Notiziario: La battaglia di Capo Matapan

La battaglia di Capo Matapan

La missione è fallita.

Alle 19:50 del 28 marzo 1941, mentre la flotta italiana, con la nave da battaglia Vittorio Veneto al centro, gravemente danneggiata, stava rientrando alle proprie basi, l'incrociatore Pola fu colpito dal siluro lanciato da un Fairey Albacore decollato dalla portaerei inglese Formidable. Poco dopo il Pola si arrestò incapace di muoversi e manovrare, disarmato. Questo fu l'inizio della battaglia di Capo Matapan, tragedia per migliaia di marinai ed una delle più gravi disfatte della Marina Italiana.
La missione assegnata da Supermarina all'ammiraglio Iachino, di intercettare convogli nemici nell'Egeo da e verso la Grecia, era fallita.

La sorpresa su cui si faceva affidamento era subito svanita per la pronta individuazione della flotta da parte di un ricognitore inglese, conseguenza di un supporto aereo di ricognizione e copertura, sollecitato e promesso, quasi completamente assente e di una attività di intelligence carente.
L'ammiraglio Iachino, sulla Vittorio Veneto, non aveva mai potuto contare, sin dall'inizio della missione, su una conoscenza sufficientemente esatta della consistenza della flotta inglese che lo fronteggiava, né della dislocazione delle navi. Non erano mancati peraltro, e non sarebbero mancati in seguito, errori di valutazione, inefficienze nella trasmissione delle informazioni e comandi da Supermarina e tra le unità della flotta.

La Vittorio Veneto è colpita

Durante le inconcludenti operazioni navali della mattina a sud dell'isola di Gaudo, Iachino aveva potuto sperimentare quanto le sue navi, prive di qualunque copertura aerea, fossero esposte agli attacchi degli aerosiluranti e bombardieri inglesi.
Alle ore 15:19 del 28 marzo, la Vittorio Veneto era stata infatti colpita dal siluro di un
Fairey Albacore decollato dalla portaerei Formidable.
La nave con gravi danni al sistema di propulsione e direzionale, si era fermata, inerte. Poi era stato possibile rimetterla in parziale efficienza e dopo circa un'ora aveva iniziato, alla velocità ridotta di 16 nodi e fortemente appoppata, il ritorno verso l'Italia.

 

La flotta italiana rientra alla base

L'ammiraglio Iachino aveva disposto le navi della flotta a protezione della Vittorio Veneto: la I Divisione, con gli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Pola, al comando dell'ammiraglio Cattaneo, alla destra e la III Divisione, con gli incrociatori leggeri Trieste, Trento e Bolzano, al comando dell'ammiraglio Sansonetti, alla sinistra.

Le rispettive squadriglie di cacciatorpedinieri di scorta formavano due ulteriori linee difensive all'esterno.

 

La forza aeronavale inglese all'attacco

Ad una distanza di circa 60 miglia la flotta inglese dell'ammiraglio Cunningham era all'inseguimento. Era composta dalla Force A, al diretto comando di Cunningham, con le corazzate Warspite, Valiant, Barham e la portaerei Formidable, e la Force B al comando del viceammiraglio Pridham Wippel, che comprendeva gli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester. Quattro squadriglie di cacciatorpedinieri completavano la flotta.

Le probabilità che la flotta inglese riuscisse a raggiungere quella italiana erano però molto ridotte vista la notevole distanza e la mediocre velocità che le navi inglesi riuscivano a sviluppare. Alle 17:35 l'ammiraglio Cunningham, dalla corazzata Warspite ordinò allora un nuovo attacco di aerosiluranti per il colpo di grazia alla Vittorio Veneto.

 

Il Pola è colpito

Gli aerei inglesi aspettarono il crepuscolo per sferrare il loro attacco. Le navi italiane ebbero però in tal modo la possibilità di incrementare l'efficacia della loro difesa creando cortine fumogene che ostacolassero l'individuazione dei bersagli da parte degli aerei attaccanti.
Ciò valse a salvare l'ammiraglia Vittorio Veneto e le altre navi, ma non il Pola, in coda alla formazione, che alle 19:46 fu colpito dal siluro sganciato da un aereo da distanza molto ravvicinata.
Le conseguenze furono molto gravi. La sala macchine fu devastata, molte caldaie si spensero, le macchine si fermarono, e la nave, imbarcata una grande quantità di acqua, rimase immobile, priva di energia elettrica. Il funzionamento delle armi di bordo, sebbene non totalmente precluso, risultò fortemente compromesso.

Da quel momento vi fu uno scambio concitato di messaggi tra il Pola che comunicava i danni subiti e chiedeva di essere rimorchiato, l'ammiraglio Cattaneo che chiedeva all'ammiraglio Iachino il permesso di inviare 2 cacciatorpedineri in soccorso al Pola e Iachino che comandava invece a Cattaneo di intervenire con tutte le unità della I Divisione.
Si perse molto tempo, preziosissimo in quella circostanza.

 

La I Divisione inverte la rotta per soccorrere il Pola

Soltanto alle 21:06, mentre la flotta aveva nel frattempo continuato ad allontanarsi verso l'Italia lasciando il Pola alle sue spalle, l'ammiraglio Iachino, ritenendo erroneamente (come lui stesso afferma) che nessuna nave inglese si trovasse nel raggio di 75 miglia, e confidando comunque che gli inglesi non avrebbero  assunto iniziative offensive nell'oscurità della notte, con una decisione che sarà oggetto di interminabili polemiche, confermò all'ammiraglio Cattaneo, sullo Zara, il suo ordine di invertire la rotta con il Fiume e 4 cacciatorpedinieri ( Alfieri, Gioberti, Carducci, Oriani, ) per rimorchiare il Pola immobilizzato, o se ciò fosse risultato impossibile, trarre in salvo l'equipaggio ed affondare la nave.

Cattaneo ubbidì all'ordine e si diresse verso il Pola, ormai distante 24 miglia.
Anche le modalità con cui egli condusse questa operazione sono state oggetto di un vivace e mai esaurito dibattito.
Da più parti, ed in particolare dallo stesso Iachino, è stato fortemente criticato che egli avesse incomprensibilmente proceduto a velocità  ridotta e senza adottare quelle misure precauzionali, riguardanti la disposizione delle navi, l'allertamento e l'armamento, che sarebbero invece state indispensabili in quelle circostanze. Critiche a cui lo stesso Cattaneo non potè controbattere in quanto deceduto quella notte insieme a gran parte dell' equipaggio dello Zara.

Alle 21:27 l'ammiraglio Cattaneo comunicò al Fiume di prepararsi al rimorchio del Pola.

 

Le navi inglesi individuano il Pola

Qualche ora prima, al calar della sera, l'ammiraglio Cunningham, consapevole dell'eccessiva lentezza delle corazzate al suo comando, aveva ordinato all'ammiraglio Pridham Wippell, con i suoi 4 incrociatori leggeri, ed al capitano Mack, con una squadriglia di 8 cacciatorpedinieri, di forzare l'andatura all'inseguimento della flotta italiana con l'obiettivo di affondare la Vittorio Veneto in avaria.

Alle 20:40 il radar dell'incrociatore Orion che guidava la flotta inglese aveva individuato la sagoma immobile del Pola. L'ammiraglio Pridham Wippell non l'aveva però riconosciuta come tale in quanto il dramma di quella nave era ancora sconosciuto agli inglesi.  Ritenendo invece che si trattasse della Vittorio Veneto, che sapeva colpita e in avaria, ne aveva comunicato la posizione all'ammiraglio Cunningham che lo seguiva a distanza e aveva continuato la ricerca del grosso della flotta italiana.

Cunningham raggiunse la posizione indicata poco dopo le 22:00, quando anche il radar della Valiant vide la sagoma del Pola immobilizzato sulla sinistra davanti a prua. Ritenendo anch'egli che la nave individuata fosse la Vittorio Veneto, ordinò alle navi al suo comando di prepararsi all'attacco.

Il comandante del Pola, accortosi delle navi inglesi in avvicinamento e scambiandole per le unità soccorritrici, ordinò il lancio di un razzo rosso da segnalazione per indicare la posizione della nave. Il razzo fu avvistato sia dallo Zara che dalle navi della flotta inglese.

Qualche minuto dopo, invece, alle 22:25, il colpo di scena che segnerà l'inizio della tragedia per le navi italiane. Le vedette dell'ammiraglia Warspite individuarono ad una distanza di 4 miglia davanti a loro, sulla sinistra, la formazione italiana dell'ammiraglio Cattaneo che stava sopraggiungendo in soccorso al Pola.

Subito l'ammiraglio Cunningham ordinò alle sue 3 corazzate di prepararsi a far fuoco contro i nuovi bersagli, mentre alla Formidable veniva ordinato di defilarsi.

 

Le navi italiane procedono ignare e senza alcuna precauzione

Lo Zara, il Fiume, e i cacciatorpedinieri in quel momento navigavano nella più completa ignoranza della presenza della flotta nemica. L'ammiraglio Cattaneo, al pari di Iachino, era propenso a ritenere le navi inglesi molto più lontane, e, nella peggiore delle possibilità, trattarsi di incrociatori leggeri e relativa scorta.

Guidava la fila lo Zara seguito dal Fiume e dai quattro cacciatorpedinieri, nell'ordine: l'Alfieri, il Gioberti, il Carducci e l'Oriani.

Raccontarono i sopravvissuti che a bordo, dopo un'intera giornata di attacchi aerei e navali, regnava una certa rilassatezza. Gli uomini ai posti di combattimento erano, come consuetudine di notte, in condizione di riposo.

Parte dell'equipaggio del Fiume era in quel momento impegnato ad organizzare le operazioni di rimorchio del Pola

 

Le navi inglesi aprono il fuoco

Alle 22:27 il CT Greyhound accese il proiettore di bordo illuminando il secondo incrociatore della colonna, il Fiume. Subito dopo la Warspite aprì il fuoco sulla nave da una distanza di circa 3000 metri.

Ancora pochi secondi ed anche il Valiant e il Barham aprirono il fuoco sull'incrociatore di testa, lo Zara.

Violentissime bordate seguiro in successione colpendo tutte le navi italiane che si trasformarono in immensi roghi.

Le devastazioni prodotte dalla tempesta di proiettili impedirono ogni reazione da parte italiana. L'unica unità che in quella tragica notte reagì al fuoco inglese fu il cacciatorpediniere Alfieri che, anche se ripetutamente colpita, riuscì a lanciare, senza successo, una salva di siluri e a far fuoco verso le navi avversarie.

L 'impari scontro durò non più di tre minuti.

L'incrociatore Fiume affondò poco dopo le 23:00. Lo Zara, avvolto dalle fiamme, rimase a galleggiare inerte. I cacciatorpedinieri Alfieri e Carducci affondarono nei primi 5 minuti.

Gli altri due riuscirono a sganciarsi e fuggire: il Gioberti, indenne, l'Oriani gravemente colpito.

L'equipaggio del Pola assistette passivamente, da breve distanza, allo scontro.

Anche l'ammiraglio Iachino, molto più lontano e in navigazione verso l'Italia, vide nella notte, alle sue spalle, i bagliori degli incendi sulle navi colpite.

Cunningham, temendo la presenza di altri cacciatorpedinieri italiani, si allontanò subito dal luogo del combattimento, lasciando ai cacciatorpedinieri inglesi il compito di raccogliere i superstiti e di finire le navi ancora galleggianti.

Lo Zara fu finito da due siluri del cacciatorpediniere HMS Jervis alle 2:40, mentre un gruppo di volontari stava cercando di attuare le operazioni di autoaffondamento.

Il Pola, che fino ad allora era rimasto in ombra e non coinvolto nello scontro, fu individuato verso mezzanotte dai cacciatorpedinieri Jervise Nubian. Questi, dopo aver tratto in salvo i membri dell'equipaggio che si trovavano ancora a bordo, lo affondarono con siluri, poco dopo le 3:00.

La passività con cui il Pola assistette alla distruzione delle due navi sorelle e al massacro dei marinai italiani, e il comportamento sbandato e fuori controllo di parte dei quadri di comando e dell'equipaggio sono stati il terzo elemento, oltre i due su citati, al centro del rovente dibattito che seguì all'infausto battaglia.

 

I soccorsi ai naufraghi

Dei numerosissimi naufraghi dispersi in mare i cacciatorpedinieri inglesi ne raccolsero oltre 900, compresi i marinai del Pola. Le azioni di soccorso furono però interrotte all'alba del giorno successivo per la comparsa di aerei tedeschi, non prima che l'ammiraglio Cunningham avesse comunicato a Supermarina le cooordinate della posizione dello scontro sollecitando l'invio di soccorsi. Nell'arco della giornata del 29, alcuni cacciatorpedinieri greci continuarono però le operazioni di soccorso raccogliendo oltre 100 naufraghi.

La nave ospedale Gradisca, salpata da Taranto alle 15:30 del giorno 29, giunse sul luogo della battaglia soltanto verso la sera del 30, trattenendosi in quelle acque fino al giorno 5 di aprile. Raccolse ancora in vita soltanto 160 marinai .

L'organizzazione delle operazioni di soccorso è stata il quarto elemento al centro delle polemiche del dopoguerra. Senza nulla togliere all'abnegazione dei soccorritori, è stato criticato l'invio, già di per sè tardivo, di una nave lenta (max 16 nodi), idonea al trasporto di feriti ma palesemente inadatta alla raccolta di naufraghi dispersi in un ampio tratto di mare. Forse altre forme di intervento sarebbero state opportune.

 


Marinai nella battaglia di Capo Matapan :

 

Nave

deceduti

salvati

imbarcati

Incrociatore  

Fiume

814

269

1083

Incrociatore  

Zara

799

287

1086

Incrociatore

Pola

336

688

1024

Cacciatorpediniere

Carducci

171

35

206

Cacciatorpediniere

Alfieri

210

35

 245

 


Nella battaglia di Capo Matapan gli inglesi ebbero solo 3 vittime: i componenti l'equipaggio dell'aerosilurante Fairey Albacore che fu abbattuto un istante dopo aver lanciato il siluro che avrebbe colpito la Vittorio Veneto.