"Ancora oggi purtroppo gli IMI agli occhi dell'opinione pubblica rimangono sconosciuti e, nell'immaginario comune dei fatti della resistenza, si tende ad identificare come figura chiave solo il Partigiano"
L’8 settembre 1943 fu una data storica per la nostra nazione, un punto di partenza verso una sanguinosa e indispensabile liberazione dall’oppressione della follia nazifascista. Tuttavia, in molti ancora oggi identificano la Resistenza italiana solo nella figura dei partigiani, ignorando purtroppo la Resistenza degli IMI, ma la gente deve sapere…
L’ 8 settembre 1943, alle ore 19:42, un messaggio del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dall’ente radiofonico EIAR annunciava l’Armistizio con il quale il regno d Italia cessava ogni sorta di attività bellica nei confronti degli Alleati (fino ad allora nemici), sancendo così l’inizio della resistenza contro il nazifascismo.
L’annuncio improvviso dell’ Armistizio colse del tutto impreparati i presidi militari italiani. impegnati non solo in Italia ma anche quelli all’estero. Migliaia e migliaia di soldati si ritrovarono letteralmente allo sbando senza direttive, senza ordini o comunicazioni specifiche dall’alto. Mentre tutto ciò accadeva nel caos più totale, il Re, la Regina, Badoglio, alcuni ministri e generali dello stato maggiore fuggivano da Roma verso Brindisi, che venne dichiarata per alcuni mesi capitale d Italia.
La spietata macchina bellica tedesca mise in atto l’operazione Achse…
Da quel giorno in poi tantissimi eventi si susseguirono in un clima di totale caos e la spietata macchina bellica tedesca mise in atto l’operazione Achse, già pianificata qualche mese prima in previsione di un possibile tradimento degli italiani: tale operazione prevedeva l’occupazioni di tutti i centri nevralgici della penisola e la deportazione dei nostri militari nei campi di prigionia nazisti.
Il sud Italia da lì a poco sarebbe entrato sotto la protezione degli alleati. Solo la città di Bari (il 9 settembre 1943), la Sardegna, la Corsica e Napoli nelle sue famose 4 giornate, riuscirono a respingere e mettere in fuga le truppe tedesche, le quali, durante la loro ritirata e ripiegando verso nord, misero in atto sanguinosi rastrellamenti accanendosi soprattutto contro l’inerme popolazione.
Il mio bis nonno, Domenico Mezzina come molti militari e civili per paura di essere catturato o ucciso disertò arruolandosi tra le file dei partigiani, mentre altri vennero deportati in Germania nei campi di prigionia come mio Nonno Francesco Ranieri. Circa 800.000 uomini deportati come bestie, privati addirittura dello stato di prigionieri di guerra (perdendo così i diritti a loro spettanti dalla convenzione di Ginevra ) e rinominati con un status tutto nuovo inventato per l’occasione propri da Hitler in persona: “Italienische Militär-internierte” ovvero gli IMI(internati militari italiani).
Deportati nei campi di prigionia dislocati in Austria, Polonia, Repubblica Ceca e Germania, venne proposto loro di firmare un modulo per l’arruolamento presso le truppe dell’ esercito tedesco, ma circa 650.000 dissero di no per puro spirito di patriottismo e fedeltà al re che (vigliaccamente) li aveva abbandonati. La pena per chi rispondeva ” Ich Schreibe nicht ” (io non sottoscrivo) era la detenzione nei campi in situazioni a dir poco disumane, ridotti alla fame, veniva somministrato loro il cibo minimo indispensabile per consentirne la sopravvivenza , subivano ogni tipo di angherie e costretti a sforzi sovrumani a qualsiasi ora del giorno e della notte, spesso nel freddo più totale in una terra lontana che per molti di loro diventò la tomba.
Mio nonno Francesco fu tra quelli che sopravvissero all’inferno
Nonno prestava servizio a Pola, nella regia marina militare presso le scuole Crem dove era Sottocapo, e venne deportato nel campo di Altengrabow (regione a sud di Berlino) Stalag 11-A e sopravvisse all’intero periodo di internamente di circa 19 mesi.
Direttamente da un suo racconto come tanti che mi narrò :
“Quella mattina ci presero quasi nel sonno, circondarono la caserma e ci raccolsero nel piazzale delle adunate, parlavano in tedesco ma le loro intenzioni erano chiare e non amichevoli, un ufficiale nazista in piedi su una jeep militare ci contò dividendoci in gruppi, ci fecero salire su delle camionette alla volta della stazione di Venezia, ci rinchiusero in dei vagoni merci, e come merci alcune ore dopo ci avrebbero spediti verso i campi di internamento ma a noi non era ancora dato saperlo.
Nel caos che regnava nella stazione riuscii a far scappare alcune reclute, questi ragazzi erano facilmente confondibili in mezzo alla calca, le reclute a differenza nostra che eravamo militari di ruolo non indossavano la divisa sin dal mattino presto ma pantaloncini e abbigliamento sportivo perché si faceva la ginnastica in caserma e quindi con quell abbigliamento avevano molte più possibilità di confondersi tra i civili in tutta quella confusione .
Non so di preciso quanto durò il viaggio,eravamo ammassati giorno e notte come bestie, i bisogni li facevamo da un buco fatto nelle assi di legno del vagone, non avevamo neanche la possibilità di guardare fuori, c erano delle feritoie in alto dalle quali potevamo uscire le mani o guardarvi attraverso solo se presi a cavalcioni da un compagno, molti di noi nel tentativo di guardare cadevano sugli stessi compagni destabilizzati dall’andamento tumultuoso del treno,
Il convoglio fece diverse fermate lungo il tragitto ma solo poche pochissime volte si aprirono i portelloni dei vagoni, ogni tanto ci davano dell’acquanera che del caffè aveva soltanto il colore e un pezzo di pane grande quanto un pugno da dividere in due persone, forse in Austria (difficile dirlo) una contadina ci buttò delle mele nel vagone, molti come bestie, come lupi su un agnello alla vista di quella frutta si fiondarono nel disperato tentativo di mangiare, li capii che stavamo perdendo la nostra dignità la nostra natura umana ed eravamo solo agli inizi. Dopo circa 5 giorni il treno si fermo in un paesino della Germania, finalmente scendemmo e capii dall’insegna della stazione che eravamo arrivati ad Altengrabow, l inferno che per molti di noi sarebbe diventato la nostra tromba.
Nei 19 mesi siamo stati ridotti alla fame ci davano il minimo indispensabile per tenerci in vita, pane duro, barbabietole, patate e le razioni diminuivano col passar del tempo, ci volevano prendere per fame, e di tanto in tanto ci ricordavano che se avessimo sottoscritto l’arruolamento sotto l’esercito tedesco avremmo finalmente mangiato, avremmo avuto subito una gallina ogni 2 persone, una proposta che ora farebbe ridere i polli ma se hai provato la fame, quella vera, quella che ti mode lo stomaco come una bestia famelica non puoi non accettare. Qualcuno ogni tanto accettava ma a me non mi ebbero, il mio orgoglio fu più forte della fame, ho marciato con le scarpe bucate nella neve e fasciate alla meglio, ho visto gente mangiare topi, ho assistito a fucilazioni e visto morire amici, ho subito frustate a sangue per aver rubato di notte delle patate che avrei mangiato crude, ho visto cose che oggi mi fanno pensare come ad una ricchezza immensa anche un piatto di pasta al sugo mangiato a casa con la mia famiglia ”
Molti sono i racconti e le testimonianze che raccolgo gelosamente di mio nonno, che cominciò a parlarmi del suo periodo di prigionia solo alcuni anni prima della sua morte avvenuta nell’estate del 1989.
Nel maggio del 1945 il campo di Altengrabow venne liberato dall’armata russa, la quale pressava sul versante nord est la Germania in seguito ad una manovra militare a tenaglia in simultanea con gli alleati che avanzavano da sud ovest.
Nonno Francesco tornò a Bari alcuni mesi dopo a seguito di un odisseico viaggio che nulla ha da invidiare al ritorno di Ulisse a Itaca, un viaggio da Altengrabow a Bari di circa 3000km intrapreso a piedi, a cavallo e con mezzi di fortuna. Insieme a lui c’era Carlo, un ragazzo suo concittadino e più giovane di lui che mio nonno vedeva spesso piangere disperato e invocare la madre nelle notti d’inferno in Germania, un ragazzo che prese a cuore e al quale gli promise che sarebbero tornati insieme.
Nonno Francesco mantenne la promessa fatta a Carlo e riuscirono a tornare insieme. Mio nonno giunse a Bari che pesava poco meno di 50 kg.
Ancora oggi purtroppo gli IMI agli occhi dell’opinione pubblica rimangono sconosciuti e, nell’immaginario comune dei fatti della resistenza, si tende ad identificare come figura chiave il Partigiano.
Negli ultimi tempi c è chi ha messo addirittura in discussione la figura del partigiano o, ancor più nello specifico, la figura del partigiano quale eroe senza macchia e senza peccato, asserendo in numerosi dibattiti che dietro le formazioni partigiane si celavano alcuni individui operanti al limite del brigantaggio, veri e propri criminali nascosti all’ombra dell ideale patriottico. Partendo dal presupposto che ogni guerra è ingiusta e lì dove non c’è il compromesso (che è alla base del quieto vivere) e lì dove c’è distruzione e morte vi è sempre la situazione sbagliata, è anche vero però che in ogni guerra è sempre difficile tracciare una linea di confine tra ciò che è giusto e sbagliato. Non bisognerebbe però commettere mai l’errore di credere di sapere per certo ciò che è stato giusto e ciò che è stato sbagliato, a maggior ragione se non si è vissuta l’esperienza in prima persona. Alla base di ciò la seconda guerra mondiale ci ha dato solo la conferma della follia degli ideali nazisti, e tanti fatti rimangono ancora nell’ombra, alcune domande attendono risposta insieme a tanti morti senza un nome, dei quali non conosceremo mai la loro storia ma che purtroppo sono stati vittime di quell’inutile carneficina, di quell’inutile e sanguinoso dazio in vite umane che ogni maledetta guerra riscuote.
In base all’eredità storica che ci ha lasciato l’ultimo conflitto mondiale, se dovessimo tracciare delle differenze tra la Resistenza partigiana attiva che ha liberato l’Italia dal nazifascismo e quella passiva degli IMI che, pur di non sottostare all’esercito tedesco, hanno preferito l’inferno dei campi di internamento, spesso lasciandosi morire, quest’ultima sicuramente lascia meno ombre sull’eroismo e sulla fondatezza dello spirito patriottico dei nostri soldati. Bisogna pensare che quella generazione era educata al rigore e alla disciplina, una generazione quadrata, cresciuta per forza di cosa sotto il regime fascista, all’ombra del motto :’credere obbedire e combattere’, una generazione dedita all’obbedienza che non doveva e non poteva prendere decisioni autonome.
Nonostante tutto invece il No degli IMI preso in totale autonomia e incredibilmente pronunciato dalla stragrande maggioranza di essi fu il primo grande passo verso quella libertà di pensiero che dal Dopo guerra cominciò a prendere piede,e che ancor oggi cavalca a briglie sciolte inarrestabile su tutti i fronti sociali.
Ho avuto la fortuna intellettuale e umana di conoscere sia il mio bis nonno Domenico Mezzina il partigiano,che mio nonno Francesco Ranieri il prigioniero IMI.Il primo è sopravvissutoalla tragica campagna di Russia con l’esercito italiano e in seguito si arruolò tra le file dei Partigiani col nome da battaglia di FIGARO, contribuendo attivamente alla Liberazione dell’Italia dal regime nazifascista(le sue imprese sono raccontate in uno splendido libro di Luca Cifarelli, mio padre. intitolato :’Figaro storia di un partigiano del Sud);del secondo conservo gelosamente reperti e testimonianze sulle quali sto lavorando da anni, per poter consegnare alla conoscenza di tutti l idea di cosa sono stati davvero gli IMI, uomini coraggiosi che purtroppo come tutti i veri eroi non hanno avuto il risalto e la gloria che spettava loro.
Ai miei nonni, e a tutti gli eroi senza gloria…
Corrado Cifarelli.