La memoria perduta del Giorno del Ricordo
Se, infatti, in un primo momento, l’odio poteva essere “giustificato” (sempre che possa trovare giustificazione il massacro di centinaia di persone inermi) da una “vendetta” contro le autorità del regime fascista e i collaborazionisti dei Tedeschi, con il passare dei mesi la persecuzione in atto nella Venezia Giulia, nell’Istria e nella Dalmazia assunse la valenza della pulizia etnica che rivivranno i territori della Ex Jugoslavia durante le guerre degli Anni Novanta. Nelle foibe, nelle miniere, nelle cave di bauxite, annegati lungo la costa o semplicemente fucilati dopo un sommario processo, non finirono soltanto i Fascisti, ma anche tanti combattenti partigiani, uomini dei comitati di liberazione nazionale che non si rifacevano all’ideologia comunista: fra tutti, basta citare il massacro della Brigata Osoppo, compiuto a partire dal 7 febbraio 1945 nelle Malghe di Porzus, in provincia di Udine, e compiuto dai partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi. L’odio inumano si riversò anche contro i militari rimasti al loro posto, come quei Carabinieri e Finanzieri che collaboravano con i movimenti insurrezionali nel Nord Italia: combatterono i Tedeschi e finirono poi uccisi dalle forze “di liberazione” jugoslava. Il 23 marzo 1944, lungo la strada Tarvisio-Cave del Predil si consumò l’eccidio di dodici Carabinieri ad opera di una banda slava: i miseri resti vennero recuperati quasi per caso da una pattuglia tedesca tra il 31 marzo e il 2 aprile 1944; sui corpi, i segni inequivocabili delle sevizie subite: il comandante del piccolo distaccamento, il Vice Brigadiere Dino Perpignano venne arpionato per un piede ad un albero e costretto a vedere il massacro dei suoi uomini, per essere poi brutalmente ucciso a colpi di badile.
Tanti, troppi sono gli episodi di violenza che coinvolsero gli Italiani in quelle terre martoriate, macchiate dal sangue di tanti innocenti. La guerra proseguiva inesorabile, con i suoi morti e i suoi lutti. Venne il 25 aprile 1945 e i giorni dell’insurrezione finale. Ma sul confine orientale la fine della guerra coincise con l’inizio di un incubo. A Buttrio, in provincia di Udine, nove Finanzieri, convinti di partecipare alle operazioni militari contro le forze tedesche, vennero disarmati dagli Slavi e costretti per chilometri a marciare tra le pietraie del Carso, per venire poi giustiziati con un colpo di pistola alla testa. A Trieste, gli Sloveni vi rimasero per quaranta giorni: il 2 maggio 1945 venne scattata una fotografia, che racchiude in sé il dramma di quei giorni. Essa raffigura una colonna di 96 Finanzieri, arrestati dai Titini all’interno della Caserma di Campo Marzio, mentre erano intenti ad organizzare le ultime azioni contro le poche forze tedesche ancora presenti in città. Di loro non si saprà più nulla. A fine guerra, un testimone riferì di aver visto “presso Cave Auremiane, un campo cosparso di oggetti, di vestiario ed equipaggiamenti della Guardia di Finanza e di aver saputo che numerosi Finanzieri erano stati uccisi con le mitragliatrici”.
Chi non finì nelle foibe, chi non venne massacrato brutalmente o torturato, chi non venne fucilato sommariamente, rischiò l’arresto e la deportazione nei campi di concentramento jugoslavi: nomi come Borovnica, Bor, Skofia Loka riportano alla mente dei pochi sopravvissuti sevizie e privamenti inimmaginabili. Non sapremo mai con certezza quante migliaia di persone furono infoibate, uccise sommariamente, deportate nei lager titini o annegate nel Mar Adriatico: solo nella foiba di Basovizza (l’unica, assieme a quella di Monrupino, ad essere ancora in territorio italiano) furono recuperati ben 500 metri cubi di resti umani: dalle stime medico-legali fu stabilito che i morti dovevano essere non meno di duemila. Dirà Arnaldo Harzarich, il Maresciallo dei Vigili del Fuoco di Pola che per primo si calò nelle foibe con i suoi uomini: “Più e più volte, nel rientrare a Pola fui bersagliato dal rosaro dei colpi di mitra sparati dai partigiani comunisti slavi, che cercavano con tutti i mezzi di ostacolare l’esplorazione e il recupero delle salme dalle foibe”.