Esattamente alle 21,40 di 76 anni fa, il 23 ottobre del 1942 un uragano di ferro e fuoco veniva scaricato sulle linee italo-tedesche schierate nel deserto egiziano intorno alla località di El Alamein. Circa mille cannoni dell’Ottava armata, con un tiro continuo di quindici minuti, devastavano la prima linea dell’Asse, le sue batterie d’artiglieria e le linee di comunicazione.
L’artiglieria dell’Asse, non disponendo di sufficienti munizioni, non poté controbattere il fuoco britannico. Alle ore 22:00 entrarono in azione i reparti specializzati del genio e i carri Scorpion preparati per l’apertura dei varchi nei vasti campi minati dell’Asse; tuttavia le operazioni di sminamento si dimostrarono molto più difficoltose del previsto e l’attacco notturno della fanteria non raggiunse subito gli attesi successi.
Ma facciamo un passo indietro e inquadriamo la situazione raccontando come i due schieramenti avversari, arrivarono ad affrontare la più grande battaglia mai combattuta in Africa, in una località fino a quel momento totalmente sconosciuta, El Alamein. Sede all’epoca di una stazione della linea ferroviaria che collegava la costa fino a Marsa Matruh con Alessandria d’Egitto, permettendo un agevole flusso di rifornimenti all’armata britannica; era stata trasformata dal generale Auchinleck, in uno dei fulcri del sistema difensivo britannico.
Il luogo della battaglia, El Alamein, fu prescelto dai britannici per le caratteristiche naturali che si prestavano ottimamente alla difesa. A metà strada dalla costa si erge la cresta di Ruweisat che domina il deserto circostante ed è uno dei pochi rilievi naturali della zona, rendendola un punto cruciale per il controllo del campo di battaglia: pesanti combattimenti si erano già svolti per il suo controllo nel corso della prima battaglia di El Alamein.
A circa 60 chilometri dalla costa si trova la depressione di Qattara, avvallamento con un diametro di circa 300 chilometri, diverse decine di metri sotto il livello del mare e impraticabile ai mezzi meccanici a causa della sua sabbia morbidissima che impediva il transito anche ai cingolati; era inoltre caratterizzata da scoscesi pendii ai margini, ulteriore difficoltà per qualunque veicolo avesse tentato di attraversarla: la particolare morfologia del terreno eliminava quindi la possibilità di azioni avvolgenti da parte delle truppe italo-tedesche.
Dopo la grande vittoria di Gazala e la capitolazione della piazzaforte di Tobruch, caduta il 21 giugno 1942 con la conseguente cattura di oltre 33 mila soldati britannici, nel luglio del 1942 l’Armata corazzata italo-tedesca (ACIT) agli ordini del feldmaresciallo Erwin Rommel, costituita dal Deutsches Afrikakorps e da due corpi d’armata italiani dei quali uno di fanteria e uno meccanizzato, era penetrata profondamente in Egitto con l’obiettivo di troncare la vitale linea di rifornimenti britannica del canale di Suez ed occupare i campi petroliferi del Medio Oriente.
In netta inferiorità numerica, indebolito da una catena di approvvigionamento troppo allungata, dalla mancanza di rinforzi e consapevole del massiccio afflusso di nuovi reparti e mezzi all’Ottava armata britannica, Rommel decise di colpire con rapidità prima che il rapporto degli effettivi divenisse ancor più svantaggioso; alle truppe indirizzò quindi il seguente proclama:
«Soldati dell’Armata corazzata d’Africa, dobbiamo ora annientare l’avversario. Noi non ci fermeremo prima di aver schiacciato le ultime unità dell’Ottava armata britannica. Nei prossimi giorni vi domanderò il grande sforzo finale»
L’Ottava armata ebbe il tempo di imbastire un’incompleta linea difensiva a El Alamein e, dopo una serie di scontri confusi e inconcludenti noti come prima battaglia di El Alamein, combattata fra il primo e il 27 luglio del 1942.
Rommel consapevole che l’attesa giovava molto di più ai britannici che agli italo-tedeschi, passò all’offensiva. L’attacco italo-tedesco sferrato il 30 agosto 1942 presso Alam Halfa si risolse in uno scacco: impossibilitato a lanciare un’altra offensiva e in attesa dell’inevitabile contrattacco del nemico, Rommel preferì attestarsi e trincerare il proprio esercito.
Tra il 13 e il 14 settembre gli Alleati tentarono l’operazione Agreement, volta a scompaginare il sistema di rifornimenti dell’Asse, che si concluse in un clamoroso fallimento aggravato da forti perdite. Le forze alleate persero varie navi, tra cui l’incrociatore Coventry e i cacciatorpediniere Sikh e Zulu della classe Tribal a causa dell’efficace tiro delle batterie costiere e degli attacchi aerei italiani. Anche i reparti a terra furono contrastati e respinti dalle truppe presenti, in particolare dalla fanteria di marina di guarnigione a Tobruch.
Il 23 settembre il feldmaresciallo Rommel, sfibrato dalla lunga campagna militare, aveva ceduto il comando al generale Georg Stumme cui aveva dato dettagliate istruzioni per l’organizzazione di una serie continua di cinte difensive, davanti alle quali sarebbe stata piazzata una compagnia per ogni battaglione di fanteria; alle spalle sarebbero state sistemate le postazioni difensive principali con il grosso delle mitragliatrici e dei cannoni anticarro.
I cannoni antiaerei da 88 mm letali contro i carri alleati, sarebbero state scaglionate in profondità, lontano dall’artiglieria britannica. Dalla costa alla cresta di Miteiriya la linea principale era tenuta dalla 164ª Divisione leggera tedesca e dalla “Trento”, affiancata alla sua destra, fino alla cresta di Ruweisat, dalla Divisione “Bologna”. Più a sud fino alla cresta di Himeimat seguivano, in ordine, la Brigata paracadutisti tedesca Ramcke, la Divisione “Brescia” attorno a Bab el Qattara, la “Folgore” e la “Pavia”.
Per tamponare ogni eventuale sfondamento, il feldmaresciallo tedesco posizionò la 15ª Panzer-Division e la “Littorio” nel settore nord, la 21ª Panzer-Division e l'”Ariete” a sud. Molto a ovest della linea principale, vicino alla costa, stazionavano in riserva la 90ª Divisione leggera tedesca e la Divisione “Trieste”.
Le forze dell’Asse si trincerarono quindi lungo due linee principali, chiamate in codice dagli Alleati “Linea Oxalic” e “Linea Pierson”, protette da vasti campi minati formati da vari tipi di ordigni tra anticarro, antiuomo e a trappola; questi campi, detti “Giardini del Diavolo” (Gartenteufel in tedesco), erano particolarmente fitti nella parte meridionale dello schieramento, dove più debole era la consistenza numerica delle forze dell’Asse.
Le forze dell’Asse seminarono 249 849 mine anticarro e 14 509 antiuomo, alle quali si dovevano aggiungere quelle contenute nei campi già predisposti dai britannici e ora nella zona sotto il controllo dell’Asse. Nel complesso la cintura minata contava 445 000 mine.
Il comandante britannico il generale Montgomery, profondamente convinto della sua superiore capacità di comando, era deciso a controllare da vicino l’offensiva decisiva che stava preparando con metodo da molte settimane. Egli riteneva che fosse essenziale una profonda riorganizzazione e un grande potenziamento delle forze britanniche dell’Ottava armata; il generale procedette a selezionare una serie di comandanti di piena fiducia e pronti a eseguire rigidamente i suoi ordini.
Pur avendo costituito un raggruppamento di riserva interamente meccanizzato, il 10º Corpo d’armata del generale Herbert Lumsden con tre divisioni corazzate e la divisione neozelandese, il generale Montgomery decise di condurre una battaglia lenta e metodica, impiegando il fuoco dell’artiglieria e gli attacchi frontali della fanteria per sgretolare progressivamente le difese dell’Asse senza dare la possibilità al feldmaresciallo Rommel di sfruttare la superiore capacità di manovra delle sue Panzer-Division.
Il piano del generale Montgomery per l’operazione Lightfoot (il nome in codice dell’offensiva dell’Ottava armata a El Alamein) prevedeva di aprire con un attacco frontale del XXX Corpo d’armata del generale Oliver Leese, costituito da cinque divisioni di fanteria, due varchi nel sistema fortificato delle forze italo-tedesche e occupare i due importanti rilievi tattici della collina Kidney e dell’altura di Miteiriya.
Al varco verso la collina Kidney venne assegnata la 9ª Divisione australiana e la 51ª britannica, mentre del varco di Miteiriya se ne sarebbe occupata la 2ª neozelandese e la 1ª sudafricana. Raggiunto l’obiettivo, la fanteria avrebbe lasciato il campo alle divisioni corazzate del X Corpo d’armata che avrebbero attraversato i corridoi, rispettivamente la 1ª corazzata alla collina Kidney e la 10ª corazzata all’altura di Miteiriya, e si sarebbero schierate sul terreno libero a occidente delle creste, dove avrebbero atteso su posizioni fisse il previsto contrattacco delle forze corazzate tedesche.
All’estrema sinistra del XXX Corpo la 4ª Divisione indiana, non inserita nel dispositivo d’attacco iniziale, avrebbe operato delle incursioni diversive dall’estremità occidentale delle alture di Ruweisat. Attacchi diversivi a sud compiuti dalla 7ª Divisione corazzata britannica appoggiata dalla 44ª Divisione di fanteria britannica, dipendenti dal XIII Corpo d’armata, avrebbero dovuto trarre in inganno i comandanti italo-tedeschi e impedire al resto delle forze dell’Asse di muoversi verso nord.
Compito della I Brigata della Francia libera era quello di impossessarsi delle alture di Himeimat e di El Taqa. Il generale Montgomery prevedeva che le forze corazzate tedesche sarebbero state distrutte dallo schieramento dei carri e dei cannoni anticarro del X Corpo d’armata; dopo la vittoria sul campo, l’inseguimento sarebbe stato condotto in prevalenza lungo la strada costiera: sottolineò chiaramente di evitare confusi combattimenti manovrati nel deserto e sconfiggere i reparti di Rommel soprattutto con la superiore potenza di fuoco.
Questo piano del generale Montgomery peraltro avrebbe dimostrato alcuni punti deboli che ne resero l’esecuzione molto più difficile del previsto: lo scarso coordinamento tra le divisioni di fanteria e le forze corazzate, la limitata esperienza dei comandanti dei carri, l’eccessivo ammassamento di forze in settori ristretti esposti al tiro delle postazioni anticarro italo-tedesche.
I britannici misero in atto una serie di diversivi nei mesi precedenti per ingannare il comando dell’Asse, non solo riguardo al punto dell’attacco ma anche sui tempi in cui sarebbe avvenuto. Questa operazione, detta in codice operazione Bertram, diretta dal maggiore Richardson, prevedeva la costruzione di un falso oleodotto a sud della cresta di Ruweisat per indurre gli italo-tedeschi a credere che l’attacco sarebbe stato sferrato nel settore meridionale. Si cancellarono inoltre le tracce dei veicoli sulla sabbia per nascondere i loro spostamenti e si diffusero via radio false informazioni.
Per aumentare l’illusione e trarre in inganno l’alto comando dell’Asse, l’Ottava armata disponeva inoltre di carri armati fittizi di gomma gonfiati con aria compressa che furono dislocati nel settore meridionale, mentre dietro il fronte settentrionale i mezzi corazzati realmente pronti per l’offensiva furono camuffati come autocarri.
Il 23 ottobre 1942, venne ricevuto a Londra il seguente messaggio proveniente dal Cairo:
«23 ottobre 1942 – Comandante in capo Medio Oriente a Primo Ministro e Capo di Stato Maggiore imperiale. ZIP»
La parola “ZIP”, del cui significato erano a conoscenza per l’attacco solo il primo ministro Winston Churchill, il capo di stato maggiore imperiale Alan Brooke e il generale Harold Alexander, era il nome in codice dell’inizio dell’offensiva britannica; ricordava onomatopeicamente il suono della cerniera lampo dei piloti quando veniva chiusa ed era stato scelto dallo stesso Churchill.
Era l’inizio della battaglia decisiva per le sorti della campagna del nord Africa iniziata tre anni prima.