L’Italia era entrata nel conflitto da pochi mesi, cinque per la precisione, e fin da subito, quella che doveva essere una rapida avanzata verso le posizioni contese all’Austria-Ungheria si impantanò ben presto nella logorante guerra di trincea. Le rapide avanzate lasciarono presto il campo a brevi sortite, a colpi di mano da tentare contro le postazioni trincerate avversarie, spesso al costo di innumerevoli vittime. Molto più frequentemente, lungo il corso del Fiume Isonzo vi furono scontri isolati tra pattuglie in ricognizione, lungo i crinali attraversati da stretti sentieri serpeggianti tra i boschi. Con le prime due battaglie dell’Isonzo che videro l’offensiva italiana respinta, il Comando Supremo ne pianificò una terza, il cui inizio era stato fissato per il 18 ottobre 1915: nei giorni precedenti, pertanto, ebbero inizio i consueti lavori di rinforzo delle postazioni, gli spostamenti di truppe di prima linea con elementi più riposati e sortite di pattuglie. Il giorno 7, in località Peteano, a ridosso di Cima 2, alcuni elementi austriaci iniziarono a battere con il fuoco di fucileria e mitragliatrici le posizioni italiane. I soldati italiani, però, non si lasciarono impressionare e, anzi, passarono decisamente al contrattacco. E fu in questo momento che si compì il sacrificio di un giovane ufficiale del 156° Reggimento Fanteria e l’atto eroico di un Carabiniere che lo seguiva.
Francesco Campo, originario di Marsala, dove era nato nel 1888, con il grado di Sottotenente era partito con la Brigata Alessandria per il fronte isontino dove si scontrò subito con la dura realtà della guerra. Anni dopo, nell’opera Le undici offensive dell’Isonzo, il Generale Pietro Maravigna scriveva ricordando quei tragici giorni: “se noi possedevamo un’inconstrastabile, forte superiorità numerica, ci trovavamo in condizioni di inferiorità numerica nei riguardi dell’armamento e dei mezzi per distruggere l’ostacolo passivo. Altissimo era lo spirito offensivo delle truppe, ma in guerra di posizione questo non basta se i mezzi materiali di lotta non sono in quantità e qualità sufficienti a spianare la via al combattente ed i nostri, nell’autunno del 1915, non raggiungevano tale sufficienza”. Ma gli ordini vennero dati e la nuova offensiva era in preparazione. Così, quando la postazione del Sottotenente Campo venne investita dal fuoco austriaco, balzò fuori dai trinceramenti, contrattaccando a sua volta: gli attaccanti, sorpresi da tale reazione, si ritirarono, non prima di aver lasciato nelle mani degli Italiani una quarantina di prigionieri. Sulla strada di ritorno verso le postazioni che aveva lasciato per l’attacco, però, la pattuglia italiana venne fatta segno nuovamente di scariche di fucileria: una pallottola colpì in pieno Francesco Campo, stroncandogli la vita. Si meritò la Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria: “Avendo scorto una grossa pattuglia nemica che cercava approssimarsi alle nostre trincee, l’attaccava con una squadra riuscendo a fare 40 prigionieri. Fatto a segno a vivo fuoco proveniente da un trincerone nemico, mentre con fermezza e calma ammirevoli, provvedeva a spingere indietro i prigionieri e a fare inseguire col fuoco i nemici sfuggiti alla cattura cadeva colpito a morte. Fronte Boschini, 7 Ottobre 1915”.
Fu allora che un Carabiniere Reale, membro della pattuglia, Guido Ricotti, originario di un piccolo paese dell’entroterra pisano, nonostante fosse già al sicuro con il resto degli uomini all’interno dei trinceramenti italiani, corse fuori, quando ancora era in corso il fuoco austriaco, per recuperare il corpo esanime del Sottotenente Campo e riportarlo indietro. Un’impresa, questa, che gli valse la Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Al seguito del comandante del reggimento, che ispezionava la linea del fuoco, contribuiva a catturare 40 soldati nemici e a respingere un attacco. Visto, poi che uno dei nostri era caduto sul posto di combattimento, spontaneamente e da solo, sotto vivo fuoco, si slanciava a raccogliere il cadavere e lo trasportava indietro. Boschini, 7 Ottobre 1915”. Pochi giorni dopo, il 18 ottobre, aveva inizio la Terza Battaglia dell’Isonzo: quasi 11.000 vittime tra i Fanti italiani, tanto che alcuni Reggimenti protagonisti dell’offensiva subirono il 50% di perdite, tra caduti, feriti e dispersi. La spinta offensiva si spense già il 4 novembre, senza che fossero conseguiti grandi avanzamenti del fronte: “a malgrado di tanto valore, i vantaggi territoriali conseguiti furono e, non poteva essere altrimenti, assai modesti: Peteano rimase nelle nostre mani e così il bosco a ferro di cavallo, il ridottino e altre brevi trincee tra San Michele e San Martino”, ricordava ancora una volta il Generale Maravigna.