Notiziario: L’ultima pattuglia. L’epica storia di Sepp Innerkofler

L’ultima pattuglia. L’epica storia di Sepp Innerkofler

In Pusteria il nome di Sepp Innerkofler riporta alla mente, a quasi cento anni di distanza, la più leggendaria guida alpina, nonché di combattente dell’Esercito Austro-Ungarico durante la Prima Guerra Mondiale contro gli Alpini del 7° Reggimento del Battaglione Cadore. Originario di Sesto, piccolo comune adesso facente parte della provincia autonoma di Bolzano, era nato il 28 ottobre 1865 da una umile famiglia di origini contadine, dalla quale apprese la professione di contadino e scalpellino. Ma la vera passione del giovane Sepp era la montagna, le camminate lungo i sentieri e i boschi, tra le rocce e i dirupi delle Dolomiti: fu così che a soli ventiquattro anni, nel 1889, conseguì il brevetto di guida alpina, divenendo ben presto una delle più ricercate in fatto di esperienza e conoscenza dei luoghi. Assieme alla moglie, poi, tra il 1895 ed il 1898, gestì diversi  rifugi situati sulle Tre Cime di Lavaredo; ma cominciavano anche a soffiare i primi venti di guerra e dal 1915, con quella che passerà alla storia come la Pattuglia Volante sorveglierà incessantemente le sue Dolomiti. E venne il 24 maggio 1915 quando gli Italiani passarono il Piave che “mormorava calmo e placido”. Fin dal giorno precedente, gli Alpini del Battaglione Cadore, dopo aver passato il confine tra l’allora Regno d’Italia e l’Impero Austro-Ungarico situato a Forcella Lavaredo, cominciarono la costruzione di fortificazioni, di trincee e di piazzole per mitragliatrici e cannoni: anche per Sepp Innerkofler venne la guerra.

Sepp Innerkofler e la Pattuglia VolanteFu adesso che le gesta e le azioni della Pattuglia Volante entrarono prima nella storia e poi nella leggenda. Dalle vette che sovrastavano le linee italiane, Sepp Innerkofler e i suoi uomini compivano quotidiane azioni di disturbo, scorrerie e azioni rapide e silenziose, grazie alla sua passata esperienza di guida alpina che gli aveva permesso così di conoscere Salma di Sepp Innerkoflerogni centimetro delle sue montagne. I suoi meriti furono riconosciuti dal comando austriaco, che lo promosse sul campo al grado di Caporale prima e di Sergente poi, conferendogli anche la medaglia d’argento. Tra il 21 maggio e il 4 luglio 1915, il gruppo di Austriaci effettuò ben diciassette giri di pattuglia, avvicinandosi sempre di più alle linee nemiche e riportando i movimenti delle truppe italiane in movimento. Fu così progettata un’azione per la conquista della cima del Paterno: alla mezzanotte, sei uomini iniziarono la marcia verso la sommità del monte, seguiti da una quarantina di soldati, che Sepp conosceva benissimo, avendo aperto lui stesso per la prima volta la via lungo la cresta di nord-ovest il 1° settembre 1896. Ma questa volta furono scorti dagli Italiani, che riversarono sulla formazione in marcia un violento fuoco di fucileria, mitragliatrici e cannoni. Messisi al riparo dietro ai costoni di roccia, i sei Austriaci continuarono a salire, fino a giungere in vetta, dove a difesa vi era solo un piccolo distaccamento di tre Alpini del Val Piave. Dai piedi della montagna, Josef Sepp Innerkofler, il figlio più giovane di Sepp, assisteva con il binocolo al procedere dell’azione. Vide così suo padre lanciare una prima, poi una seconda e infine una terza bomba a mano verso la fortificazione italiana: proprio la terza sembrò esplodere all’interno della piccola ridotta. Ma vide un’altra cosa: suo padre precipitare nel vuoto, dopo essersi portato le mani al volto.

Tomba di Sepp InnerkoflerAncora oggi non è ben chiaro chi uccise Sepp. Alcuni riferirono di aver visto un soldato italiano sporgersi fuori dalla piccola trincea e lanciare verso il gruppo di Austriaci un grosso masso che lo colpì in pieno volto e altri che venne colpito da una fucilata sparata nelle ultime fasi dello scontro a fuoco. Ma c’è anche un’altra versione: quella del fuoco amico, di un proiettile di una mitragliatrice austriaca che raggiunse Sepp Innerkofler per errore. Dopo la morte, il corpo di Sepp venne recuperato tra mille difficoltà dall’Alpino Angelo Loschi, che si calò tra i crepacci e i dirupi delle Dolomiti: gli Alpini hli vollero tributare l’ultimo onore, seppellendolo sulla cima del Peterno, che tanto aveva conteso ai suoi nemici. Prima di partire per l’azione aveva proibito al figlio di seguirlo e unirsi a lui con una frase che si rivelò profetica: “basta che la mamma pianga per uno solo di noi”.