1. La Guerra Tradita nasce come diario personale di Luciano Berti, Ufficiale di Artiglieria che ha combattuto il secondo conflitto mondiale nel Regio Esercito prima e con l’Esercito Repubblicano di Salò poi. Da dove è nata l’idea di curare questo libro?
Un pomeriggio di diversi anni fa, insieme alla mia famiglia, andai a trovare Luciano Berti. Ci andavamo ogni volta che potevamo, era un piacere parlare con lui ed ascoltare i suoi racconti di guerra e di vita. Quella volta in particolare, la ricordo molto bene, gli chiesi se per caso non avesse voglia di scrivere i suoi ricordi, perché ritenevo che la sua esperienza meritasse di essere letta e conosciuta. Lui allora sorrise e tirò fuori un pacco di fogli di carta vergati a mano. Erano il suo diario militare. Me li affidò e chiese di occuparmene, di curarne con la massima libertà la pubblicazione. Cominciai dunque con il trascrivere tutto al computer per poi editare il testo in modo da chiarire meglio alcuni passaggi, sempre nel rispetto del concetto espresso dall’autore, ed inserire note ove fosse necessario. Un lavoro lungo ma anche entusiasmante, perché l’autore scrive in modo da far sembrare di essere a tua volta dentro il suo racconto. E così anche quando ho avuto in mano il volume fresco di stampa, pubblicato nella prestigiosa Collana Storica di Mursia. Ho un unico rimpianto: il fatto che Luciano, lo chiamo per nome perché lo considero un po’ come il nonno che non ho mai conosciuto, sia venuto a mancare prima dell’uscita del suo La Guerra Tradita. Avrei voluto renderlo soddisfatto e orgoglioso.
2. Che tipo di Ufficiale era Luciano Berti? Cosa ti ha colpito di più della sua figura, prima di tutto come uomo e poi come militare?
Del Luciano uomo, dalle sue pagine emerge una personalità precisa, curiosa, che non si dà mai per vinto anche nelle difficoltà, che ama primeggiare in tutto quello che fa. Che ha un fortissimo senso del dovere, che adora la sua famiglia e la sua Patria. Quanto al tipo di Ufficiale che è stato, basterebbe dire che non pretendeva mai dai suoi soldati nulla che non facesse lui per primo. Era ligio al regolamento militare, ma sapeva anche interpretarlo in modo da tenere conto delle esigenze personali dei suoi sottoposti, che anche per questo lo tenevano in grande considerazione. Una volta, per esempio, durante un trasferimento in treno, consentì ad un soldato di scendere per andare a trovare i suoi, che abitavano in una cittadina attraversata durante il tragitto, col patto di farsi trovare l’indomani alla stazione successiva. Se non fosse tornato, i guai li avrebbe passati lui che era l’Ufficiale e che l’aveva autorizzato ad andare. Il soldato, comunque, grato per la possibilità ricevuta, tornò. In un’altra occasione, quando era ufficiale di picchetto, riportò in caserma un gruppo di Camice Nere che si erano attardate ben oltre l’orario di rientro per festeggiare un compleanno, e disse che li aveva precettati lui per un servizio, evitando loro punizioni e rigore. Di episodi come questi, nel diario di Luciano, ce ne sono tanti. E secondo me sono molto indicativi per comprendere la sua essenza di militare graduato.
3. Dopo l’8 settembre 1943, Berti ha compiuto una scelta decisa, coraggiosa. Cosa lo ha spinto ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana?
Nei giorni successivi all’armistizio, Luciano Berti è al fronte, in Albania, dove assiste allo sbandamento dell’Esercito Italiano, che da alleato, per i Tedeschi, diventava nemico. Ne derivò, per molti, l’internamento nei campi di prigionia in Germania. Altri invece, tra cui Luciano, entrarono nel Gruppo Volontari Rodolfo Graziani, formato nel campo in cui erano stati portati i nostri soldati in attesa di ordini dal costituendo Governo della Repubblica Sociale. Per capire cosa lo ha spinto, bastano queste sue poche parole: “Inevitabile per me non schierarmi con gli Anglo-Americani, che continuavano a bombardare il mio Paese, ma andare avanti con dignità a combattere a fianco del vecchio alleato tedesco, prendendo posizione contro il tradimento”. Fu amor di Patria, dunque. E volontà di difendere l’onore dell’Italia. Ideali, questi, che Luciano vive fino in fondo, prima tra le fila della Divisione Littorio nella guerra sul fronte alpino e poi in prigionia in Francia.
4. C’è un episodio del diario che ritieni particolarmente importante non sia andato perduto?
A dir la verità non saprei sceglierne uno solo. Ritengo, infatti, che la storia di Luciano, raccontata attraverso le sue parole, meriti di essere conosciuta da tutti. Personalmente, e l’ho anche scritto nella postfazione, ritengo che la Storia, quella con l’iniziale maiuscola, quella vera, la facciano gli Uomini. Se si vuole veramente capirla e comprendere anche i grandi eventi, è dai singoli, dalle loro scelte, dalle loro vite che bisogna partire. E la vita di Luciano fornisce senz’altro più di qualche spunto di riflessione. Utile e stimolante non solo per chi condivide i suoi ideali ma per tutti.