Il Natale 1942 degli Alpini della Julia sul fronte russo
Diversamente dal Natale 1914, quando Francesi e Bavaresi, Inglesi e Sassoni, Belgi e Prussiani, si ritrovarono nella no man’s land tra le opposte trincee, per gli Alpini della Divisione Julia, inquadrata nell’ARMIR, l’Armata Italiana voluta da Benito Mussolini per affiancare l’alleato tedesco nella campagna contro l’Unione Sovietica, iniziata il 22 giugno 1941 con l’Operazione Barbarossa, non ci furono tregue natalizie o cessate il fuoco. Anzi, proprio tra la fine di dicembre 1942 e il gennaio 1943 ebbe inizio la grande offensiva lanciata dai Sovietici sull’ansa del Don, che culminerà con lo sfondamento del fronte e l’odissea della ritirata nella steppa innevata delle centomila gavette di ghiaccio. Le Penne Nere, però, a riprova della loro forza d’animo e della loro combattività, costrinsero gli attaccanti, superiori sia in uomini che in armamenti, a soffrire un numero spaventoso di caduti, tra morti, feriti e dispersi, tanto da impressione lo stesso comando tedesco che, nel Bollettino di Guerra del 29 dicembre 1942, ricordò come “nei contrattacchi difensivi della grande ansa del Don si è particolarmente distinta la Divisione Alpina italiana Julia”.
Ma, nonostante le spaventose perdite, le Penne Nere ancora resistevano: quando, infatti, entro i giorni di Natale del 1942, i Sovietici avevano riportato importanti e strategiche vittorie contro i Tedeschi, circondando i soldati di von Paulus a Stalingrado, annientando le forze di von Manstein inviate per rompere la sacca e decimando le forze rumene, gli Alpini ressero l’urto di ondate di centinaia di carri T34, gli stessi che incutevano il terrore nei carristi dei Panzer germanici, lanciandosi fuori dalla trincee scavate nella neve e nel ghiaccio, gettando bottiglie incendiarie e avendo la meglio sui nemici quasi sempre con assalti alla baionetta. Ne sono la riprova le decine e decine di Medaglie d’Oro a Valor Militare conferite agli Alpini, così come agli altri reparti italiani che presero parte allo scontro. Ancora all’inizio del gennaio 1943, i Sovietici non erano riusciti a rompere e penetrare lo schieramento italiano, l’unico ancora in grado di offrire una resistenza fra tutte le forze dell’Asse: a metà del mese, infatti, tra il 17 e il 19 gennaio 1943, iniziarono le fasi di sganciamento della Divisione Alpina Julia, seguita dalla Tridentina e dalla Cuneense, a cui si unirono le unità di fanteria, di artiglieria, del genio, delle Camice Nere e della Cavalleria.
Ebbe così inizio il lento ripiegamento, con colonne lunghe chilometri e costituite da migliaia di soldati che marciavano stanchi e sfiniti nella steppa gelata, combattendo di isba in isba e di dolina in dolina. Il 26 gennaio 1943, poi, l’ultimo combattimento, quello di Nikolajewka, dove gli ultimi resti delle forze italiane, tedesche e ungheresi, per quasi dieci lunghe ore di duri combattimenti, riuscirono a rompere definitivamente l’accerchiamento delle forze russe e ad evitare l’annientamento totale. Tra i tanti che caddero nella neve, anche il Generale di Corpo d’Armata Giulio Martinat che, al grido di “Avanti Alpini! Avanti, di là c’è l’Italia! Avanti!”, armato di un moschetto e qualche bomba a mano, si mise alla testa degli ultimi superstiti del Battaglione Edolo, suo primo reparto che ebbe l’onore di comandare e guidare nella campagna di Libia e con il quale cadde senza alcun rimpianto, tanto che alcuni testimoni riferirono le sue ultime parole: “Ho cominciato con l’Edolo, voglio finire con l’Edolo!”. Valga per tutti gli Alpini e i militari caduti in terra di Russia, a questo punto della nostra narrazione, la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria concessa proprio al Generale Martinat: “Capo di Stato Maggiore di un Corpo d’Armata, soldato di eccezionale coraggio e di indiscusso valore, veterano di quattro campagne, più volte decorato, di elette qualità di mente e di cuore, vista passare una compagnia alpina che scendeva in linea per decidere l’aspra battaglia in corso, cedendo al suo istintivo entusiasmo di soldato e di combattente, vi si metteva alla testa dando a tutti con la sua alta parola la fiamma dell’ardimento e divenendone con la sua persona irresistibile esempio. Ritto, mentre sparava con il suo moschetto, in zona battutissima e scoperta, su elementi nemici appostati a brevissima distanza, una pallottola ne spezzò l’audace impresa e gli stroncò la vita, ma la vittoria era assicurata ed il nemico in fuga. Fulgido esempio di alte virtù combattive e di suprema dedizione alla Patria. Nikolajewka, Russia, 26 gennaio 1943”.