Notiziario: "La Penultima Carica del Regio Esercito." la Prima Battaglia del Don.

"La Penultima Carica del Regio Esercito." la Prima Battaglia del Don.

Tra il 20 agosto 1942 e il 1º settembre le truppe sovietiche scatenarono un'offensiva di vaste proporzioni contro i reparti ungheresi, tedeschi e italiani, che subirono il peso maggiore dell'attacco, schierati nell'ansa settentrionale del Don. Nel settore dell'ARMIR, i russi erano riusciti a stabilire due teste di ponte nei villaggi di Bobrovskij (presso Serafimovič) e Kremenskaya (a circa 40 chilometri a est di Serafimovič) e da qui colpirono con tre divisioni (97ª, 203ª e 14ª della Guardia) la "Sforzesca", composta da elementi al battesimo del fuoco e sfiancati dalle estenuanti marce per raggiungere il fronte. L'ordine di resistere a ogni costo su un fronte di 25 chilometri fu eseguito dalla "Sforzesca" con abnegazione, ma dopo due giorni di aspri combattimenti la divisione venne travolta e si sfaldò completamente in una precipitosa ritirata non autorizzata. I comandi riuscirono a chiudere la pericolosa falla facendo intervenire reparti della "Celere", tra cui il "Savoia Cavalleria" e un battaglione di camicie nere, il Battaglione alpini sciatori "Monte Cervino" e in seguito anche la "Tridentina".
Il Colonnello Pagliano, dei Lancieri di Novara, appena giunto, distaccava sulle alture a nord del paese, nella pianura ricoperta da altissima erba secca, i due Gruppi Squadroni insieme a 4 Plotoni mitraglieri, uno anticarro ed uno di mortai leggeri di preda bellica.
A Jagodnij s’insediava invece il Comando di Reggimento con i Comandi di Squadrone e dei mitraglieri, difesi dal 6° Squadrone, che era appiedato per carenza di cavalli.
Contro questo schieramento si scagliò un intero Battaglione russo (quindi circa 500 uomini), affluito con i rincalzi ed appoggiato da mitragliatrici e mortai.
A questo punto il Maggiore Del Re richiamava indietro il 1° Squadrone distaccato verso il "Savoia" e lo faceva appiedare per trattenere il nemico impegnandolo frontalmente con il fuoco delle sue armi e con il concorso di un Plotone mitraglieri. Allo stesso tempo faceva ammassare il 2° Squadrone sul lato sinistro della direttrice d’avanzata dei sovietici, ordinando al suo Comandante, il Tenente Mario Spotti, di piombare a cavallo sul loro fianco scoperto.
Spotti, giunto al “Novara” da appena una settimana, ordinava immediatamente ai suoi Lancieri di lasciare a terra i fucili mitragliatori e riuniva silenziosamente i Plotoni occultati dall’erba altissima; poi li faceva montare a cavallo e sguainare le sciabole.
Il generale Messe, per coprire il ripiegamento della "Sforzesca", ordinò di caricare con la cavalleria: i "Lancieri di Novara" attaccarono il 20 agosto a Jagodnij.
Alle ore 14 il 2° Squadrone avanzava cautamente con i cavalli al passo ed al riparo di un modesto avvallamento del terreno; appena arrivato allo scoperto, il Tenente Spotti ordinava la carica e lo Squadrone al completo – 100 uomini e 100 cavalli –, come in una coreografica esercitazione e con le punte delle sciabole oblique a colpire dall’alto verso il basso, si gettava sul fianco sinistro del nemico a quota 224,4: uomini, scintillanti lame sguainate e cavalli lanciati alla carica contro Moisin Nagant, P.P.S.H e granate a mano.
Il Tenente Spotti, ferito tra i primi, continuò la carica aggrappato al cavallo finché, abbattuto anche questo, cadde in mezzo ai sovietici che lo circondarono e si difese fino all’ultimo con la pistola.
Tutto durò pochissimo. Quando i suoi Lancieri, dopo una lotta furibonda, riuscirono a sgominare i nemici intorno a lui, lo trovarono ormai morto, trapassato il corpo e il volto da decine di proiettili e colpi di baionetta. Alla sua memoria fu concessa la seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare individuale sul Fronte Russo dopo quella del Tenente Colonnello Custoza.
Il comando passava così al Sottotenente Manlio Guerrieri, ma la carica si era già trasformata, dal magnifico e travolgente slancio iniziale, in una serie di scontri feroci. Perduto l’impeto e addentratisi sciabolando nel folto della fanteria sovietica, i "Bianchi Lancieri" persero di coesione, e di conseguenza, isolati o a piccoli gruppi, venivano spesso circondati e le loro cavalcature abbattute a colpi di armi da fuoco o di baionetta. Tuttavia, come recita il motto del Reggimento "Albis Ardua", i "Lancieri di Novara" non si lasciarono sgomentare dall’arduo compito, dall’inferiorità di numero e dalle oggettive difficoltà, ed alla fine il Sottotenente Guerrieri e il 2° Squadrone rimasero padroni del campo, dopo aver volto in fuga il Battaglione russo, facendo molti prigionieri e raccogliendo un cospicuo bottino di armi, munizioni e equipaggiamenti.
“…lanciati in rischiosa missione, portavano il fremito delle loro armi e dei loro cuori a signoreggiare nel vivo del dispositivo avversario, donde, fattosi largo con le sciabole e i moschetti, si portavano alla difesa di un importante caposaldo contro il quale si infrangevano inesorabilmente tutti i ritorni offensivi dell’ avversario” – così recita la motivazione della medaglia d’oro al valor militare di cui lo Stendardo del Reggimento si fregia, insieme alle due medaglie d’argento al valor militare, quattro medaglie di bronzo al valor militare, una medaglia di bronzo al valor dell’esercito e una croce d’argento al merito dell’esercito, divenendo così il più decorato dell’Arma di Cavalleria.
La gloria acquisita il 22 agosto 1942 era costata al 2° Squadrone 1 Ufficiale, 1 Sottufficiale e 9 Lancieri morti, 24 feriti e 51 cavalli perduti, di cui 12 morti.