notiziario: LE TRATTRICI ITALIANE DELLA GRANDE GUERRA

LE TRATTRICI ITALIANE DELLA GRANDE GUERRA

Traino meccanico delle artiglierie

Nelle fase successiva  all’entrata in guerra dell’Esercito Italiano, causa l’ introduzione di artiglierie di calibro sempre più grandi e pesanti, si è reso necessario passare da un traino mediante animali (buoi, cavalli, muli) ad un traino meccanizzato, l’impiego di questi verrà ad assumere uno sviluppo rilevante.

Come viveri e munizioni, saranno migliaia le tonnellate da trasportare, come artiglierie, saranno le più pesanti bocche da fuoco che dovranno essere trainate al seguito dell’Esercito.

I primi mezzi meccanici ricordano vecchie locomotive di fine 800, ma in versione più limitata denominate locomotive stradali a vapore da 6 – 15 t., potevano trainare un peso variabile dal doppio al triplo del proprio, su pendenze fino al 10% e con velocità da 3 a 6 Km/h.

Circa 4 tonnellate del peso trainato erano, però, sempre impegnate da un carro scorta, per le materie di consumo (carbone , acqua , lubrificanti ) e attrezzature varie.

In breve queste locomotive stradali furono abbandonate per le notevoli difficoltà tecniche che presentavano.

Dal mezzo a vapore a quello a motore a scoppio

Successivamente si passò dai mezzi a vapore a quelli a motore a scoppio ed ai treni stradali.

Nel 1902 fu acquistata la prima autovettura di produzione Fiat, nel 1904 fu la volta di un altro tipo di macchina con alimentazione a benzina, il camion destinato a trasportare il solo proprio carico ed eventualmente trainare uno o due carri rimorchio.

Parallelamente si seguì lo sviluppo del treno stradale a trazione benzo-elettrica  (Modelli Cantono e Novaretti), costituito da un carro di testa generatore di forza motrice, che, invece di rimorchiare altri carri, trasmetteva a essi l’energia e li mutava in altrettanti automobili.

Il programma del mortaio da 260 autotrainato

La nascita dei mezzi di autotrazione meccanica delle artiglierie in Italia fu strettamente legata allo sviluppo di nuove bocche da fuoco d’assedio a organi elastici per l’assorbimento del rinculo della massa oscillante.

All’inizio degli anni ‘ 10, infatti, l’artiglieria d’assedio italiana versava in pessime condizioni di efficienza, essendo dotata esclusivamente di artiglierie ed affusto rigido.

Se la specialità da campagna e quella da montagna avevano introdotto ottimi materiali a deformazione, l’artiglieria di medio e grosso calibro era ferma ancora a bocche da fuoco prive di affusto scorrevole, di antiquata concezione, alcune delle quali ancora in ghisa e in bronzo e il cui massimo calibro non superava i 210 mm .

Fu deciso perciò, un piano di potenziamento, che aveva nel mortaio da 260 il programma più importante e ambizioso, in quanto destinato alla distruzione di opere di fortificazione permanente.

I requisiti tecnici di tale arma, emanati dalla Commissione degli ispettori d’artiglieria nel 1910, prevedevano il sistema di trazione meccanica e la capacità di scomposizione dell’installazione in due carichi per il traino su strada , le cui vetture pezzo e quella affusto avrebbero dovuto avere un peso non superiore alle 5,5 t.

Il progetto prescelto fu quello presentato dalla ditta francese Schneider e, in attesa delle esperienze a oltranza di tiro e di traino, nel 1911, si era provveduto allo studio della trazione meccanica del materiale, sono stati messi in allestimento, presso ditte nazionali, due modelli di automotrici per artiglierie pesanti di cui le caratteristiche sono state determinate in base alle seguenti direttiv : peso complessivo a carico completo non superiore ai 5.500 Kg, avere la maggiore attitudine per trarre a rimorchio un carro a quattro ruote del peso anche di 5.500 Kg., ottenere, col carreggio costituito da automotrice e rimorchio, una velocità oraria media, in piano di 8 – 10 Km ed una massima di 15 Km.

Si determinerà sperimentalmente la pendenza massima che potrà superarsi col carreggio costituito com’è stato ora detto, e si determineranno altresì gli speciali congegni da applicare per poter eseguire le varie manovre di composizione del materiale e poter superare maggiori pendenze, sempre valendosi dell’energia del motore.