La commovente storia di Albino, tratta dal bellissimo libro di Vincenzo Di Michele, "Animali in guerra vittime innocenti".

Albino fu assegnato da puledro al 3° Reggimento Savoia Cavalleria a Milano tra le due guerre mondiali, presumibilmente nel 1936. Aveva allora quattro anni e si era già fatto notare tra i suoi compagni di scuderia, arrivando primo in molte gare. Stando a Milano forse credeva che tutti gli uomini fossero buoni come i soldati del suo squadrone o come il giovane sottufficiale, al quale era stato assegnato: il sergente maggiore Giuseppe Fantini. Albino era felice: la biada era fresca e abbondante, frequenti le galoppate e sempre pulita la paglia del suo giaciglio.
Ma un giorno scoppiò la seconda guerra mondiale, il "Savoia Cavalleria" partì in Russia, e Albino seguì il suo reggimento e il suo amico Fantini. Tutto adesso era cambiato per lui, ma si sentiva orgoglioso di dividere con i soldati i pericoli dei combattimenti. Siamo nell'estate del 1942, nella steppa del Don, il reggimento era dislocato a difesa di quota 213.5, una piccola sommità in mezzo a una vasta pianura, piena di girasoli verso il Don. All'alba del 24 agosto, il comando del reggimento, capì che i russi approfittando dell'alta vegetazione, erano a meno di un chilometro, quindi vicinissimi, e in procinto di accerchiarli.

Il comandante del "Savoia", Gen. Alessandro Bettoni Cazzago, allora non perde tempo e ordinò al comandante del 2° squadrone (quello di Albino) Francesco De Leone di attaccare il nemico. Albino si trovò in mezzo alle grida incitanti dei soldati e agli squilli di tromba "della carica".

Con le orecchie diritte, fremente, si lanciò con il suo cavaliere contro il nemico. Era la carica di Isbuscenskij, la più gloriosa carica della cavalleria italiana. Le cariche si succedettero ininterrottamente per buona parte della giornata e Albino continuò a galoppare insieme agli altri cavalli, anche se a un certo punto si accorse di non avere più in sella il suo amico Fantini, colpito da una raffica di mitragliatrice nemica.

Fu una grande vittoria! Seicentocinquanta cavalieri avevano combattuto e ricacciato indietro, duemila siberiani. Le nostre perdite ammontarono a 32 morti (3 ufficiali), 52 feriti (5 ufficiali) e più di 100 cavalli fuori combattimento. I russi avevano lasciato sul campo 150 morti, 300 feriti, 500 prigionieri, 4 cannoni, 10 mortai, 50 mitragliatrici e centinaia di fucili.

Tra i prigionieri c'era un intero comando di battaglione e anche alcuni plotoni di mongoli, interamente equipaggiati con uniformi italiane preda di una precedente nostra sconfitta. Che fine aveva fatto Albino? Alla fine della giornata, quando si ricomposero i corpi dei nostri soldati, si riconobbe il corpo del sergente maggiore Fantini, ma di Albino nemmeno l'ombra.

Solo dopo due giorni, Albino fu avvistato, mentre zoppicando, tornava al suo reggimento. Povero Albino, non era più l'Albino che era partito pieno di forze dal campo due giorni prima. Stava rientrando dai suoi compagni - proprio mentre il reggimento stava ritirandosi su posizioni più sicure - con una profonda ferita in una zampa dalla quale usciva ancora sangue e inoltre era privo di uno dei suoi mitissimi occhi, il sinistro.

La guerra di Russia era oramai giunta al suo epilogo e Albino sebbene gravemente ferito partecipa alla ritirata e riesce a giungere in Italia con i superstiti del "Savoia". Con la baraonda dell'otto settembre del 1943, di Albino si perde ogni traccia. Finisce la guerra e il reggimento "Savoia Cavalleria" si ricostituisce a Milano e torna nella sua sede di via Vincenzo Monti.

Un giorno del 1946, il reggimento per una cerimonia, si trova a Somma Lombardo con la propria fanfara. In quel piccolo paese, per lo più di contadini, si riunisce una piccola folla per vedere sfilare gli squadroni, quando da una strada adiacente a quella da dove sta transitando il reggimento, si sentono grida, urla, nitriti e un gran baccano. Un cavallo, forse imbizzarrito, legato a un carretto pieno di verdura, si dimenava tra la folla correndo all'impazzata verso la sfilata dei reparti.

Quel giorno, il comandante dello squadrone a cavallo del "Savoia" era il capitano De Leone, il quale capisce subito che il galoppo forsennato di "quel ronzino" non poteva essere casuale, ma aveva qualche cosa di familiare. Fa fermare la marcia del reggimento e raggiunge il cavallo che nel frattempo di era calmato arrivando vicino ai soldati. Da una sommaria ispezione non potevano esserci dubbi. Era lui, proprio Albino, il quale alle note della fanfara aveva riconosciuto il suo reggimento.

Il cavallo era scheletrico, il pelo a chiazze, ma il capitano De Leone vede il ciuffo candido a stella in mezzo alla fronte, il suo modo di piegare la testa dalla parte dell'occhio cieco, come per un'istintiva difesa. Con un'emozione indicibile, De Leone allora gli solleva lo zoccolo destro e con grande gioia riconosce il marchio del reggimento. Albino viene quindi subito riscattato e rientra al suo reggimento, dove gli viene costruita una casetta con sopra il suo nome e una fotografia del sergente maggiore Fantini.

Perché nessuno potesse dimenticarsene, scrissero anche per lui, in prima persona, l'intera storia a grandi lettere nere sulla parete imbiancata a calce, firmandola con il disegno del suo zoccolo destro seguito dai titoli di benemerenza: "Mutilato, Ferito e Reduce di Russia". La storia di Albino intanto viene a conoscenza anche del Ministro della Difesa che ne perora la causa in Parlamento, affinché gli fosse concessa una pensione a vita (l'unica finora concessa a un animale) e ospitato quale mascotte del reggimento.

Negli ultimi anni della sua vita, Albino ha avuto nella sua casetta un altro compagno: l'asinello Mariolino che gli ha fatto compagnia fino alla morte. Da quando Albino tornò al suo reggimento e la sua storia fu di dominio pubblico, ricevette molte visite di scolaresche e di semplici cittadini che volevano vedere l'eroico quadrupede reduce della Campagna di Russia.

Albino partecipò sempre alle sfilate del reggimento, finché le sue zampe lo permisero, poi dopo tanti anni di servizio alla Patria morì il 21 ottobre 1960 e fu imbalsamato e collocato prima al museo dell'Arma di Cavalleria di Pinerolo (TO), quindi trasferito nel museo reggimentale di Grosseto, dove si trova ancora quale preziosa reliquia di un mondo scomparso e simbolo di una fede patriottica che anche un cavallo seppe dimostrare.

Questo il testo esposto su pergamena collocata vicino alla corpo imbalsamato del valoroso cavallo:

Ringrazio il Reggimento “Gorizia Cavalleria 3°” per avermi concesso di trascorrere la vecchiaia nella scuderia del mio Colonnello Bettoni, comandante ad Isbuscenskij, ed auguro “bonnes nuovelles” al Reggimento, allo Stendardo ed ai suoi cavalli corazzati. occhio cieco conserva luminosa l’immagine del glorioso stendardo, la mia gamba lancina per la ferita da guerra: orgoglio di combattente, le mie orecchie odono sempre la tromba del Caricat ed il grido incitatore degli squadroni al galoppo verso la morte, la gloria e la vittoria, la mia groppa porta ancora la sella affardellata ed in arcione è sempre Fantini, il sergente maggiore che colpito a morte tenne la punta della sciabola verso il nemico in fuga, la mia memoria vive del ricordo di tutti gli eroici Cavalieri che nella leggendaria carica di Isbuscenskij scrissero col sangue la più bella la più gloriosa pagina di Storia della cavalleria di tutto il mondo. Albino - Mutilato, ferito e reduce dalla Russia.”