Quando, tra la fine del 1942 e il 1943, ebbe inizio la controffensiva alleata nel Pacifico, vi fu un atollo che destava più preoccupazione di tutti: Truk. Possedimento giapponese fin dal 1919, da quando divenne territorio del Sol Levante nessun occidentale vi aveva messo più piede, alimentando al contempo miti e leggende su questo piccolo atollo: i servizi di intelligence degli Stati Uniti sapevano soltanto che la marina e l’aviazione imperiale vi avevano costruito una base quasi inespugnabile, una sorta di Pearl Harbour giapponese, base di partenza di numerosi convogli e riparo sicuro per buona parte della flotta. Per questo, una volta messa al sicuro l’Australia e la Nuova Zelanda con la conquista delle Isole Salomone e conquistata Kwajalein, la base giapponese più importante delle Marshall, gli sforzi americani furono diretti a Truk, l’atollo centrale dell’Arcipelago delle Caroline. D’altra parte, la guarnigione giapponese presente sul piccolo isolotto, agli ordini del Vice Ammiraglio Hitoshi Kobayaschi, sapeva che presto si sarebbe riversato su Truk tutta la potenza bellica e industriale americana: basti pensare che la produzione di aerei era passata da 47.000 nel 1942 a quasi 86.000 nel 1943.
Preparato nei minimi dettagli, l’attacco contro l’atollo di Truk venne affidato all’Ammiraglio Marc Mitscher: furono compiuti numerosi voli di ricognizione, dato che le vecchie carte geografiche risultavano troppo antiquate e incomplete. Intanto, non sapendo quando l’attacco americano sarebbe stato sferrato, gli aviatori giapponesi rimasero costantemente in stato di allerta, pronti a decollare non appena la minaccia si fosse palesata. Le difese nipponiche erano affidate ad una flotta di 365 velivoli, mentre nei porti e nelle insenature erano ormeggiati due incrociatori leggeri e otto cacciatorpediniere, appoggiati da un’altra cinquantina di navi minori, tra cui alcuni sommergibili. L’attacco si palesò improvviso il 16 febbraio 1944, quando un’imponente formazione di bombardieri americani, decollati dai ponti di volo delle portaerei, e scortati da non meno di settanta caccia Grumman F6F Hellcat venne avvistata dai ricognitori giapponesi. Fu un attimo: riuscirono a decollare dalle piste di Truk appena 45 caccia Zero, un numero irrisorio per garantire qualsiasi tipo di difesa. Quella mattina, i Giapponesi persero buona parte dei propri aerei, circa 265, per lo più distrutti sulle piste di decollo, mentre furono affondati gli Incrociatori Leggeri Naka e Katori, i Cacciatorpediniere Maikaze, Fumizuki, Oite e Tachikaze, due sommergibili e altro naviglio minore.
L’incubo di Truk non esisteva più. In appena due giorni di attacchi e bombardamenti aerei, gli Stati Uniti avevano distrutto uno degli avamposti giapponesi più strategici del Pacifico. Dal canto loro, gli Americani persero appena venticinque velivoli, registrando la morte di trenta piloti, unitamente ad undici marinai che perirono a seguito di un siluro che colpì a poppa la Portaerei USS Intrepid. Annientata la forza aerea presente a Truk, ebbe inizio la battaglia per l’atollo di Eniwetok: il 17 febbraio il 22° Reggimento dei Marines, comandato dal Colonnello John Walker, prese terra sulla piccola isola di Engebi. La battaglia si concluse pochi giorni dopo, il 23, con la completa distruzione della guarnigione giapponese, che registrò 2613 morti sui 2677 presenti al momento dell’attacco.