La conclusione della battaglia di Alam Halfa
Il 5 settembre 1942 si concludeva con un nulla di fatto la battaglia di Alam Halfa. Dopo 5 giorni di tentativi si esauriva con una avanzata di pochi chilometri l’ultimo tentativo dell’armata italo-tedesca di aprirsi la strada verso Alessandria d’Egitto.
Come abbiamo visto nel nostro post di pochi giorni orsono, il 28 agosto, la “volpe del deserto” emanava l’ordine d’operazione per l’attacco contro le linee inglesi, fissando come data d’inizio della battaglia il 30 agosto 1942.
Il piano di Rommel era una riedizione di quello di Ein el Gazala, in pratica prevedeva di avvolgere da sud le linee di difesa britanniche per poi puntare verso il mare, tagliando fuori il grosso dell’8th Army dalle proprie linee di rifornimento e ritirata. La 15ª e la 21ª Panzerdivision dovevano tenersi all’esterno della linea di accerchiamento, affiancate dall′Ariete e dalla Littorio, mentre l’altra estremità della linea aggirante deve essere tenuta dalla 90ª Afrika.
All’alba tutte le divisioni avrebbero dovuto trovarsi schierate a sud di Alam Halfa, fronte nord con la 90ª Afrika più a occidente. Le divisioni di fanteria e la brigata paracadutisti Ramcke, in prossimità della costa ed attestate a difesa, avrebbero dovuto solo effettuare attacchi diversivi contro le forze britanniche che le fronteggiano. Questo piano prevedeva che, nel corso della prima notte di combattimento, le forze corazzate avrebbero dovuto percorrere 45 km in terreno non totalmente riconosciuto e minato.
l tempo disponibile, calcolando che la luna il 30 agosto sorgerà attorno a mezzanotte, è di circa 7 ore. Dopo questa manovra, mentre le forze del DAK avrebbero proseguito verso Alessandria, il XX Corpo d’armata avrebbe rastrellato le forze dell′ 8th Army, ormai tagliate fuori dalle loro linee di rifornimento.
Montgomery dal canto suo aveva schierato il XXX Corpo verso nord per fronteggiare le fanterie, mentre fece attestare a difesa la 7th Armoured Division sulla cresta di Alam Halfa, considerata giustamente il cardine dello schieramento britannico, ordinando esplicitamente ad Horrocks di non impegnare le sue forze se queste non fossero state attaccate.
Le forze che si fronteggiavano erano le seguenti:
- da parte italo-tedesca, 67 battaglioni di fanteria (30 italiani), 536 cannoni (336 italiani), 515 carri armati (281 italiani), 119 autoblindo (72 italiane) e 777 aerei fra bombardieri, caccia e ricognitori;
- da parte inglese, le forze erano state valutate in 66 battaglioni di fanteria (a organici completi, mentre non lo erano quelli italo-tedeschi), 576 cannoni, 450 carri armati, 150 autoblindo e 1.200 aerei di tutti i tipi.
Quella che poi, sarà a tutti gli effetti l’ultima offensiva dell’Armata italo-tedesca in terra africana, ebbe inizio, come da programma la sera del 30 agosto, con attacchi diversivi nel settore centro-settentrionale: vi presero parte la Divisione Italiana “Trento”, la 164ª Divisione tedesca, reparti di paracadutisti della Divisione “Folgore” e della Brigata “Ramcke”.
Ancora una volta, la massa di manovra gravitò nel settore meridionale. Con l’intero DAK, attaccò il XX Corpo Motorizzato italiano, con le Divisioni corazzate “Ariete” e “Littorio” e la Divisione motorizzata “Trieste”, che operavano sulla sinistra della 15ª e 21ª Panzer. Le Divisioni italiane, al pari delle germaniche, rimasero subito invischiate nei campi minati, sorprendentemente e pericolosamente più estesi e con maggiore profondità del previsto, mentre la RAF eseguiva attacchi notturni micidiali e il fuoco di reazione delle artiglierie, delle armi automatiche e dei mortai inglesi era ben nutrito e ben diretto.
Dalla fine di agosto, l’Afrika Korps era comandato dal Generale Nehring. Il giorno 31 lo stesso rimase seriamente ferito sul campo e il comando venne assunto dal Generale von Vaerst: tuttavia, fu Bayerlein ad avere nelle mani la direzione tattica delle operazioni. Questa fase dell’intero ciclo operativo sul fronte di El Alamein è nota anche come “corsa dei sei giorni”.
Occorre ricordare che alla fine di agosto era avvenuto un importante preliminare scambio di comunicazioni tra Cavallero, Kesselring e Rommel, per quanto concerneva l’alimentazione dell’imminente battaglia. Come riserva minima per l’offensiva, Rommel aveva chiesta 6.000 tonnellate di carburante, aggiungendo: “la battaglia dipende dall’arrivo tempestivo di quella benzina”. Cavallero aveva allora comunicato:
“lei può cominciare la battaglia, il carburante è in viaggio”
Purtroppo invece una dopo l’altra, erano state infatti affondate o gravemente danneggiate le petroliere Sanandrea, Pozarica, Picci Fassio e Abruzzi.
La sera che segnò l’inizio dell’offensiva, quando fu buio, i reparti corazzati tedeschi investirono, come si è detto, il settore meridionale del fronte, con l’obiettivo di superare di slancio la fascia minata, aggirare l’intero schieramento inglese e sboccare sulla costa all’altezza di El Hamman, alle spalle dell’Ottava Armata.
La 15ª panzer entrava in battaglia con 70 carri tipo “III” e “IV” e la 21ª panzer attaccava con altri 120 carri armati di cannone (si dovevano escludere i carri modello “II”, poco armati e inadatti per una battaglia di carri: ma va sottolineato che il numero dei Panzer a disposizione di Rommel era nettamente inferiore a quello col quale aveva combattuto la precedente battaglia di Ain el Gazala e di Tobruk).
Prima di mezzanotte, le punte della 15ª Panzer urtarono contro la difesa britannica della cintura minata. Ma lì dove si contava di trovare soltanto deboli forze, si trovavano invece profondi campi minati e una difesa attenta. Il I battaglione del 115° reggimento granatieri corazzato, comandato dal Maggiore Busch, capitò in uno sbarramento assicurato da artiglieria e fanteria britannica. Si verificò un notevole scompiglio.
L’arrivo del II battaglione, guidato dal Capitano Weichsel, riuscì tuttavia a salvare la situazione: il reparto attaccò a piedi, superò lo sbarramento minato, costituì una testa di ponte e rese possibile la creazione di un passaggio per i carri della 15ª Panzer.
Poco prima dell’alba, la resistenza dei britannici nella fascia minata diminuì e le punte corazzate del DAK a quel punto avevano raggiunto solo una penetrazione di 12-15 chilometri dalle posizioni di partenza, invece dei 50 chilometri previsti. Il piano di Rommel di “ruotare” all’alba verso la costa, era dunque fallito.
A questa fase cruciale della battaglia di Alam Halfa è legato il mancato arrivo della benzina. Il 31 agosto, i Panzer attaccarono la cresta di Alam Halfa, presidiata nel settore centro-orientale dalla 44ª Divisione di fanteria britannica e dalla 10ª divisione corazzata britannica nel settore, nel mentre una tempesta di sabbia, inchiodava a terra la RAF.
Approfittando di questa insperata circostanza, i carri tedeschi attaccarono immediatamente a sud della cresta, affrontati dai 92 carri Grant della 22ª Brigata corazzata inglese, che aveva un compito “ritardante”, in quanto l’attaccante doveva essere “battuto” dall’artiglieria e soprattutto dai numerosi pezzi controcarro da 57 mm.
Questo affondo tedesco non riuscì e, a sera, i carri della 15ª e 21ª ripiegarono verso sud, passando la notte nella Depressione Ragil. Montgomery, in quelle ore, non sbilanciò il proprio dispositivo, ma tolse comunque una Brigata sudafricana dalla posizione principale del fronte e la trasferì sul Ruweisat, mentre un’altra Brigata affluiva dal Delta per occupare la zona a est dei combattimenti, lasciata dalla 10ª divisione corazzata.
Il 1° settembre, la 15ª corazzata, dalla quale aveva assunto il comando il Colonnello Crasemann, fu lanciata contro l’altura di Alam Halfa e, dopo dura lotta, giunse quasi fino alla fatale quota 132. La battaglia era nella fase risolutiva.
Il 3 settembre la RAF effettuò ben 957 sortite sull′Afrikakorps, che tuttavia riuscì lentamente a districarsi dal saliente per rientrare dietro le linee amiche, solo a 10 km dalle basi di partenza. Intanto i britannici preparavano un contrattacco, che non poté avere inizio prima di mezzanotte. Montgomery lanciò la 132nd Infantry Brigade e la 5th New Zealand Infantry Brigade all’attacco per tentare di inserirsi fra le forze dell’Asse e le loro basi di partenza, ma l’attacco venne respinto con perdite sanguinose (circa 1000 uomini) da parte di entrambe le unità.
Il 4 settembre, la 2ª divisione neozelandese lanciò l’Operazione Beresford nel tentativo di eliminare il saliente che le forze italo-tedesche erano riuscite a creare durante l’ultima offensiva, nella zona di Deir Alinda, Deir el Munassib e Deir Munafid. L’attacco neozelandese si arenò davanti alla forte resistenza dei reparti della Divisione Folgore, che riuscirono a respingere le puntate offensive del nemico infliggendogli notevoli perdite. La sera del 5 settembre si concluse la battaglia.
L’Asse era avanzata di pochi chilometri, ma non era riuscita in quello che era lo scopo della battaglia: aprirsi un varco attraverso le linee britanniche. Si è sempre sostenuto che l’offensiva fallì a causa della mancanza di carburante. Ma una simile spiegazione non può essere sostenuta in senso assoluto. Il carburante era scarso, ma, anche durante il ripiegamento, nessun automezzo restò sul terreno immobilizzato per mancanza di benzina.
Un fattore negativo importante risultò invece la profondità dei campi minati inglesi al momento dell’assalto iniziale. Alla fine dei sei giorni le perdite assommavano per quanto riguarda morti, feriti e dispersi a:
3930 dell’Asse e 1750 britannici; carri armati persi 49 dell’Asse e 67 britannici; aerei persi 41 dell’Asse e 68 britannici. Le perdite in uomini dell’Asse furono chiaramente superiori, dato che praticamente nel corso di tutta la battaglia gli italo-tedeschi furono all’offensiva (i britannici ebbero la massima parte dei morti nel corso della controffensiva della 2nd New Zealand Infantry Division e della 132nd Infantry Brigade).
Le perdite di carri, invece rappresentano un’interessante inversione di tendenza rispetto ai combattimenti precedenti: pur restando superiori a quelle dell’Asse i rapporti fra le perdite britanniche non presentano più i rapporti eclatanti delle battaglie precedenti (5:1 a Gazala e 2:1 in Crusader).
Tuttavia queste perdite, se pure inferiori, dal punto di vista strategico erano più pesanti per l’Asse, che non riusciva ad avere vie di comunicazione sicure fra le basi di approvvigionamento (Palermo e Napoli) e la prima linea, mentre i rifornimenti ed i rinforzi non cessarono mai di affluire per le forze britanniche.
Un altro dato rilevante è la perdita della superiorità aerea da parte dell’Asse, le cui truppe per tutta la battaglia furono sottoposte ad attacchi continui, senza che la caccia italiana e tedesca riuscissero a tenere lontani i bombardieri britannici (nonostante le perdite maggiori in aerei da parte britannica).
Il 7 settembre, gli ultimi spari si spensero nel settore meridionale del fronte, lasciando gli italo-tedeschi in possesso della posizione di Himeimat, coi suoi 217 metri di altezza. Ciò turbava, molto i comandanti inglesi perché, di lassù, italiani e tedeschi potevano osservare tutto quanto avveniva a sud di El Alamein. Ma come vedremo in seguito la conquista di quella posizione, ben poco potrà influire sull’esito della più grande battaglia mai combattuta nel deserto che si scatenerà qualche settimana dopo.