La brigata “Catanzaro” faceva parte delle 25 brigate costituite ex-novo nel 1915. La grande unità era formato prevalentemente da ragazzi provenienti dalla Calabria, soprattutto da Catanzaro e da Reggio Calabria, ma massiccia era pure la presenza di siciliani e pugliesi, ed era composta dal 141° e 142° Reggimento Fanteria.
Inviata in Friuli dove fu inquadrata nella Terza Armata, agli ordini di Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta verrà impegnata per oltre due anni sul fronte più duro, quello del Carso guadagnandosi fama anche fra i reparti nemici, ma divenne nota anche per il più famoso caso di ammutinamento nel Regio Esercito durante il primo conflitto mondiale.
Ma andiamo con ordine, la brigata durante la terza battaglia dell’Isonzo, sul monte San Michele, tra il 17 ed il 26 ottobre 1915 perse quasi la metà degli effettivi. Successivamente venne impiegata duramente sul Carso, durante la Strafexpedition la “spedizione punitiva”, l’offensiva lanciata il 15 maggio 1916 dal maresciallo F. Conrad sugli altopiani di Asiago e di Tonezza. Per dare un idea del sacrificio della grande unità bastano questi numeri: le perdite tra il 1915 ed il 1916 furono di 1.062 morti, i feriti furono 10.203 ed i dispersi 2.078.
Il 25 giugno del 1917, per la “Catanzaro” dopo diverse e sanguinosissime battaglie sul Carso, arriva il tanto agognato cambio ad opera dei reparti della Granatieri di Sardegna e viene mandata in riposo a Santa Maria la Longa, un piccolo Comune della provincia di Udine che nel censimento del 1911 contava 2345 abitanti.
Durante la Grande Guerra questo Comune divenne una zona di riposo, e aveva assunto l’aspetto di una città, con baracche lungo la strada, che andavano da appena fuori Palmanova, che dista soli 3 chilometri, fino a S. Stefano, frazione distante poco più di un chilometro; a fronte di poco più di duemila abitanti vi erano acquartierati circa diecimila soldati e cinque ospedali da campo.
Qui i fanti della “Catanzaro” pur essendo a conoscenza che una nuova offensiva era in preparazione, erano relativamente tranquilli vista la disposizione emanata il 7 luglio 1917 dal Comando della 3a Armata ai Corpi d’Armata da essa dipendenti. Per ordine del principe Emanuele Filiberto di Savoia, il Duca Invitto, alle sue brigate dovevano essere concessi almeno venti giorni di riposo invece che i dieci regolamentari. La notizia venne accolta con molta soddisfazione dagli uomini della Catanzaro, visto che la Brigata era stata quasi ininterrottamente impegnata sul fronte.
La sera della domenica 15 luglio 1917 però pervennero nuove disposizioni, il 141º ed il 142° avrebbero dovuto lasciare gli accantonamenti per portarsi in due giornate di marcia a Staranzano, a disposizione del XIII Corpo d’Armata, in pratica l’ordine annunciava l’immediato ritorno in linea. I comandi italiani erano al corrente che all’interno dell’unità serpeggiava un profondo malcontento e che si preparava una rivolta e per prevenirla erano stati infiltrati numerosi carabinieri.
Al momento della comunicazione che il reparto si doveva muovere venne data lettura della circolare telegrafica del Comando Supremo n°2910 in data 1°novembre 1916 in cui fra le altre cose, si prescriveva la decimazione, per i reati più gravi, qualora non fosse stato possibile identificare i responsabili. Prima di proseguire nella narrazione due parole sulla decimazione.
Essa era uno strumento estremo di disciplina militare inflitto ad interi reparti negli eserciti dell’antica Roma per punire ammutinamenti o atti di codardia, uccidendo un soldato ogni dieci. La parola deriva dal latino decimatio che significava “eliminare uno ogni dieci”. Poiché la punizione colpiva a caso, tutti i soldati della coorte punita correvano il rischio di essere uccisi, indipendentemente dal grado o dai compiti svolti. Le decimazioni furono, durante la prima guerra mondiale, una pratica esclusiva del Regio Esercito italiano, che non le aveva mai applicate prima. Almeno otto casi di decimazione, sono stati documentati durante la prima guerra mondiale all’interno del Regio Esercito.
Tornando alla narrazione dei fatti del luglio del 1917, all’arrivo della notizia i sospetti dei comandi si tramutarono in tragica realtà. Alle 22.30 con segnalazioni fatte con razzi sparati in aria e spari di fucile veniva dato il segnale, era l’iniziò della rivolta. Fecero seguito intimidazioni e minacce verso quelli che non si decidevano a prendere parte alla rivolta, alcuni ufficiali e soldati vennero uccisi, con fucilate, bombe a mano e con colpi dati con il calcio del fucile sulla testa e sull’addome: vi furono anche alcuni tentativi di appiccare l’incendio ad alcune baracche, e vennero impiegate alcune mitragliatrici.
Partita dai reparti del 141° la rivolta e si estese anche a quelli del 142°, con scontri a fuoco con fucili e bombe a mano, si manovrava come in un’autentica zona di guerra con i rivoltosi che si erano impossessati anche di tre mitragliatrici. A sedare quello che fu l’unico vero caso di ammutinamento, certo il più grave, nel Regio Esercito Italiano durante la prima guerra mondiale” fu inviata una compagnia di Carabinieri, una compagnia di mitragliatrici e squadroni a cavallo.
Quando la situazione volse al peggio per il coinvolgimento anche dei reparti del 142° venne richiesto l’invio dell’artiglieria e delle autoblindo che però non fecero in tempo a intervenire. Alle 6.25 la calma era tornata; vennero recuperate le mitragliatrici, i carabinieri rastrellarono i più violenti e gli istigatori. Il bilancio della notte di rivolta ammonta a 3 ufficiali e 4 carabinieri uccisi, oltre ad alcuni morti fra gli ufficiali che avevano tentato di sedare la rivolta e una decina di morti una trentina di feriti fra i militari che si erano rivoltati.
La mattina dopo 28 soldati furono fucilati contro il muro del cimitero. Si trattava di sedici soldati arrestati in flagranza di reato con le armi in pugno e di dodici sorteggiati all’interno della 6ª compagnia del 142°. Per limitare le fucilazioni si eseguì il sorteggio del decimo di essi, visto che circa 120 erano stati i soldati che avevano partecipato alla rivolta e questi furono condannati alla fucilazione.
Su altri testi abbiamo trovato che i militari colti in flagranza furono solo quattro, mentre gli altri 24 furono sorteggiati con la pratica della decimazione nel numero di dodici per ciascun reggimento, chi avesse notizie certe in proposito è pregato di scriverci.
Gabriele D’Annunzio assistette all’ episodio: inizialmente sembra che i ribelli si stessero dirigendo nella villa in cui era acquartierato, forse per coinvolgerlo nella protesta o per protestare anche contro di lui, simbolo dell’interventismo. D’Annunzio decise poi di assistere all’ esecuzione e lasciò una testimonianza dell’episodio.
Dopo la fucilazione, i corpi dei 28 soldati furono tumulati in una fossa comune in un lato del cimitero e lì rimasero nel più completo oblio, fino al 1935 quando furono traslate al Tempio ossario di Udine tra i 6 mila ignoti ivi seppelliti.
Dei superstiti della rivolta, 132 soldati, vennero inviati successivamente a corte marziale, che comminò 4 condanne a morte, eseguite nel settembre dello stesso anno. A proposito dei fatti Emanuele Filiberto di Savoia, decise di allontanare dalla brigata i comandanti che avevano perso prestigio, e sostituiti i soldati sospetti, in tutto circa 463 uomini, con reparti più sani e migliori.
Le cause della rivolta, per il Duca D’Aosta, erano da ricercare nello scontento dei soldati a causa del prolungato impiego sul fronte del Carso e per la disparità di trattamento rispetto ad altre brigate che usufruivano di turni al fronte più agevoli.
Il comandante del VII° corpo, generale Tettoni, imputava alla propaganda socialista ed ai giornali che riportavano le notizie dalla Russia le principali cause della rivolta, entrambi consideravano una delle cause minori la soppressione delle licenze per i soldati siciliani, numerosi nella brigata, dovuta all’alto numero di disertori nell’isola.
Successivamente a questo episodio i reparti della Brigata verranno tradotti in prima linea, sotto scorta armata ma, durante il tragitto, alcuni gettarono le munizioni, e solo per questo vennero comminate altre 10 fucilazioni sommarie.
I soldati della Brigata Catanzaro, dopo questi gravi fatti, furono obbligati a battersi fino alla durata della guerra, e battendosi con valore ottennero una seconda citazione sul bollettino di guerra del 25 agosto 1917, nel quale si riportava che:
«Sul Carso la lotta perdura intorno alle posizioni da noi conquistate, che il nemico tenta invano di ritoglierci. Negl’incessanti combattimenti si distinsero per arditezza e tenacia le Brigate Salerno (89° – 90°), Catanzaro (141° -142°) e Murge (259° e 260°)».
Il Re, con decreto del 28 dicembre 1916, aveva in precedenza concesso di motu proprio alla bandiera del glorioso 141º Reggimento la medaglia d’oro al valore militare con questa motivazione:
«Per l’altissimo valore spiegato nei molti combattimenti intorno al San Michele, ad Oslavia, sull’Altopiano di Asiago, al Nad Logem, per l’audacia mai smentita, per l’impeto aggressivo senza pari, sempre e ovunque fu di esempio ai valorosi
(luglio 1915 – agosto 1916)».
Alle bandiera del 142° venne concessa la Medaglia d’Argento, inoltre la Brigata ebbe anche 2 citazioni sui bollettini del Comando Supremo. Tre ufficiali ricevettero la Medaglia d’Oro al Valor Militare, altri 2 l’Ordine di Savoia. Le Medaglie d’Argento distribuite agli uomini della Catanzaro furono 152, quelle di Bronzo 204.
Le perdite subite nel corso del primo conflitto mondiale furono altissime: 17500 soldati tra morti, feriti, dispersi.
Ora un interessante dato statistico sulle condanne a morte eseguite nei reparti del Regio Esercito durante la Grande Guerra. Un’apposita commissione parlamentare di inchiesta istituita all’indomani della fine della guerra diede le cifre ufficiali: 1.006 condanne delle quali 729 eseguite. Queste cifre non comprendono le esecuzioni sommarie e l’applicazione della pena capitale in trincea a discrezione degli ufficiali in caso di emergenza, una stima di questi casi, che comprendono anche quelli di decimazione si attesta a 300 soldati fucilati.
Al termine della prima guerra mondiale la brigata viene sciolta per essere poi ricostituita come Divisione nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. I reparti vennero inviati in Libia nell’ottobre 1939 e nel maggio 1940 la divisione venne e riorganizzata sempre sul 141º e 142º Reggimento fanteria e inquadrando al suo interno il 203º Reggimento Artiglieria ed altri reparti logistici provenienti dalla disciolta 3ª Divisione CC.NN. “21 aprile”.
Ricostituita ufficialmente il 3 giugno 1940, venne quindi posta a disposizione del XXII Corpo d’Armata (generale Pitassi Mannella) della 10ª Armata e prese parte all’avanzata italiana in Egitto del settembre 1940 seppure nella riserva. Il 13 settembre, iniziata l’offensiva contro le posizioni inglesi dell’Egitto, la divisione venne impiegata lungo la via Balbia, tra Gambut e Sidi Bu Amud, a protezione delle retrovie da attacchi provenienti dal deserto.
L’11 dicembre nuclei meccanizzati della 7ª Brigata Corazzata britannica, infiltratisi tra i capisaldi della divisione, vennero arrestati e messi fuori uso dal buon lavoro dell’artiglieria divisionale. Poche ore dopo una nuova violenta azione di un altro squadrone corazzato britannico portò alla resa di centinaia di uomini e costrinse le rimanenti unità divisionali a ripiegare verso Bir Tishdida.
I rimanenti reparti vennero riordinati e continuarono ad operare per la difesa del forte di Bardia fino al 5 gennaio, dopo di che la divisione venne considerata sciolta per eventi bellici e i resti di essa vennero ripartiti fra le altre grandi unità. A causa del controverso comportamento dell’unità e dei suoi ufficiali, se si eccettua l’artiglieria, lo Stato Maggiore non ricostruì successivamente l’unità.